Il modello tedesco si è rotto?

I pessimi risultati della Nazionale sono la conseguenza di una crisi molto più profonda.

Nel 2014 la Germania sembrava invincibile. Al Mondiale vinto in Brasile la Mannschaft, allora guidata da Joachim Löw, aveva battuto con estrema facilità qualsiasi avversario gli capitasse davanti: 4-0 al Portogallo, 1-0 alla Francia, 7-1 al Brasile e poi l’1-0 in finale contro l’Argentina. Quella vittoria segnò il trionfo assoluto del modello tedesco, di un processo iniziato molti anni prima: agli inizi degli anni 2000, infatti, la Federazione decise di mettere in atto una vera e propria rivoluzione calcistica. L’obiettivo era il ritorno alla competitività dopo due brutte prove nei grandi tornei internazionali: l’eliminazione ai quarti di Francia 1998 e quella nella fase a gironi agli Europei del 2000.

I vertici del calcio tedesco decisero di rinnovare il proprio sistema dalle fondamenta, costruendo un modello basato sulla formazione dei giovani talenti in casa e su una serie di parametri che potessero rendere sostenibili i bilanci dei club professionistici. Ogni società fu obbligata ad avere almeno una squadra per ogni fascia d’età, a partire dagli Under 12, pena l’esclusione dai campionati. Il numero di centri federali in tutta la Germania per i ragazzi dagli 11 ai 14 anni venne ampliato da 121 a oltre 360, così come vennero costruiti 45 centri d’eccellenza per coloro che dai 15 ai 18 anni si rivelavano più promettenti. Insomma la Federcalcio tedesca cercò di costruire, partendo proprio dal livello più basso, i futuri giocatori della Nazionale. I risultati di questa rivoluzione li ricordano tutti, per quanto sono stati scintillanti: tra il Mondiale del 2006 e quello del 2014, la Germania è arrivata sempre tra le prime quattro, disputando una finale agli Europei (2008) e cogliendo il titolo mondiale sei anni dopo. Anche dopo il trionfo del 2014 i risultati non subirono un calo vistoso: all’Europeo del 2016 la Germania si fermò solo in semifinale e un anno dopo vinse la Confederations Cup con una Nazionale del tutto sperimentale, piena di giovani talenti.

Sembrava che il ciclo della Mannschaft non dovesse finire mai, e invece le ultime campagne sono state disastrose: ai Mondiali di Russia 2018 la Nazionale tedesca è uscita sorprendentemente ai gironi, per altro in un gruppo non proprio irresistibile con Messico, Svezia e Corea del Sud. Agli Europei del 2020, giocati nel 2021 causa Covid-19, le cose non sono andate tanto meglio: la corsa rischiava di finire già ai gironi, poi un gol di Goretzka contro l’Ungheria, per altro segnato nel finale di partita, ha permesso ai tedeschi di accedere agli ottavi, poi perduti seccamente contro l’Inghilterra. Infine, la figuraccia a Qatar 2022: la squadra guidata da Flick dopo l’addio di Lôw è stata eliminata ai gironi a causa della sconfitta all’esordio contro il Giappone.

Se a questi risultati aggiungiamo quelli colti in Nations League, scopriamo che la Germania è stata tre volte su quattro al primo turno, vincendo appena tre partite su 13 delle varie fasi a gironi. Nelle ultime 17 gare disputate, la Mannschaft ha battuto solo Costa Rica, Perù, Israele, Italia e Oman; come se non bastasse, nelle amichevoli recenti sono arrivati un deludente 3-3 contro l’Ucraina e due sconfitte contro Polonia e Colombia. Anche negli Europei Under 21 in corso in Romania e Georgia le cose non stanno andando bene per i giovani tedeschi, così come agli ultimi Mondiali Under 20 la Germania non è riuscita neanche a qualificarsi. Insomma, siamo di fronte a una vera e propria crisi strutturale, di talento, di risultati. Ma cosa non funziona più? Da dove ripartire per programmare i prossimi Europei, che si disputeranno tra un anno, tra l’altro proprio in Germania?

Il problema più evidente della nuova Germania è stato ed è ancora il ricambio generazionale dopo la vittoria del 2014: la Mannschaft manca in qualità, leadership nei calciatori e soprattutto è formata da pochi talenti giovani. Ecco i numeri: l’ultima rosa assemblata da Flick ha un’età media di 27,2 anni, superiore per esempio rispetto a quella dell’Inghilterra (26,33), dell’Italia (26,48), della Spagna (26,57) e della Francia (26,93). Tra tutti quelli convocati dal ct nell’anno solare 2023, solo quattro giocatori sotto i 23 anni. Tutto questo dice chiaramente che qualcosa, nel meccanismo di produzione dei talenti giovani nel calcio tedesco, si sia inceppato. O meglio, il problema non sta tanto nella produzione dei talenti: Transfermarkt, infatti, ha rilevato che in questa stagione siano scesi in campo in Bundesliga oltre quaranta giocatori tedeschi tra i 16 e i 19 anni, quindi le accademie dei club continuano a lanciare giovani nelle prime squadre.

La difficoltà principale sta nel passaggio successivo, vale a dire nell’ affermazione di questi calciatori ad altissimi livelli. Tranne alcune eccezioni come Musiala del Bayern Monaco o Wirtz del Bayer Leverkusen, non ci sono giovani tedeschi che stanno riuscendo ad affermarsi nelle big in Germania e all’estero. Lo dicono anche i numeri dell’Europeo Under 21 che si sta svolgendo in Romania e Georgia: c’è solo un tedesco, Youssoufa Moukoko del Borussia Dortmund, tra i 20 giocatori col valore di mercato più alto in tutto il torneo. In mancanza di giovani pronti per la Nazionale, quindi, il ct Flick si è trovato e si trova costretto a chiamare e utilizzare giocatori più avanti con l’età eppure non dotati di una grandissima esperienza internazionale: l’esempio più calzante è quello di Niclas Füllkrug, che ha esordito in Nazionale a 29 anni e all’ultimo Mondiale sembrava potesse essere l’unica speranza offensiva della Mannschaft.

Ovviamente il momento difficile del calcio tedesco è connesso anche alla situazione dei club e della Bundesliga, una lega in cui vige un modello societario che non ha eguali in nessun altro Paese europeo, e che per questo è giudicato in modo a dir poco controverso, anche dagli stessi club che ne fanno parte. Stiamo parlando, inevitabilmente, della cosiddetta regola del 50+1, quella per cui la maggioranza delle azioni dei club deve appartenere a comitati di tifosi – le uniche eccezioni storiche sono quelle relative alle squadre fondate direttamente da grandi aziende, come il Bayer Leverkusen e il Wolfsburg, mentre le società che hanno provato ad aggirare la regola, prima tra tutte il Lipsia, sono considerate in maniera a dir poco negativa. In questo modo viene garantita una grande stabilità economica e bilanci a posto nel sistema, ma viene ridotta la possibilità accesso a capitali provenienti dall’esterno. La conseguenza inevitabile è che l’unica squadra tedesca tra le prime venti più ricche al mondo, se guardiamo alla classifica stilata da Forbes relativa all’anno 2023, è il Bayern Monaco: il club bavarese è quarto ma comunque distante dalle rivali, visto che ha ricavi per 640 milioni mentre Barcellona, Real Madrid e Manchester United superano tutte quota 700. Gli altri club tedeschi, poi, sono completamente su un’altra dimensione: il Borussia Dortmund fattura 362 milioni e lo Schalke 04 solo 251. Questa condizione limita lo sviluppo del calcio tedesco, anche nella produzione del talento, e deve far riflettere la Federcalcio, i club, la lega. Forse è arrivato il momento di fare qualche aggiustamento, di riscrivere un modello calcistico pensato agli inizi degli anni 2000, che ha funzionato per un po’ e che ora risulta superato dal tempo.