Ancelotti ct del Brasile sarebbe il colpo di grazia per gli allenatori brasiliani

Non c'è un allenatore autoctono in grado di guidare la Seleção, ma la crisi va oltre quest'aspetto, è molto più profonda.

È già da mesi che si parla di Carlo Ancelotti come nuovo commissario tecnico della Nazionale brasiliana. Basterebbe questo per pensare che la semplice suggestione/speculazione di mercato si sia evoluta in qualcosa di più concreto, ma ci sono anche degli altri indizi: la Federcalcio brasiliana non ha ancora nominato il successore di Tite, e infatti in questo momento la Seleção è affidata a un ct a interim, Rubén Menezes; sono arrivate le smentite di rito dell’allenatore italiano e della stessa Federazione, ma al tempo stesso Ancelotti ha raccontato che i giocatori brasiliani del Real Madrid «scherzano con me sul fatto che io possa diventare il loro allenatore in Nazionale». Forse la verità è che un vero accordo non c’è ancora, è che entrambe le parti stanno valutando la possibilità di iniziare un percorso inedito per tutti, in attesa che anche il Real Madrid – Ancelotti è sotto contratto con il club spagnolo fino al 2024 – decida se continuare o meno a dare fiducia al suo tecnico.

In ogni caso, come detto, se ne parla ancora. Anche perché si tratterebbe di un evento epocale, destinato a cambiare la storia e forse anche la geopolitica del calcio mondiale. Mai, infatti, la panchina della Seleção – che resta a tutti gli effetti la Nazionale più vincente e quindi più prestigiosa a livello globale – è stata affidata a un ct europeo. O meglio: il portoghese Joreca è stato co-allenatore per alcune gare giocate nel 1944, solo che stiamo parlando di un giornalista-calciatore-allenatore che ha vissuto la maggior parte della sua vita e della sua carriera in Brasile. Quindi, non conta. E allora l’assunzione di Ancelotti rappresenterebbe una prima volta in tutto e per tutto, una rivoluzione che potrebbe avere un impatto significativo su un intero ecosistema calcistico. E, soprattutto, su una categoria professionale che vive già un momento storico molto negativo: quella degli allenatori locali.

Questo aspetto della questione è stato analizzato in maniera approfondita da Espn, a partire proprio dalla crisi che ha investito i tecnici brasiliani. Il problema principale è di tipo strutturale, riguarda il vastissimo e confusionario calendario calcistico locale, che si articola su tre livelli – statale, nazionale e sub-continentale – e porta le squadre a giocare tantissime partite in poco tempo; come se non bastasse, le partite si giocano in luoghi che sono lontanissimi tra loro. «È difficile organizzare un campionato in un Paese che ha le dimensioni di un continente», scrive Espn. «Perciò il risultato è un compromesso pasticciato che impone un calendario troppo fitto ai grandi club. Allora i giocatori si ritrovano a passare molto tempo in viaggio, piuttosto che sul campo di allenamento». La conseguenza di questa situazione è ovvia: gli allenatori brasiliani non hanno tempo e modo di sviluppare nuove teorie, devono solo cercare di non perdere troppe partite e di mantenere un lavoro che è già di per sé volatile, sottoposto a condizioni, ma in casi del genere diventa praticamente una foglia al vento. Come scrive anche Espn, infatti, in Brasile c’è un problema culturale con la figura dell’allenatore: «Per i tifosi, la stampa e la società, il tecnico è un perfetto capro espiatorio: intorno ai club vibrano aspettative irrealistiche, tutti rivendicano una grandezza che magari è esistita solo molti decenni fa, e così l’uomo che va in panchina finisce per pagare quando le cose, in campo, non vanno bene. Gli allenatori non portano avanti un progetto, non riescono: sono considerati dei lavoratori a breve termine perennemente a rischio esonero».

Un altro fattore significativo riguarda la provenienza geografica dei tecnici: dopo i successi di Jorge Jesus (campione di tutto col Flamengo nel 2019) e Abel Fereira (vincitore di due Libertadores e dell’ultima edizione del campionato nazionale col Palmeiras, solo per rimanere ai trofei più importanti), è cresciuto il numero di squadre che hanno giocato la carta dell’emulazione, cioè hanno affidato le proprie panchine a tecnici portoghesi. Ai nastri di partenza del Brasilerão 2023, nel momento in cui scriviamo, ci sono sette allenatori lusitani su 20; a questi, vanno aggiunti due argentini e un uruguagio, quindi il conto totale è esattamente pari, dieci brasiliani e dieci stranieri.

Abel Fereira si è trasferito al Palmeiras nel 2020 dopo aver allenato le seconde squadre dello Sporting Lisbona e del Braga, la prima squadra del Braga e il PAOK Salonicco, in Grecia (Ricardo Moraes/Pool/AFP via Getty Images)

L’arrivo di Ancelotti sulla panchina più prestigiosa, è evidente, sarebbe un ulteriore spinta nel burrone, probabilmente quella decisiva, a un intero movimento che è già in bilico. E no, non si tratta di un’esagerazione: il Brasile non solo non produce un allenatore considerato all’altezza di guidare la Seleção, ma da anni fatica anche a produrre dei tecnici in grado di fare una carriera dignitosa in Europa. Gli ultimi ad aver guidato una squadra dei cinque campionati top sono stati Sylvinho, brevissima parentesi a Lione nel 2019, e Ricardo Gomes, al Bordeaux nella stagione precedente. Se volessimo alzare un po’ il livello delle squadre, dovremmo tornare ai tempi di Luxemburgo e Scolari, transitati sulle panchine di Real Madrid e Chelsea senza lasciare un gran ricordo di sé. Era la seconda metà degli anni Duemila.

Insomma, Carlo Ancelotti ct del Brasile – ma lo stesso discorso varrebbe anche con Luis Enrique, Zidane, Guardiola, Mourinho, tutti nomi fatti almeno una volta dalla stampa internazionale – segnerebbe la fine di un’era e l’inizio di un qualcosa di diverso, certificherebbe un avvenuto sorpasso dell’Europa sul Brasile, almeno per quanto riguarda la preparazione, l’importanza, anche l’appeal, se vogliamo, degli allenatori. Certo, l’Argentina ha vinto gli ultimi Mondiali con un tecnico autoctono, quindi il discorso va circoscritto a un solo Paese. Allo stesso tempo, però, il Brasile è da sempre la  grande locomotiva del calcio sudamericano, quindi una crisi così profonda è un segnale da non trascurare per l’intero sub-continente. Perché produrre talento in campo è fondamentale, è ciò che serve, ma non può bastare per crescere davvero.