La Russia ha ricominciato a giocare a calcio, e sembra che voglia avvicinarsi all’Asia

Due amichevoli contro Iran e Iraq: due avversari non scelti a caso.

Lo stadio Azadi Soccer Field di Teheran e poi la Gazprom Arena di San Pietroburgo, per la prima partita giocata in casa da quando è iniziata l’invasione in Ucraina. Sono gli impianti in cui la Nazionale di calcio russa ha ricominciato a giocare davvero, più o meno ufficialmente: l’esclusione dall’Uefa ha estromesso la squadra allenata da Valerij Karpin – ex centrocampista, tra le altre, di Valencia e Celta Vigo – dalle qualificazioni ai prossimi Europei, quindi la Russia sta giocando solo gare amichevoli. Ovviamente, però, il significato di questi test match non va ricercato nel risultato, quanto nel lavoro politico fatto per organizzarli. E in questo caso, vista la situazione militare e diplomatica della Federazione russa, il discorso va ben oltre la politica sportiva.

Ma andiamo con ordine: a settembre scorso, la Russia ha affrontato Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, non proprio delle grandi avversarie; pochi giorni fa ecco due nuove amichevoli, la prima a Teheran – ovviamente contro l’Iran – e poi quella di San Pietroburgo, contro l’Iraq. Le due partite sono finite 1-1 e 2-0 (in favore dei russi), ma nel frattempo sono iniziate a circolare un po’ di voci sul fatto che le due avversarie scelte per ricominciare siano due rappresentanti dell’AFC, la Confederazione asiatica. E pure di un certo peso. Dal punto di vista puramente politico, è evidente che si tratti di una conferma sulle voci per cui la Federcalcio di Mosca sia sempre più orientata a cambiare confederazione, quindi a lasciare l’Uefa: se ne parla da tanto, e di recente il vice-segretario generale – Denis Rogachev – ha confermato che «si stanno prendendo in considerazione tutti gli scenari». Il Guardian, a sua volta, scrive che «il rientro nell’Uefa è la priorità della Federcalcio russa, almeno ufficialmente, ma in realtà i dirigenti stanno guardando a Est, all’Asia». Difficile non pensare che questa strategia di politica sportiva non sia un’emanazione diretta delle visioni del Cremlino, in fondo Putin sta rendendo sempre più stretto il suo legame con la Cina e con lo stesso Iran, uno dei Paesi che ha sostenuto – economicamente e militarmente – l’invasione della Russia. Proprio il Guardian ha scritto che «il denaro degli oligarchi si è riversato nei progetti minerari e infrastrutturali di Teheran, le due nazioni hanno collegato i loro sistemi bancari e hanno avviato esercitazioni navali congiunte. E il mese scorso i ministri dello sport russo e iraniano hanno firmato un “memorandum di mutua intesa”, promettendo di rafforzare i loro legami sportivi. Per non parlare della cooperazione sempre più accentuata con la Cina, l’India e le autocrazie del mondo arabo».

Anche la AFC sembra piuttosto interessata a questa nuova sinergia con la Russia. Per motivi essenzialmente politici, anche in questo caso: l’ingresso di un membro così forte e riconoscibile aumenterebbe il valore complessivo e quindi il prestigio del calcio asiatico, che porterà nove Nazionali alla Coppa del Mondo 2026. Non a caso, viene da dire, qualche giorno fa la Russia è stata ufficialmente invitata a partecipare al CAFA Championship, torneo in programma a giugno 2023 e a cui partecipano otto squadre dell’Asia centrale – Afghanistan, Iran, Kyrgyzstan, Tajikistan, Uzbekistan e Bielorussia. È una manifestazione del tutto nuova, ma potrebbe rappresentare una svolta importante per il futuro del calcio russo: la guerra con l’Ucraina si preannuncia ancora molto lunga, e quindi una riammissione nel calcio europeo sembra un evento non programmabile. Di conseguenza, l’unica possibilità che resta a Mosca perché la Nazionale non scompaia del tutto resta proprio un ingresso nella AFC: uno scenario impensabile solo un anno fa e piuttosto complesso – eufemismo – dal punto di vista burocratico, ma che sta prendendo forma davanti ai nostri occhi.