Tutte le tappe del disastroso anno di Mané al Bayern Monaco

Sembrava un'operazione di mercato perfetta, alla fine è stata una clamorosa delusione.

La storia di Sadio Mané con il Bayern Monaco è durata un annetto o poco più. Era iniziata sotto i migliori auspici ed è finita con la voglia, da entrambe le parti, di voltare pagina dopo dei mesi davvero difficili, ben oltre il limite della sopportazione. Sembrava assurdo un anno fa: ma tra equivoci sui moduli e sulla posizione in campo, insofferenze, infortuni e rapporti difficili, Mané sarà ricordato come una grossa delusione, contrariamente alle ottime premesse iniziali, alle grandi aspettative collettive che si erano determinate nel momento in cui il senegalese aveva deciso di trasferirsi a Monaco, chiudendo la sua straordinaria esperienza con il Liverpool. La convinzione che Mané fosse l’uomo giusto, da parte del Bayern, traspariva dal fatto che, pur di accaparrarselo, la dirigenza gli avesse proposto un triennale: in questo modo aveva infranto la regola non scritta per cui ai giocatori dai trenta in su vengono offerti contratti di uno, massimo due anni. Per non parlare dell’ingaggio da venti milioni lordi: raro, se non rarissimo, trovare cifre simili nella storia recente del Bayern.  Soprattutto per il contratto di un nuovo acquisto. Ma per Mané si era fatta anche questa eccezione.

Non sembrava troppo, a prima vista. D’altronde si parlava di un giocatore che aveva vinto tutto e da protagonista, abituato a disputare partite di altissimo livello, con un rendimento eccellente e costante. L’uomo perfetto, l’innesto ideale, e anche il secondo posto al Pallone d’Oro 2022 era un highlight importante del suo curriculum. Il suo passaggio al Bayern sembrava un affare da qualsiasi punto di vista: Mané parlava un tedesco praticamente da madrelingua dati i suoi trascorsi a Salisburgo, aveva la possibilità di integrarsi velocemente in spogliatoio, anche per il suo carattere che a Liverpool lo aveva reso uno dei giocatori più amati dentro e fuori l’ambiente del club. «Sadio è umile e sta coi piedi per terra, è una persona straordinaria che ha migliorato il club e la squadra sin dal primo momento in cui è arrivato», aveva detto Julian Nagelsmann. Proprio il (fu) tecnico del Bayern era stato uno dei principali sponsor del trasferimento, per stessa ammissione di Mané.

Considerata la cessione di Robert Lewandowski in direzione Barcellona, il grosso enigma dell’estate 2022 a Monaco era relativo alla posizione in campo, al modo in cui il Bayern si sarebbe adattato a Mané – e viceversa.  Nagelsmann l’aveva risolto prontamente, già a partire dalla tournée estiva negli Stati Uniti, varando un 4-2-2-2 che in qualche modo ricordava il primo Manchester City di Guardiola, con Mané tra le due punte a sinistra, a dividersi l’attacco insieme a Gnabry, altro giocatore capace di attaccare la profondità e con il passo veloce per ribaltare il fronte; alle loro spalle, due fantasisti come Müller e Musiala schierati larghi e chiamati a stringere.

«Mané giocherà come attaccante», aveva preannunciato Nagelsmann. E così è stato. Tanto più che il Bayern sembrava essersi perfettamente alle sue caratteristiche, La soluzione tattica aveva fruttato 11 gol solo nelle prime due uscite, nella Supercoppa contro il Lipsia e alla prima di campionato contro l’Eintracht. Si arriva a 20 ampliando alle prime quattro, con quasi 13 xG accumulati — tutte vittorie, chiaramente. Un anno fa, di questi tempi, il Bayern era una squadra in grado di ribaltare il campo con tre passaggi in verticale, con Musiala a ballare tra le linee nella zona centrale del campo partendo dal lato mancino, per poi innescare gli scatti delle due punte. Il bilancio di agosto di Mané è stato di quattro gol buoni, più altri tre annullati dal Var per questioni di centimetri.

La frenata di inizio settembre, inaspettata e improvvisa e per certi versi casuale , tre pareggi e una sconfitta in Bundesliga, ha fatto suonare un primo campanello d’allarme nella testa di Nagelsmann. L’allenatore del Bayern era già sotto pressione, in quel periodo: l’eredità di Lewandowski e la conseguente mancanza del tanto famigerato Neun erano un tema costante nelle conferenze stampa, sui social e anche nei corridoi di Säbener Strasse, tanto che da inizio ottobre l’unico con caratteristiche da prima punta “classica”, vale a dire Choupo-Moting, è diventato imprescindibile. La serie di vittorie ottenuta dopo il 2-2 nel Klassiker sul campo del Dortmund (con gol subito al 95’ e furia di Kahn annessa) non ha fatto altro che consolidare la posizione di Choupo nelle gerarchie. E questo ha cambiato la stagione di Mané, che a partire da fine settembre è finito sull’esterno sinistro del 4-2-3-1. Una scelta fatta «per cercare di dargli ritmo», secondo Nagelsmann. Non a caso, viene da dire, il 4-2-3-1 era ed è anche il modulo preferito di Uli Hoeness, che in passato aveva criticato la scelta di giocare con una difesa a tre.

Con il passaggio al nuovo sistema, Mané è stato chiamato a fare un lavoro poco consono alle sue caratteristiche: puntare l’uomo, provare a saltarlo partendo da fermo, non in situazione dinamica e quindi senza grandi spazi. In questo modo, si erano di fatto azzerate le possibilità di incidere in una squadra che manteneva un baricentro alto, ma che andava a cercare una manovra avvolgente, con dominio territoriale praticamente totale. Una squadra che aveva iniziato a giocare come piace ai piani alti, anzi, molto alti. I dati di Fbref raccontano questa mutazione non proprio riuscita: la percentuale di dribbling riusciti di Mané era del 45,3%, quando invece nelle tre stagioni precedenti non era mai scesa sotto il 56,9%; i tackle subiti nelle situazioni in cui ha provato a saltare l’uomo sono stati il 47,2%, quasi sette punti percentuali in più rispetto alla media delle stagioni dal 2017 al 2022. Nagelsmann non ha mai smesso di credere che, prima o poi, il vero Mané si sarebbe visto. Forse, ipoteticamente, quando avrebbe riproposto l’assetto con cui aveva iniziato la stagione. Solo che quel ritorno alle origini non è mai arrivato.

La seconda metà di stagione è stata inevitabilmente condizionata dal grave infortunio alla testa della tibia rimediato contro il Werder Brema l’8 novembre, in quello che sembrava un normale contrasto di gioco. Tre mesi di stop, almeno, e Mondiale da guardare sul divano. Nemmeno un mese dopo il secondo posto al Pallone d’Oro, nello stesso anno del rigore decisivo in finale di Coppa d’Africa e di quello per staccare il pass per il Qatar. Una botta psicologica difficilissima da gestire e da cui, probabilmente, Mané non si è mai davvero ripreso. A metà marzo Kerry Hau scriveva su Sport1 che dal suo rientro, avvenuto il 26 febbraio contro l’Union Berlino, «Mané non è mai sembrato in condizione, ha sempre faticato nei duelli, in particolare durante gli allenamenti, ed è sembrato un corpo estraneo rispetto al resto della squadra». Di un Bayern che, in quel momento, doveva considerato una contender anche per la Champions League, con lo scalpo del Psg in tasca e otto vittorie in otto partite. A proposito di Psg: a causa dell’infortunio, Mané ha messo insieme appena otto minuti contro la squadra francese, tutti nell’ultimissimo segmento del match di ritorno, a qualificazione ormai acquisita. Di quella partita la Bild avrebbe raccontato come la squadra percepiva un Nagelsmann «intimidito dalle lamentele accese di Mané dopo che aveva giocato solo otto minuti», e che «la scelta di schierarlo da titolare nel match successivo sembrava una sorta di risarcimento».

Nella sua unica stagione al Bayern. Mané ha accumulato un minutaggio complessivo di 2.204′, con 12 gol segnati e sei assist serviti (Alexander Hassenstein/Getty Images)

Le cose sono precipitate sotto la gestione Tuchel, che ha riproposto in pianta stabile quel 4-2-3-1 tanto apprezzato in società. All’esordio sulla panchina bavarese ha escluso Mané dalla formazione titolare nel Klassiker contro il Borussia Dortmund, che in linea teorica doveva essere decisivo ma poi lo è stato solo in minima parte, e per concedergli solo una passerella finale; nelle gare tra campionato e coppe lo ha fatto danzare tra campo e panchina, complici le condizioni precarie del ginocchio di Choupo-Moting, che avevano di fatto liberato lo slot da nove. Già a quel punto, però, la sensazione era che Mané non fosse più il valore aggiunto che si credeva, specie nella serratissima lotta a colpi di autolesionismo contro il Dortmund per il Meisterschale. L’atmosfera intorno a lui si era fatta cupa dopo quanto accaduto negli spogliatoi dell’Etihad, quando la ferita inferta dal City di Pep (3-0) era ancora fresca. Un movimento sbagliato in campo, il rimprovero da parte di Sané, il pugno sferrato al volto del tedesco dopo la discussione, il labbro aperto esposto pubblicamente al rientro in aeroporto. Una vicenda che gli è costata una multa salatissima, si dice mezzo milione di euro, e quattro giorni passati fuori rosa. La spaccatura definitiva, certamente non ricucita dal colpo di testa sul campo del Mainz — unico gol di tutto il 2023, peraltro inutile vista la sconfitta finale per 3-1 maturata in uno dei tanti blackout vissuti dal Bayern.

La coda dell’avventura bavarese è stata emblematica di un rapporto ormai del tutto deteriorato: un quarto d’ora – recupero compreso – nelle ultime tre partite, quelle teoricamente decisive per il titolo. A Colonia, dove il Bayern ha festeggiato l’undicesima Bundesliga consecutiva, è rimasto a guardare dall’inizio alla fine. Nel momento chiave della partita e della stagione, quando un gol avrebbe portato il Bayern a vincere il titolo, Tuchel ha fatto entrare il diciottenne Mathys Tel. A Mané non era mai capitato, in tutta la stagione, di restare seduto dall’inizio alla fine di una partita.

È stata la pietra tombale sul rapporto con Tuchel e in generale con il club: la spasmodica ricerca di una punta di ruolo, partita già in aprile, e le tacite conferme di Gnabry, Sané e Coman sugli esterni – più Musiala e Müller all’occorrenza – gli hanno chiuso ogni tipo di spazio. Tanto che il club, entrato nel frattempo in un nuovo corso dirigenziale, gli ha fatto cordialmente sapere che non faceva più parte dei piani per la stagione. E così, a 31 anni, reduce da sei mesi di basso livello, con il meglio probabilmente alle spalle, un contratto da 20 milioni lordi l’anno e una richiesta da parte del Bayern di almeno 20-25 milioni di euro, l’unica destinazione realistica è stata l’Arabia Saudita. L’Al-Nassr ha presentato una proposta che accontentava tutti, il Bayern ha salutato a cuor leggero Mané e il giocatore ha deciso di provare questa nuova esperienza. Un anno dopo, l’attaccante arrivato per essere il leader tecnico era già diventato un peso. Ai giornalisti di Monaco, durante la presentazione a cui ha preso parte lo scorso 23 luglio, aveva detto: «Mi ammazzate ogni giorno e ora volete parlare?». Era stato un momento imbarazzante, ma anche quello ormai appartiene al passato. Per fortuna di tutti, forse.