Carlos Tévez non ha mai voluto imparare l’inglese per via della guerra delle Falkland/Malvinas

Un atto politico legato a ciò che ha vissuto nella sua famiglia.

Carlos Tévez ha vissuto in Inghilterra per ben otto anni: è arrivato al West Ham nel 2006, poi si è trasferito ed è rimasto a Manchester – ha giocato nello United e poi nel City – fino al 2014, quando ha accettato l’offerta della Juventus. In tutti questi anni Tevez ha segnato oltre 80 gol, è diventato per tre volte campione d’Inghilterra, una volta ha alzato la Champions League con il Manchester United e ha guidato da capitano il Manchester City, ma su una cosa è stato sempre irremovibile: non ha mai voluto imparare una sola parola d’inglese. Una scelta che può apparire strana e difficile da capire, ma che alla base ha una motivazione forte e ben precisa. Una motivazione politica, culturale, familiare.

L’ex attaccante della Juventus ha spiegato, nel corso di un’intervista ad una radio argentina, perché abbia scelto di non imparare mai la lingua del Paese in cui aveva deciso di risiedere: «Avevo uno zio che giocava nelle squadra riserve del River Plate. Era davvero vicino al debutto con la prima squadra, ma improvvisamente venne chiamato per essere arruolato nell’esercito e combattere la guerra delle Malvinas. Così non poté coronare il suo sogno». Il riferimento di Tévez è alla guerra scoppiata nel 1982 nelle Isole Falkland (per gli inglesi) o Malvinas (per gli argentini), un arcipelago dell’oceano Atlantico meridionale che ancora oggi è un possedimento della corona britannica ma è anche rivendicato dall’Argentina, che lo considera parte integrante del proprio territorio nazionale. È la stessa situazione che 41 anni fa portò al conflitto: la nazione sudamericana, infatti, riteneva le isole delle Falkland parte del proprio territorio e cercò di liberarle dal dominio britannico, che durava dal 1833. In due mesi di battaglia, morirono quasi 900 soldati, 635 argentini e 255 britannici, e ci furono oltre 25oo feriti. Alla fine la guerra si concluse con la vittoria del Regno Unito, che mantenne il controllo delle Falkland.

Tra i soldati argentini, dunque, c’era anche lo zio di Tévez. Che rimase duramente segnato da quell’esperienza, insieme con il resto della famiglia e con il piccolo Carlos – che è nato nel 1984. L’ex attaccante ha raccontato che «mio zio soffrì tantissimo per aver partecipato a quella guerra e non riuscì più a riprendersi, divenendo un alcolizzato. Ero molto legato a lui e vedere la sua sofferenza mi faceva stare malissimo. Quando poi andai in Inghilterra per giocare, mi promisi che non mi sarei mai adattato alla vita e alla cultura locale». Ma allora perché accettare l’offerta da una nazione che sentiva così ostile? Ecco la risposta: «Andai in Inghilterra solo per motivi lavorativi. Se qualcuno voleva parlare con me doveva farlo in spagnolo, in inglese assolutamente no». Neanche i compagni argentini incrociati durante gli anni in Premier League, per esempio Mascherano al West Ham e Zabaleta al Manchester City, riuscirono a fargli cambiare idea sull’apprendimento della lingua inglese. Proprio Zabaleta, in un’intervista del 2009, dichiarò che «provai in tutti i modi a convincere Carlos a imparare l’inglese. Mi proposi anche di aiutarlo personalmente, per permettergli di integrarsi meglio anche con l’allenatore e i compagni. Non ci fu nulla da fare però: lui rimase fedele alla sua scelta».

Il profondo risentimento di Tévez verso l’Inghilterra per via della guerra delle Falkland  è storicamente presente in diversi argentini. Anche Diego Armando Maradona, per esempio, dopo la vittoria della sua Argentina contro l’Inghilterra ai Mondiali del 1986, fece riferimento al conflitto di quattro anni prima per le isole Falkland: «Non si tratta solo di un successo calcistico, ma di una vera e propria rivincita dopo le grandi sofferenze della guerra». Quella partita venne vissuta, da Maradona e dai suoi compagni, come se fosse una continuazione del conflitto di quattro anni prima: per tutta Città del Messico ci furono scontri tra gli hooligans inglesi e le barras bravas argentine, inoltre vennero bruciate magliette dell’Inghilterra e i media delle due nazioni facevano spesso a quanto accaduto nel 1982. I tabloid inglesi paragonavano la loro Nazionale all’esercito che combatté nell’Atlantico meridionale, mentre i media argentini paragonavano Maradona al generale José San Martín, il capo dell’esercito argentino che invase le Malvinas. Tévez, che allora era un bambino, evidentemente deve aver interiorizzato tutto questo.