Milano, il Derby, e la disabitudine alla sofferenza europea

Dopo 20 anni Milan e Inter tornano a sfidarsi per un posto in finale di Champions, quando nessuno se lo aspettava. Qual è il polso emotivo delle tifoserie?

Adriano Galliani, allora amministratore delegato del Milan, lo diceva già nel 2005, a marzo, alla vigilia dei sorteggi che assegnarono il secondo derby di Champions nel giro di tre anni alla città di Milano: «Non ne faccio un discorso tecnico, ma puramente egoistico: mi auguro di tutto cuore di non incontrare squadre italiane nei quarti di finale di Champions League. Soprattutto non vorrei affrontare l’Inter perché per noi che viviamo a Milano sarebbe un vero inferno. Ricordo che la settimana del derby di Champions del 2003 per me è stata la peggiore di tutte a livello di tensione». Come nel 2003, anche il 2005 sorrise al Milan. Come nel 2003, anche nel 2005 i rossoneri passarono il turno e raggiunsero la finale di Champions League. Ma erano squadre diverse, era un tifo diverso. Milano era abituata a certi palcoscenici, perché da lì provenivano i giocatori che domenica dopo domenica scendevano in campo: Maldini, Cafu, Shevchenko, Seedorf Kaká, Verón, Zanetti, Vieri, Rui Costa, Nesta. Oggi Milano è, calcisticamente, in una situazione molto diversa: due squadre che non avevano in programma, realisticamente, di arrivare in finale di Champions League si trovano a giocarsela. Una contro l’altra. Più che – come diceva Adriano Galliani diciotto anni fa – un discorso tecnico, allora, ne abbiamo fatto un discorso emotivo: cosa pensano i milanisti e gli interisti di questa sfida? Ne parlano i giornalisti e scrittori Davide Coppo, sponda Milan, e Lorenzo Camerini, per la parte nerazzurra.

Davide Coppo (DC): È arrivato il momento che nessuno voleva arrivasse. Era incredibile pensarci fino a pochi mesi fa. Nel senso che nessuno ci avrebbe creduto. Un derby di Champions League, per di più in semifinale, soprattutto in una stagione in cui sia Milan e Inter hanno fatto a gara a chi è inciampato in modo peggiore e più costante durante tutto l’anno di Serie A. Tutti i miei amici del Milan, me compreso, avrebbero preferito quasi quasi uscire contro il Napoli, piuttosto che vivere ancora questo incubo coronarico. Come ti sembra invece che la viva la parte nerazzurra di Milano?

Lorenzo Camerini (LC): Malissimo, grazie. Un velo di angoscia si è posato sui cuori nerazzurri al fischio finale del vostro ritorno con il Napoli, e non se n’è più andato via. Molti di noi speravano nella sconfitta per 3 a 0 con il Benfica, anche a tavolino. Dall’ottantesimo minuto in poi abbiamo iniziato a guardarci con le mani nei capelli, mormorando “oh, cazzo…”. C’è terrore. Nella vita di un Millennial, l’Inter ha conquistato tre semifinali di Champions League. Di queste, due contro il Milan. È da una vita intera che ci viene rinfacciato (a ragione, ci mancherebbe…) questo stramaledetto DNA europeo dei cuginastri. Se vinciamo noi, facciamo pari, una semifinale a testa. Se vincete voi, si salvi chi può. Ci guadagneremmo un abbonamento a vita ai paragoni con l’Atlético Madrid. Ho già negli occhi Calabria che alza l’ottava nel cielo di Istanbul, e la vostra cavalcata epica l’anno prossimo in campionato per conquistare la seconda stella. Concedetemi di avere paura. Ma dimmi, alla fine Leão gioca? Non sarà tutta pretattica? Da solo fa più dribbling a partita dell’intera rosa dell’Inter, e ha reso Milano la città più esperta al mondo in elongazioni all’adduttore.

DC: Da questo lato è tutto un chiedersi: ma non è che il Milan gioca meglio senza Leão? La risposta è: ovviamente no, ma il pensiero magico è l’unica cosa a cui ci possiamo attaccare, da questo lato di San Siro, per non cadere nello sconforto di questo infortunio, anzi, nella disperazione. Mi interessa, antropologicamente, proprio questo pessimismo condiviso sia dai milanisti che dagli interisti: non c’è nessuna spocchia, soltanto terrore. Praticamente abbiamo entrambi già addosso la maglietta di Manchester City o Real Madrid, pronti a trasformarci in ultrà mancuniano-madridisti all’evenienza. Non penso sia pretattica né superstizione: invece ci siamo disabituati a certe emozioni, dopo il 2007 (noi) e il 2010 (voi). Sei d’accordo? Pensi che questo possa essere un primo passo per ritrovare quella sicurezza che invece, due decenni fa, ci sembrava così naturale?

LC: Ho un incubo: De Ketelaere che subentra a Saelemaekers all’ottantesimo della semifinale di ritorno, sfruttando l’assenza di Leão, e si sblocca segnando il gol vittoria. Panico. Siamo completamente disabituati a queste emozioni, è verissimo. D’altronde, sfido chiunque a pensarsi vincente dopo dieci anni di Erick Thohir e Li Yonghong, dei derby di Schelotto e El Shaarawy, di Obi e di Zapata. Milano, che fatica. Non è stato un percorso lineare, noi e voi non abbiamo investito milioni di dubbia provenienza, e nemmeno siamo cresciuti piano piano con i giovani della Primavera, mantenendo i bilanci in ordine: ci siamo ritrovati all’improvviso in semifinale di Champions, senza il tempo per metabolizzare il trauma, sentendoci inadeguati. Tuttavia, ripetiamocelo: siamo l’unica città con due squadre vincitrici della Champions League, che giocano per di più nello stesso stadio, e adesso ci tocca essere all’altezza della nostra reputazione da nobili decaduti ma di classe (vero, Skriniar? Buona fortuna a Parigi). Ti dirò di più: la tradizione, nel calcio, conta. Chi vince la semifinale, vince la Champions, non ho dubbi, la penso come Sabatini. E che bella la cena l’altra sera all’Osteria del Treno, Massimo Moratti e Renato Pozzetto a mangiare gomito a gomito mondeghili e risotto allo zafferano, cantando E la vita l’è bela. Pura milanesità. È anche per questo che lunedì mattina ho chiesto, in una chat dove partecipano i miei dieci migliori amici (divisi a metà fra interisti e milanisti), di guardare la partita insieme, almeno l’andata. Risposta? Vai a cagare. Tu dove la guarderai? Hai un posticino di fiducia, dove hai accumulato ricordi di vittorie, o mi confermi che la scaramanzia a Milano conta fino a un certo punto?

DC: Ho abbandonato la scaramanzia il 25 maggio 2005, quando alla fine del primo tempo di Milan-Liverpool, dopo esserci sparpagliati per birre e altre amenità, abbiamo ripreso i posti a sedere in ordine perfetto, millimetrico. La vedrò con i vecchi compagni di stadio e con nuovi sodali milanisti, ma no, nessun interista è ammesso. Perché va bene l’amicizia, la non belligeranza, va bene anche Pozzetto che canta con Massimo Moratti. Ma a tutto c’è un limite, e un derby non è un pranzo di gala, per citare il presidente Mao. È interessante questa tua analisi dell’abitudine a vincere, del tutto scomparsa nonostante due scudetti belli e meritati, negli ultimi tre anni. Ma l’interista, se riesce a superare la (ancora) scaramanzia di questa semifinale e si pensa addirittura a Istanbul, poi che fa: viaggia addirittura a figurarsi Brozovic che la alza al cielo? Io ogni tanto lo ammetto, ci penso, mi faccio tutto il film di un inaspettato trionfo contro il Manchester City nonostante il 15% di possesso palla appena, per quella regola puerile e che ignora qualsiasi xG e statistica avanzata che dice: in finale tutto è possibile.

LC: Stamattina sono passato dal negozio di frutta e verdura del papà di Dimarco per comprare le fragole, abbracciarlo forte e farmi dire che andrà tutto bene. Federico, quando era bambino, veniva sempre al parchetto lì davanti, e giocava a calcio con chi c’era. A otto anni scartava tutti noi, che avevamo il doppio della sua età. Se proprio devo farmi del male e illudermi immaginando qualcuno che alza la coppa penso a lui, così potrò vantarmi di aver subito tunnel da un campione d’Europa. Comunque, non sarà una mentalità vincente ma per quello che mi riguarda possiamo anche perdere 6 a 0 la finale, con gol di Ancelotti dalla panchina, mi basterebbe arrivarci (no scherzo, non siamo mica la Juve). Saremo forse troppo stressati per accorgercene, ma che bella atmosfera ci sarà a Milano a due ore dal calcio d’inizio? Per ora in giro c’è sobrietà, vedo solo i bambini indossare le magliette delle squadre, beata innocenza. Io mi sa che oggi metto la sciarpa nerazzurra. Tra l’altro dovrebbe piovere tutto il giorno, un vantaggio per la squadra meno tecnica, quindi direi per voi, con tutto il rispetto per i piedi di Krunic. Secondo me l’andata finisce 0 a 0, Maignan migliore in campo, e ci si rivede al ritorno. Vuoi azzardare un pronostico?

DC: C’è sobrietà perché Milano è una città sobria, anche se quelli più abituati a vincere sono i milanisti: mi ricordo dei caroselli per la vittoria di una Coppa Italia dell’Inter che noi, successivamente campioni d’Europa, sfottemmo per diversi anni – e a ragione. La pioggia condizionerà la partita, sì, ma di nuovo, non siamo gente che recrimina e si lamenta. Noi, dico. Se pensi che Krunic non sia un giocatore tecnico, mi sa che non hai capito molto di come gioca il Milan. Spero valga lo stesso per il vostro allenatore. Parlando seriamente di calcio: ci vorrà una prestazione superba di Tomori per contenere il Lautaro delle ultime partite. Mi preoccupano meno le fasce, Dimarco e Dumfries, perché i raddoppi già visti contro il Napoli hanno dimostrato di poter funzionare, anche se siamo di fronte a giocatori più muscolari e meno tecnici di Kvara e Lozano, il che potrebbe mettere in difficoltà soprattutto Calabria. Però ecco, al di là dei singoli, sono partite in cui ogni squadra scenderà in campo modellata sull’avversario. E bisognerà allora vedere cosa succederà a centrocampo, al netto degli episodi singoli. Hai citato Maignan: è quello l’unico, evidente, vantaggio del Milan, a oggi.

LC: Aspetta un attimo, noi in porta abbiamo Onana, che ha già giocato una semifinale in quel sublime Ajax che fece innamorare l’Europa, prima di essere eliminato da uno sciagurato contropiede del Tottenham all’ultimo secondo. Il vostro vero vantaggio è la sfida Theo-Dumfries: il nostro Denzel si distrae spesso, e come sempre sarà telecomandato dagli urlacci di Don Darmian. Comunque ormai i giocatori si conoscono benissimo, hanno giocato sette derby negli ultimi venti mesi. Sappiamo già come giocherà l’Inter, l’unico ballottaggio è sul regista (io metterei Calhanoglu tutta la vita). C’è qualche dubbio in più sul Milan: e se Pioli dovesse sparigliare, scegliendo Thiaw al posto di Leao, passando a una difesa a 3 con Diaz numero dieci dietro all’unica punta Giroud? Visto com’è finita a febbraio in campionato, quando non avete praticamente visto la palla, me lo auguro, ma credo che sia quasi impossibile. Io penso che ci aspetterete bassi, puntando sulle ripartenze veloci di Theo e Brahim e lasciandoci il compito di impostare il gioco. Acerbi toccherà centomila palloni, Barella farà un partitone, Ibra verrà inquadrato spesso dalle telecamere.