Esistono molti calciatori a cui non piace il calcio

Essere dei professionisti non vuol dire essere appassionati: i casi di Bale, Batistuta, White e Zamora, raccontati da The Athletic.

Idealizzare le professioni è un esercizio sempre errato. Per un motivo molto semplice: ci sono persone che hanno priorità o semplicemente dei gusti diversi rispetto a quelli della massa, della maggioranza, e quindi non è che tutti sarebbero così felici di fare l’attore a Hollywood, lo chef di un ristorante stellato sulla costa francese o italiana, il calciatore in Premier League. Proprio di questo aspetto si è occupato, tra gli ultimi, The Athletic: in questo articolo, il medium americano ha compilato una lista di calciatori professionisti che, per dirla brutalmente, non sono attratti dal calcio come sport e come hobby, come un qualcosa da seguire al di là del proprio orario lavorativo. Lo considerano per quello che è, in fondo: la loro professione, né più né meno. È una cosa che in realtà esiste da sempre, a pensarci bene: diversi anni fa noi italiani – soprattutto quelli di Firenze e di Roma – rimanemmo molto colpiti dalle parole di Gabriel Omar Batistuta, un giocatore apparentemente iper-passionale che dopo il ritiro, come un fulmine a ciel sereno, disse che «giocando a calcio non mi sono mai divertito e non ho nostalgia: ho sempre sofferto il peso della responsabilità, altro che vita da star, mi sentivo un impiegato».

Ecco, accanto al nome di Batistuta se ne potrebbero mettere tanti altri. Lo fa The Athletic concentrandosi sul contesto inglese, citando per esempio Ben White dell’Arsenal: in una dichiarazione rilasciata alla BBC, il difensore dei Gunners ha ammesso di «non seguire il calcio». White lo aveva già confessato alcuni anni fa in un’intervista a Sky Sports: «Ho sempre amato giocare a calcio, ma non lo guardavo mai. Ancora adesso non lo faccio. Per dire: so che Patrick Vieira era un grande calciatore, ma non conosco i dettagli». Rimanendo sempre nel Nord di Londra, impossibile dimenticare i casi di Benoit Assou-Ekotto e Gareth Bale: ai tempi del Tottenha, nel 2010, Assou-Ekotto disse che «il calcio è un buon lavoro, ma non la mia passione: arrivo alle 10.30 all’allenamento, sono professionale finché devo e poi divento una persona normale, un turista a Londra con la mia Oyster Card»; con e per Gareth Bale le cose sono sempre state complicate: il fuoriclasse gallese non ha mai nascosto che il suo sport preferito sia sempre stato il golf, al punto che in un’intervista a Espn del 2018 confessò di non sapere molto sul PSG, avversario del Real Madrid in Champions League, visto che «non amo guardare le partite di calcio: preferisco il golf».

Tanti altri calciatori del passato non amavano il calcio: The Athletic segnala Gael Givet, Bobby Zamora, David Batty. La storia di Zamora è molto famosa, in questo senso: l’ex attaccante del Fulham e del West Ham ha sempre detto candidamente di non essere ossessionato dal calcio, e ora ha ribadito che «tutti volevano parlarmi solo di calcio quando mi incontravano e mi incontrano, invece io desideravo e desidero fare altri discorsi. Per me un pittore non deve tornare a casa e parlare di vernici, allo stesso modo io non guarderei Burnley-Reading». Più o meno la stessa posizione di Batty: dopo il rigore sbagliato negli ottavi di finale dei Mondiali contro l’Argentina, il centrocampista inglese confessò che «negli spogliatoi l’unica cosa che aveva importanza, per me, era ritornare a casa dai miei bambini».

La domanda che ne consegue è ovvia, e anche legittima: un calciatore che non ama profondamente il calcio è svantaggiato rispetto a chi, invece, lo segue in modo accanito? La risposta non c’è, non può esserci, non ci sono dati oggettivi e quindi evidenze empiriche che possano chiarire la situazione. Anche in questo caso è una faccenda personale: Riyad Mahrez, in un’intervista rilasciata a Canal Plus, ha raccontato che molti suoi compagni di squadra «non guardano le partite, non gliene frega niente. Tante volte li ho sentiti chiedere: quanto hanno fatto ieri? Se sei un calciatore dovresti saperlo. Non puoi presentarti senza sapere i risultati del giorno prima. Ho molti amici calciatori a cui non piace il calcio. Giocano perché obbligati o convinti dai soldi». Sono parole ragionevoli, ma allo stesso modo Bobby Zamora ha spiegato che «per un essere umano disconnettersi dal proprio lavoro è fondamentale, a maggior ragione nell’era dei social media. In fondo a un calciatore occorre sapere punti deboli e punti di forza degli avversari che affronterà, cosa deve o non deve fare per guadagnarsi un vantaggio e aiutare il suo club a vincere le partite, una alla volta. Spesso è facile dimenticare che stiamo semplicemente guardando delle persone che fanno il proprio lavoro. Alcuni giocatori ne sono ossessionati ed è giusto così, ma forse non dovremmo essere sorpresi quando qualcuno non ha la stessa passione». Anche queste parole, a pensarci bene, sono ragionevoli.