C’è una ragione se le leghe sportive professionistiche di tutto il mondo hanno dei dress code, e una di quelle ragioni sono gli uomini come Luciano Spalletti. L’ex allenatore del Napoli è uno di quegli uomini i cui outfit possono essere “elencati”, per così dire, ma non descritti. Indossa questo e quello ma non si veste così, per capirci. Di Spalletti si possono riconoscere i singoli capi d’abbigliamento ma non un insieme, uno stile, nel quale riunirli. Non esiste una tendenza, al quale Spalletti aderisca. Se esistesse, si chiamerebbe Spalletticore, perché lui ne sarebbe il fondatore e il promulgatore, lo stilista e il modello. Probabilmente perché nessuno avrebbe il coraggio di aderire allo Spalletti-core, perché d’altronde si sa: certi vestiti cadono nella maniera giusta solo su certi corpi, alcuni colori si sposano bene solo con determinate pigmentazioni della pelle, determinate forme dei tessuti si adattano solo a determinate forme del corpo. Vestiti forti per uomini forti, si potrebbe dire. Niente normcore per Spalletti, né nessuno dei “core” che gli noialtri sposiamo nella nostra disperata ricerca di una moda che sia pur sempre tale ma che non ci rende inevitabilmente ridicoli.
>Mi piacerebbe intervistare Spalletti e parlare solo dei contenuti del suo armadio, delle ragioni e dei tempi delle sue scelte di stile, di come, quando e dove ha acquistato i suoi capi preferiti. Me lo immagino, l’armadio di Spalletti, come una gigantesca cabina piena di infinite variazioni sullo stesso tema. Jeans ultraskinny, altrettanto attilatissimi maglioni scuri per l’inverno, vaporose camicie con fantasie tra il floreale e lo psichedelico per l’estate, giacche a clessidra possibilmente a quadrettoni, cappotti a tre quarti che paiono ricamati a mano dalla stessa persona che ha ricamato quei guanti di Bernie Sanders, T-shirt a girocollo che pur di evidenziare i pettorali ancora guizzanti sono ben disposti a esporre il ventre ormai cresciuto, lunghissime fila di adidas Copa Mundial – le scarpe da calcio con si è fatto vedere spesso in panchina negli anni napoletani – realizzate con ogni colore, tessuto, decorazione.
E poi, ovviamente, una sezione intera della cabina, forse una vera e proprio sottocabina, dedicata all’immancabile slouchy beanie. È quel berretto che, a seconda delle dimensioni, casca un poco sul retro della testa o addirittura sulla nuca, che capita di vedere come decorazione sulle teste di tech mogul californiani (Jack Dorsey, ex Ceo di Twitter, era un fan) o di motociclisti à la Hell’s Angels (chi ha visto la serie Sons of Anarchy se li ricorderà come uno dei tratti stilistici di Opie). Me li immagino, questi berretti, esposti in teche, simili alle teche in cui Iron Man tiene le diverse versioni della sua armatura nei fumetti Marvel o a quelle in cui Batman tiene sempre pronti i suoi costumi in quelli DC. Accanto alle teche degli slouchy beanie, una parete puntellata da decine e decine di ganci, a ogni gancio appeso uno dei rosari dai grani grossi come chicchi d’uva che Spalletti espone con l’orgoglio del vero credente e il piacere di chi voleva essere una rockstar negli anni Settanta.
Confesso: io sono più che un ammiratore di Spalletti, io sono innamorato di Spalletti. Lo amo come amo tutte le eccentricità, quegli eccessi della personalità resi tanto più eccessivi dalla quotidiana lotta contro uno dei mondi più omologanti, una delle culture più conformiste mai prodotte dall’umanità: quella dello sport – e soprattutto del calcio, si capisce – professionistico. Si dirà: non c’è niente da amare in chi è strano per essere strano, la vanità non è mai un pregio. Attenzione: c’è una differenza enorme tra stranezza ed eccentricità. La prima è una condizione, la seconda una scelta. Spalletti è un eccentrico, cioè un’eccezione, cioè una persona che ha scelto consapevolmente di separarsi da quello e quelli che gli stanno attorno per rivendicare un individualismo – e alla fine non è forse questa la ragione per la quale con il Napoli, cioè con De Laurentis, è finita come è finita – che non fa più parte delle cose del calcio.
È un glitch, Spalletti, in un software che ormai ha quasi raggiunto la perfezione, una macchina nella cui componentistica certe parti non sono più contemplate. Spalletti è eccezionale quando allena, ovviamente. E anche quando parla. E pure quando si veste. Guardando le foto dei suoi outfit sempre uguali e sempre radicali, mi viene in mente una cosa che sentii dire una volta a John Lydon/Johnny Rotten in un documentario VH1 sui primi punk londinesi: «I vestiti sono divertenti. Indossateli per divertirvi e per raccontarvi». Forse Spalletti è punk, nel senso inesatto in cui usiamo questa parola dal ’77 in poi: fa quello che vuole, con l’unico scopo del divertimento suo e del prossimo, della rappresentazione sua e di quelli come lui.
Scorro le foto che Google Immagini mi restituisce seguendo le parole chiave Spalletti + outfit. Le guardo e mi convinco che lo scudetto al Napoli poteva farlo vincere solo un uomo che nella vita di tutti i giorni si veste così. L’eccezionalità deve essere tale in ogni aspetto e in ogni momento, e Spalletti era l’uomo indispensabile a completare l’impresa eccezionale che il Napoli provava a compiere da anni. Non ci poteva riuscire Benítez, con lo stile impiegatizio e sudaticcio dei suoi completi quasi eleganti, né Sarri con i modi spicci dell’uomo che preferisce sempre e comunque la comodità della tuta. Certo la tuta l’ha portata per tutto il suo tempo in campo col Napoli anche Spalletti, è vero. L’uomo, d’altronde, è astuto e quando vuole sa come farsi amare ed era perfettamente consapevole che al Sarrismo qualche concessione, anche se solo accessoria, andava fatta. Ma, fuori dal campo, Spalletti ha dimostrato perché questo scudetto alla fine lo ha vinto lui e non quegli altri: perché un eccentrico era quel che ci voleva, ci voleva uno dentro il campo non temesse di fare l’equivalente di indossare jeans ultraskinny fuori dal campo. E d’altronde il Napoli è la squadra che ha prodotto alcuni dei più surreali esempi di fashion design calcistico di sempre.
Da quando è diventata ufficiale la separazione tra Spalletti e il Napoli, ho sentito aprirsi quel vuoto che in passato in me si è aperto davanti alle opere incomplete, ai capolavori che l’artista non ha avuto voglia e/o modo di terminare. Avrei voluto vedere le aggiunte che Spaletti avrebbe certamente fatto alla sua enorme cabina armadio per festeggiare il terzo scudetto del Napoli e il primo della sua carriera. In quali e quanti modi avrebbe potuto declinare il tricolore, quanto avrebbe contribuito alla diffusione in Italia del bloke core, quella tendenza – che come tutte le tendenze è (ri)nata grazie a TikTok – che prevede l’indossare le maglie da calcio come capi casual.
Preparando questo pezzo, un collega mi ha girato la stupenda foto che vedete sopra, Spalletti ritratto accanto a Giancarlo Antognoni in non so che occasione. Assieme al jeans attillatissimo, la camicia anni ’70, il beanie ancora più ammosciato anche a causa del caldo, i grani del rosario in primo piano, Spalletti sfoggia una maglia del Napoli, quella bianca, da trasferta. Il dettaglio che fa tutta la differenza del mondo: la maglia del Napoli che Spalletti indossa in questa immagine è un esemplare unico, modificata da un sarto improvvisato – Spalletti stesso, immagino – in modo da ricavare un profondissimo scollo a V, per esporre il petto già abbrustolito dal primo sole estivo. Guardo quel profondissimo scollo a V e penso a cosa sarebbe stata la moda estate 2023 per i maschi italiani, se solo a Spalletti fosse stata concessa l’esposizione mediatiche che si deve all’allenatore campione d’Italia.
E invece, mi chiedo cosa farà Spalletti questa estate. Si annoierà, forse. Si godrà il riposo, probabilmente. Userà il premio scudetto per aggiungere e rinnovare gli outfit, anche. Io me lo immagino in un pomeriggio d’estate, seduto in un bel luogo, a sorseggiare un buon drink, i posti e le cose che gli uomini di successo fanno d’estate. Me lo immagino che a un certo punto prende in mano il telefono, apre TikTok – dovrà pure ammazzare il tempo in qualche modo – e scopre quel trend che fa “You finally stopped wearing skinny jeans”. Me lo immagino indignato che apre il suo profilo e prepara i contenuti adatti a rispondere questo affronto, più che estetico, personale. Mi immagino così l’inizio ufficiale dello Spalletti-core.