Non c’è mai stato nessuno come Zlatan Ibrahimovic

Con il ritiro di Zlatan, il calcio perde uno dei suoi imperatori più influenti e dominanti.

Nel gennaio 2023 il Milan è la peggior squadra d’Europa: i rossoneri, con lo scudetto sul petto, ripartono dopo la pausa per il Mondiale in Qatar con una vittoria per 2-1 in casa della Salernitana, poi quattro giorni dopo stanno conducendo 2-0 a pochi minuti dalla fine il big match contro la Roma. Lì succede qualcosa. Le reti nel recupero di Ibañez e Abraham valgono il pareggio dei giallorossi e aprono una voragine in cui il Milan sprofonda apparentemente senza opporre resistenza. Seguono l’eliminazione in Coppa Italia a San Siro contro il Torino ai supplementari e in superiorità numerica, il 2-2 in rimonta di Lecce, la sconfitta per 3-0 nella Supercoppa Italiana contro l’Inter a Riad, il 4-0 all’Olimpico contro la Lazio, il 2-5 in casa contro il Sassuolo e, a inizio febbraio, l’umiliante 1-0 nel derby in cui Stefano Pioli vara la difesa a tre con Messias mezz’ala destra. In totale fanno 19 gol subìti in otto partite. La stagione sembra ormai compromessa. 

L’anticipo di campionato di venerdì 10 febbraio contro il Torino, a pochi giorni dall’andata degli ottavi di finale di Champions League contro il Tottenham, ha il sapore dell’ultima spiaggia per Pioli. La squadra non corre, è sfiduciata e sui social network e nelle chat WhatsApp si rincorrono cattiverie che rischiano di diventare profezie autoavveranti. I tifosi iniziano a rassegnarsi a una nuova fase di mediocrità, quand’ecco che all’improvviso riappare lui. Mercoledì 8 febbraio Zlatan Ibrahimovic, che fino a quel momento in stagione non ha giocato neanche un minuto dopo l’operazione al ginocchio dell’estate precedente, rilascia un’intervista a Sportmediaset: «Adesso torno e cambio la musica». Pioli lo porta in panchina contro il Torino pur sapendo che non è ancora in grado di scendere in campo. Il Milan vince 1-0 e apre una mini-striscia di quattro successi consecutivi che dà morale all’ambiente per la parte finale della stagione.  

Qualche settimana più tardi lo stesso Pioli dice in una conferenza stampa: «Zlatan è Zlatan, il suo rientro è molto importante. Voi non lo vedete, ma c’è grande differenza tra un allenamento con Zlatan e uno senza di lui: per noi è un grandissimo valore in più». A maggio sarà uno degli ultimi arrivati a Milanello, il difensore tedesco Malick Thiaw, a ribadire con parole quasi identiche: «Ibra è Ibra. Sa essere una persona gentile, ma è estremamente sicuro di sé. L’allenamento cambia appena partecipa lui». Secondo lo stesso Ibrahimovic, la sua percentuale di partitelle vinte in allenamento oscilla tra il 95 e il 99 per cento. È una delle poche iperboli di Zlatan a cui non si fa fatica a credere.  

Il calcio è uno sport di squadra, si gioca in undici più le riserve ed è difficile misurare l’impatto di una singola persona sui risultati del gruppo e, soprattutto, l’effetto che il suo carisma ha sul gruppo stesso. Con Zlatan Ibrahimovic, però, anche le frasi fatte hanno un fondo di verità. Quando è tornato al Milan a 38 anni, all’inizio di gennaio 2020, i rossoneri erano all’undicesimo posto in classifica con 21 punti e 16 gol segnati in 17 partite. Nel mese successivo il Milan ha vinto cinque partite su sei realizzando 16 gol. Alla fine della stagione, dopo la pausa e la ripresa estiva a causa della pandemia, è arrivato sesto e si è qualificato per i preliminari di Europa League. Già all’epoca Pioli diceva: «Ibra è un esempio in tutto quello che fa. Non ci sta a sbagliare neanche un passaggio nel torello. Pretende il massimo da sé stesso e dagli altri. Zlatan e Simon (Kjær, nda) hanno cambiato la squadra non solo in senso tecnico, ma anche e soprattutto in senso morale. Se hai spessore fuori dal campo, ce l’hai anche in campo. E a quel punto “contamini” positivamente tutto il gruppo che hai attorno».  

 La contaminazione più efficace e importante è stata senza dubbio quella di Rafael Leão, premiato come MVP della Serie A 2021/22. Secondo Leão «Zlatan è un esempio, mi ha insegnato l’importanza dell’essere concentrato sempre, dentro e fuori dal campo. Parliamo ogni volta che possiamo, non da colleghi o calciatori, ma da uomini». Osservando le partite del Milan di questi anni c’è una costante che riguarda il modo in cui si sviluppano le azioni d’attacco dei rossoneri: finché giocava Ibrahimovic, era lui a catalizzare i passaggi e le attenzioni dei compagni, una sorta di sudditanza psicologica che portava chi gli ruotava intorno a servirlo quasi sempre, talvolta anche quando non era necessario, forzando la giocata; adesso lo stesso capita con Leão. In molti hanno notato che il terzo gol di Leão nell’ultima partita contro il Verona, pochi minuti prima che Ibrahimovic annunciasse il suo addio al calcio, ricorda un gol segnato nella stessa porta dall’attaccante svedese nella stagione 2010/11 contro l’Udinese. Come un passaggio di consegne, la definitiva maturazione del portoghese nella sera del congedo del suo maestro. 

E ora prendiamoci qualche minuto di pausa: ecco dieci tra i gol più belli segnati da Zlatan nella sua carriera

Ibrahimovic è stato influente e decisivo lungo tutta la sua carriera. Nel 2007/08 l’Inter, in testa alla classifica dalla sesta giornata, arriva all’ultima partita di campionato in trasferta contro il Parma con un solo punto di vantaggio sulla Roma. Ibrahimovic è infortunato al ginocchio e non gioca dal pareggio del 29 marzo contro la Lazio. Dopo quattro vittorie consecutive che l’hanno condotta a soli tre punti dallo scudetto, l’Inter perde 2-1 il derby contro il Milan e pareggia 2-2 in casa contro il Siena con Materazzi che sbaglia un rigore a dieci minuti dalla fine. Anche nelle menti più illuministiche iniziano a comparire i fantasmi del recente passato nerazzurro, il 5 maggio è una ferita che pulsa ancora nonostante il titolo assegnato a tavolino nell’estate 2006 e quello vinto con cinque turni d’anticipo nel 2007 con il Milan penalizzato e la Juventus in Serie B. 

«Poi Mancini venne da me», scrive Zlatan nell’autobiografia best seller Io, Ibra del 2011. «Mancavano solo pochi giorni alla partita. Lui è un po’ un fighetto, sapete? Gli piacciono i completi cuciti su misura e i fazzolettini da tasca e tutto questo genere di cose. […] Il giorno più importante della sua vita di allenatore si stava avvicinando e niente doveva andare storto. “Sì?” dissi. “So che non sei ancora completamente guarito dal tuo infortunio”. “No”. “Ma, detto francamente, non mi interessa”, continuò. “Immagino che tu abbia ragione”. “Ottimo. Ho intenzione di averti a disposizione contro il Parma, a prescindere da quello che dici. O giochi dall’inizio, o vieni in panchina. Ma devi esserci anche tu. Dobbiamo portare a casa questa vittoria”». Ibrahimovic si alza dalla panchina all’inizio del secondo tempo, entra in campo al posto di César e in 39 minuti firma la doppietta che consegna lo scudetto all’Inter.  

L’influenza di Ibrahimovic non ha colpito solo in campo, ma anche fuori. Nel 2006 i diritti tv della Ligue 1, il massimo campionato francese, ammontavano a 550 milioni di euro a stagione. Nel periodo dal 2008 al 2011 sono cresciuti a 668 milioni, poi tra il 2012 e il 2015 sono scesi a 607 milioni l’anno. Nel quadriennio 2016-2020 invece c’è stato un aumento del 20%, fino a 726 milioni, mentre l’ultimo bando (2020-2024) è stato venduto per la prima volta nella storia per oltre un miliardo di euro. Ricordate chi è stato il primo grande colpo della proprietà qatariota del Paris Saint-Germain nell’estate del 2012? Esatto. Federico Fellini diceva che aveva sempre sognato, da grande, di diventare un aggettivo. Zlatan Ibrahimović in Francia è diventato un verbo: zlataner, che significa dominare.