Il film di Slam Dunk è un evento per un’intera generazione

Il manga di Takehiko Inoue ha creato, da solo o quasi, la cultura del basket in Giappone. Il suo arrivo al cinema ha chiuso il cerchio con i fan di tutto il mondo.

Ci sono poche cose più difficili di trasformare lo sport in narrativa. Forse perché lo sport è già una forma di narrativa, e come tutte le forme di narrativa resiste all’adattamento in un’altra. La difficoltà vale soprattutto per gli sport di squadra giocati con un pallone. Pensateci: quanti grandi romanzi, film, serie tv, fumetti vi vengono in mente che raccontino uno sport, le sue regole, le sue pratiche, le sue tensioni, le sue difficoltà, le sue interpretazioni? Ogni volta che faccio questo discorso con amici e conoscenti, i titoli che vengono fuori sono pochissimi e quasi sempre gli stessi.

Esiste però un’eccezione che conferma la regola. In Giappone il racconto dello sport, degli sport, costituisce un genere narrativo a se stante: si chiama spokon, parliamo ovviamente di manga e di anime. Se cercate la parola spokon su internet, i titoli e le immagini che il motore di ricerca vi restituirà saranno probabilmente questi: Captain Tsubasa – più noto da noi come Holly e Benji – per il calcio, Attacker You! (Mila e Shiro) o il più recente Haikyu!! per la pallavolo, Eyeshield 21 per il football americano, Il principe del tennis, Yowamushi pedal per il ciclismo, Rocky Joe oppure Hajime no Ippo per il pugilato, Free! per il nuoto. È una lista che si potrebbe fare lunghissima, perché comprende quasi ottant’anni di storia del fumetto giapponese. Ma che, per quanto lunga già sia e in futuro si farà, comincia sempre con lo stesso titolo e lo stesso autore: Slam Dunk di Takehiko Inoue, un manga sul basket che è diventato probabilmente la più grande opera di narrativa mai realizzata su uno sport, e sull’amicizia maschile, sugli amori adolescenziali, sui sogni di gioventù che diventano identità adulta, sulla differenza tra un gioco e, appunto, uno sport. 

Una persona che vuole mostrarsi esperta di storia del basket nei Paesi dell’Asia vi dirà la cosa giusta: la pallacanestro in quelle parti del mondo è diventata una cosa rilevante il 26 giugno del 2002, il giorno in cui gli Houston Rockets chiamarono Yao Ming come loro prima scelta al Draft. Una persona che è davvero appassionata di storia del basket nei Paesi dell’Asia vi dirà la cosa vera: la passione per questo sport in quelle parti del mondo era cominciata più di dieci anni prima, quando un fumettista allora 23enne aveva deciso di raccontare a tutti l’amore per quello sport che lui aveva praticato con scarsi risultati nel periodo universitario. Il primo capitolo del manga Slam Dunk usciva l’1 ottobre del 1990: la serie sarebbe finita 276 capitoli, 31 tankobon (volumi) e 120 milioni di copie vendute in tutto il mondo dopo.

Sarebbe finita anche piuttosto male, nel senso di improvvisamente, senza un vero e proprio preavviso: Inoue a un certo punto si è scocciato di scrivere e disegnare Slam Dunk e ha deciso di mollare per mettersi a fare altro (per dare un’idea dell’ossessione dell’uomo per la pallacanestro: dei suoi cinque manga da Slam Dunk in poi, uno, Buzzer Beater, lo ha dedicato a un torneo di pallacanestro intergalattico e un altro, Real, al basket in carrozzina). Per i fan della serie, Inoue fece al suo manga e ai suoi fan quello che Michael Jordan aveva fatto ai Bulls e ai suoi tifosi. C’è chi, ancora oggi, aspetta che il mangaka torni a disegnare Slam Dunk come MJ è alla fine tornato a giocare a pallacanestro. È per questo che il film The First Slam Dunk, recentemente arrivato nelle sale cinematografiche italiane, è stato un piccolo grande evento per i fan della serie che, ancora oggi, ne aspettano il ritorno: perché è stato realizzato con la supervisione di Inoue, che ha dimostrato di essere, ancora oggi, così legato a Slam Dunk da costringere gli animatori del film a rifare tutto quanto da capo per tre volte, fino a quando non si è potuto dire pienamente soddisfatto del risultato. 

Una scena del manga originale, in cui si vedono Hanamichi Sakuragi e Kaede Rukawa

Vedere The First Slam Dunk è riscoprire tutte le ragioni per la quali questa serie, questa storia è entrata a far parte dell’immaginario non solo sportivo ma anche pop culturale di una generazione. Spesso si è ascritto il successo di Slam Dunk a un favorevolissimo momento storico: la prima metà degli anni Novanta, il decennio del Dream Team alle Olimpiadi di Barcellona e dei Chicago Bulls di Pippen, Rodman e Jordan (i giocatori che hanno ispirato i personaggi e, spesso, le vignette di Inoue: ce n’è una particolarmente nota in cui Rukawa replica in maniera perfetta una delle più famose schiacciate di MJ), di internet come strumento dell’infinita riproducibilità dei prodotti culturali e dell’Occidente che si apre definitivamente alla otaku – l’equivalente nipponico del nerd nostrano – culture. Ma rivedere, o rileggere, oggi Slam Dunk aiuta a capire le vere ragioni del successo di questo manga. Ci sono, ovviamente, i disegni unici di Inoue: quei volti, quei corpi, quei movimenti, quegli ambienti, quella regia, mai eguagliati né tantomeno superati nella storia dei manga (se non dallo stesso Inoue col suo capolavoro, anche questo incompiuto: Vagabond, biografia romanzata del leggendario samurai Miyamoto Musashi).

C’è il quintetto dei protagonisti – Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Ryota Miyagi, Hisashi Mitsui, Takenori Akagi – ognuno portatore di un punto di vista sul senso del basket in particolare e dello sport in generale. C’è la retorica, parte indispensabile di ogni epica, di dialoghi diventati simboli: «Se vi arrendete avete già perso» e «Amo il basket con tutto il cuore». C’è l’attenzione per tutto quello che attorno e grazie allo sport esiste: Slam Dunk è stato il primo spokon a raccontare fuori dagli Stati Uniti la nascente cultura sneakerhead-hypebeast, venti anni prima che queste parole diventassero di uso comune. Tra i momenti più belli e più dolci del fumetto ci sono quelli in cui Sakuragi va a comprare le scarpe da basket accompagnato dalla ragazza di cui è innamorato, Haruko Akagi. Il padrone del negozio di fiducia dei due è un appassionato di pallacanestro e impallinato di sneaker, collezionista di Air Jordan, che spiega a Sakuragi perché «una scarpa è soltanto una scarpa finché qualcuno non la indossa». A riprova dell’influenza di Slam Dunk: nel 2014 Nike ha realizzato un modello di Air Jordan 6 con i colori della Shohoku e i disegni di Sakuragi e compagni. 

Ci sarebbero tantissime altri modi di dimostrare l’importanza di Slam Dunk. Due esempi: nel 2007 la Japanese Basketball Association inaugurò una borsa di studio, intitolata a Inoue e a Slam Dunk, per aiutare i più promettenti giovani cestiti nipponici ad andare in America a imparare la pallacanestro. Nel 2012, la stessa JBA insignì Inoue di un premio speciale «in riconoscimento del suo contributo alla popolarità di questo sport in Giappone». Anche se, forse, la storia che aiuta a capire davvero cosa abbia rappresentato Slam Dunk è quella di Rui Hachimura, il primo giapponese a essere selezionato al primo giro nel Draft Nba (nona scelta, Washington Wizards). Come mai hai deciso di giocare a pallacanestro in un Paese in cui il 65 per cento dei ragazzi gioca a baseball o a calcio?, gli chiesero la notte in cui divenne un giocatore Nba. «Perché da ragazzino non riuscivo a smettere di leggere Slam Dunk», la sua risposta.