Che confusione, sarà perché tifiamo Milan

Sopravvivere all’estate di un club che sta cambiando radicalmente identità.

Finora il 2023 non è stato un anno facile per i tifosi del Milan. A gennaio è successo quello che è successo, poi a maggio abbiamo perso, per la prima volta nella nostra storia, una sfida europea contro l’Inter. E l’abbiamo persa male: 2-0 all’andata in undici minuti, 1-0 al ritorno, il rammarico per qualche occasione sbagliata che avrebbe potuto riaprire i conti ma, in generale, la sensazione di inferiorità in tutti gli aspetti del gioco che ci ha costretto ad ammettere: giusto così. L’ipotesi, poi, che l’Inter potesse vincere la Champions League, riscrivendo al contrario il 2003, battendo in finale una delle squadre più forti di sempre, per di più a Istanbul, una città già maledetta di suo, era francamente mostruosa.

Io vivo a Milano, a meno di due chilometri dallo stadio di San Siro, e avevo previsto di vedere la finale in un altro posto, in un’altra città, il più distante possibile da dove i tifosi dell’Inter avrebbero potuto festeggiare tutta la notte suonando i clacson sotto la mia finestra. Pochi giorni dopo l’eliminazione in semifinale ho scritto in un gruppo WhatsApp con alcuni amici milanisti: «Voglio svegliarmi a Pietra Ligure domenica 11 giugno, l’Inter ha perso la finale di Champions League, c’è il sole, finalmente mi godo una giornata di relax. Lunedì 12 giugno Di Marzio scrive: Leão al Chelsea». Non ci sono andato troppo lontano.

Dopo tre stagioni in cui letteralmente ogni singola partita contava qualcosa (nel 2020/21 e nel 2021/22 ci siamo giocati il piazzamento in campionato fino all’ultima giornata, lo stesso nella fase a gironi di Champions League, la Coppa Italia è a eliminazione diretta, la Supercoppa Italiana è una gara secca), domenica 4 giugno 2023 ho provato la rara sensazione di andare a vedere una partita del Milan inutile. Per come vivo io il calcio, ve l’assicuro, è stata una liberazione, ho assaporato una leggerezza paragonabile a quella dell’ultimo giorno di scuola. Il venerdì c’era il ponte, sono andato al mare con la mia ragazza, ho passato un weekend lungo spensierato e domenica pomeriggio sono tornato a Milano con la serenità di poter mandare il Verona in Serie B e l’eccitazione per l’imminente festa di addio al calcio di Ibrahimovic. I progetti si sono realizzati a metà, ma chi se ne importa. Dovevo solo gufare l’Inter nella finale di Champions League e poi mi sarei goduto l’estate.

Lunedì 5 giugno Gerry Cardinale ha licenziato Paolo Maldini e Frederic Massara. Il simbolo vivente del milanismo su questa terra, peraltro un dirigente competente che in cinque anni aveva riportato il Milan dalla Banter Era allo scudetto e alla semifinale di Champions League, cacciato in tronco da un imprenditore americano che, parole sue, non sapeva nemmeno quante Champions League avesse vinto la squadra che ha comprato. Quella sera ho fatto fatica ad addormentarmi. Siccome conosco l’indirizzo della casa di Paolo Maldini (parentesi: l’anno scorso, dopo la vittoria del campionato, Maldini ha appeso fuori dalla sua villa nella zona ovest di Milano una bandiera rossonera, come un tifoso qualunque, come ho fatto anch’io) ho sentito l’urgenza di compiere un gesto infantile: gli ho scritto una lettera, che nella mia ingenuità avrei dovuto lasciargli nella cassetta della posta (chissà se i ricchi hanno una cassetta della posta), o alla peggio davanti al cancello d’ingresso. Nella lettera lo ringraziavo per tutto quello che aveva dato al Milan e concludevo dicendo: «In questi giorni di smarrimento, per te e per tutti noi tifosi del Milan, si parla di contestazione, di boicottaggio, di rivolta. Io ti prometto che continuerò ad andare a San Siro e in trasferta a tifare per il Milan come sono sicuro che faresti anche tu». Naturalmente non gliel’ho mai portata. Oggi il file “Caro Paolo” è ancora lì, sul desktop del mio computer.

I primi giorni dopo il licenziamento di Maldini e Massara sono stati giorni di confusione, alimentata dai messaggi sibillini di alcuni dei giocatori più forti del Milan sui social network. Leão ha postato su Twitter l’emoji di una faccina perplessa e poi ha condiviso su Instagram un video in cui mimava il gesto di cucirsi la bocca. Theo Hernández ha scritto: «Ti auguro il meglio e che la vita ci riporti insieme», concludendo il commento con l’hashtag #SempreMaldini. Maignan ha caricato una storia su Instagram con le parole «Sempre Milan», ma sopra la “i” c’era un minuscolo punto interrogativo, un dettaglio neanche troppo nascosto che ha scatenato i peggiori complottismi. Se Paolo Maldini era il garante delle ambizioni sportive della squadra, abbiamo pensato un po’ tutti, a questo punto Leão, Theo e Maignan potrebbero guardarsi intorno per cercare altri progetti alla loro altezza. Il messaggio di saluto più sobrio a Maldini e Massara è arrivato da Sandro Tonali: una foto della sua presentazione al Milan con due cuori, uno rosso e uno nero. «Perfetto qui Sandro», ha scritto un amico nella stessa chat WhatsApp di prima. Mercoledì 21 giugno mi sono svegliato con un’offerta irrinunciabile del Newcastle per Tonali, e la sera era già stato venduto.

Nelle sue tre stagioni al Milan, Sandro Tonali ha messo insieme 130 presenze e sette gol in gare ufficiali (Isabella Bonotto/AFP via Getty Images)

Mentre la mia ragazza si lamentava perché l’estetista aveva sbagliato a farle la ceretta ai baffetti e io provavo a convincerla che no, la possibilità che lei rimanesse ustionata in faccia per tutta l’estate non era minimamente paragonabile alla cessione del giocatore più rappresentativo del Milan degli ultimi anni, sono cominciate delle situazioni strane, già accadute poche settimane prima con l’addio di Maldini. Alcuni giornali e giornalisti vicini alla proprietà hanno fornito una ricostruzione dei fatti evidentemente di parte, altri, più vicini a Maldini, hanno scritto il contrario. Perdonatemi il paragone ma credo che, un po’ come in guerra, la propaganda, più che l’informazione, non sia al servizio della verità. A rendere il tutto ancora più grottesco, poi, è uscita la notizia dell’interesse del Milan per Lukaku.

Venerdì 23 giugno l’Inter ha soffiato al Milan Marcus Thuram. In quell’esatto momento, più che la delusione per un derby di mercato perso (l’ingaggio e il bonus alla firma erano fuori scala, inoltre Thuram sembra servire molto di più a Simone Inzaghi piuttosto che a Stefano Pioli), si è manifestata chiaramente la presunta inadeguatezza — a oggi — della nuova dirigenza rossonera. L’amministratore delegato Giorgio Furlani non ha alcuna esperienza nel calcio né nel calciomercato, Geoffrey Moncada non è un direttore sportivo e Pioli, che secondo le ricostruzioni giornalistiche dovrebbe svolgere un ruolo ancora più decisionale, una sorta di manager all’inglese, è apparentemente sparito da un mese. Negli ultimi due giorni sono stati anche confermati due acquisti potenzialmente interessanti, il centrocampista inglese Ruben Loftus-Cheek e il diciottenne argentino Luka Romero, oltre all’ufficialità del secondo portiere, Marco Sportiello, ma è il 30 giugno e il Milan ha perso Ibrahimović, Maldini, Massara e Tonali, non ha un direttore sportivo e sul mercato segue profili come Scamacca e Singo. Come si dice? Potrebbe andare peggio, potrebbe piovere? Beh, oggi, a Milano, piove.