Undici record mondiali, 26 medaglie d’oro internazionali, tre medaglie olimpiche, 19 medaglie mondiali, 37 europee. Federica Pellegrini due anni fa ha chiuso la sua bacheca di trofei, ha abbandonato i ritmi da sportiva, scanditi al secondo in tutto, e si è ritirata da quello che l’ha resa l’atleta italiana più decorata di sempre per iniziare un nuovo percorso fatto di ritmi completamente differenti, di spettacolo – è stata giudice di Italia’s Got Talent e partecipato a Pechino Express – ma anche e ancora di sport, questa volta visto da un osservatorio diverso, decisamente più istituzionale, diventando membro del Comitato olimpico internazionale. Federica Pellegrini non si ferma, va avanti, fluida. Forse perché ha fatto propria la caratteristica dell’elemento in cui ha vissuto per vent’anni. Per dire addio alle gare non ha avuto bisogno di psicoterapia, ci è arrivata naturalmente, così come allo stesso modo sta affrontando le nuove sfide che lei stessa e chi l’ha scelta le ha messo davanti. Si muove fluida. “All’acqua, maestra di tutto” recita l’esergo della sua biografia Oro, uscita lo scorso 16 maggio, duecento pagine di racconto in prima persona, senza capitoli, senza titoli. Un rivo fluido, che a volte è calmo e altre irrompe, come fa l’acqua. Più o meno come ha fatto anche Federica Pellegrini, nella sua carriera finora e in quella del futuro.
Ⓤ: Partiamo dai tuoi inizi, come ti sei approcciata al nuoto e quando hai capito che questa era la cosa che volevi fare?
«Sono due momenti diversi. Il mio primo approccio al nuoto è stato per volontà dei miei genitori, ero molto piccola, ho iniziato prestissimo con i corsi di ambientamento in acqua per neonati. Ma la volontà di continuare è stata solo mia. Intorno ai sei anni ho provato a fare uno sport più artistico, ma qualche mese dopo sono tornata subito in vasca: lì ho capito che come mi sentivo in acqua non mi sentivo centrata da nessun’altra parte. E ci sono rimasta fino a due anni fa».
Ⓤ: C’è stato un momento in cui hai capito che non solo quello era un tuo elemento, ma che era dove avresti trovato il successo?
«Ho capito davvero di essere forte in quello che facevo dopo il primo titolo assoluto vinto, intorno ai 14-15 anni. Prima non l’avevo ancora capito. Durante lo sviluppo mi sono alzata molto, molto in fretta e questo ha cambiato le mie potenzialità in acqua e di lì a poco sono arrivati dei risultati quasi inaspettati. Dopo i campionati assoluti di Livorno, a sedici anni sono tornata dalle mie prime Olimpiadi, quelle di Atene, con una medaglia di argento».
Ⓤ: C’è uno sportivo che ti ha ispirato e che è stato un tuo modello?
«Quando ero più giovane mi piaceva moltissimo Franziska van Almsick, un’atleta che ha dato al nuoto un’allure un po’ più glamour. La trovavo molto affascinante, era la detentrice del record del mondo dei 200 metri stile libero, però aveva intorno questa luce che spostava la sua immagine anche oltre vasca. Poi crescendo ho iniziato ad ampliare lo sguardo alle leggende dello sport in generale. Sono molto legata a Roger Federer, l’ho studiato molto, forse anche perché le nostre carriere si sono sovrapposte, visto che ha finito un anno fa».
Ⓤ: Com’è che si diventa Federica Pellegrini?
«È una domanda che mi fanno spesso i genitori dei bambini che incontro in piscina. Non è facile come risposta perché ogni individuo è a sé stante. La mia carriera agonistica e la mia vita privata sono state fatte di tanti alti e bassi, mi è successo un po’ di tutto. Se dovessi dire una sola cosa, oltre a tutto il resto, direi allenandosi tantissimo».
Ⓤ: Quando si fa sport a livello agonistico si sacrifica tanto, soprattutto da ragazzini. C’è stato un momento in cui hai detto “chi me lo fa fare”?
«In età adolescenziale non ho mai avuto dubbi su quello che stessi facendo, non ho mai vissuto il mio sport come qualcosa che mi levasse tempo. Quelli che ho fatto non li ho mai vissuti come sacrifici, era la mia strada, l’avevo scelta io, quindi per me era normale che perdessi più tempo a nuotare piuttosto che uscire alla sera con gli amici o altre cose. Ho cominciato ora a farle perché ho più tempo e perché la mia priorità è altro».
Ⓤ: Quanto conta l’aspetto mentale nella tua carriera e nella carriera di uno sportivo?
«In qualsiasi percorso, che sia sportivo o lavorativo, la testa è fondamentale. Il tuo mindset, la tua forza di sopportare i momenti difficili, quelli che mettono in dubbio tutto quello che stai facendo, ti permettono di fare click e andare oltre. Se hai una mente preparata non dico che è facile, per me non è mai stato facile, però amavo alla follia quello che facevo, volevo continuare a farlo, quindi quel click arrivava sempre».
Ⓤ: È un argomento di cui si parla molto adesso, per molte ragioni. Cosa pensi di questa quasi nuova importanza della salute mentale?
«Sì, oggi sta diventando un punto fondamentale, ma doveva esserlo già da anni. Deve diventare normale che sia necessario avere un supporto in determinate occasioni, in qualunque ambito e non solo nello sport. Io per esempio non ho problemi a dire di avere avuto bisogno sin da subito di una persona che mi aiutasse da questo punto di vista. Forse perché di base sono una persona molto introspettiva, forse perché per le donne in generale è più facile. Nello sport maschile invece c’è ancora molta diffidenza, per fortuna adesso si comincia a parlarne, non solo nello sport, e questo non può che far bene».
Ⓤ: Immagino sia stato utile anche nell’approcciare la decisione che hai preso ormai due anni fa, ovvero di lasciare il nuoto agonistico. Come hai capito che era arrivato il momento giusto?
«La scelta che ho preso due anni fa in realtà è venuta molto naturalmente, non ho avuto bisogno di sedute di terapia. È venuta molto naturalmente perchè il bello dello sport è che ti mette molto a contatto con il tuo corpo, tutto deve essere sincronizzato, dalla mente al tuo fisico, dalle passioni alla tua voglia di vincere, dalla fame agli allenamenti. Tutto deve andare in simultanea. Quando qualcosa rimane indietro, nel mio caso è stato il corpo a non rispondere più allo stesso modo, capisci che qualcosa deve cambiare. Per una persona orgogliosa come me fare un passo indietro era la soluzione giusta. Dopo vent’anni di podi e successi perdere non era una soluzione tollerabile, non me lo sarei mai perdonato».
Ⓤ: Il vero sportivo sa quando dire stop. Adesso come si svolgono le tue giornate?
«Il primo mese non è stato facilissimo. Ho dovuto cancellare quello che avevo fatto per vent’anni, resettare orari scanditi al millesimo di secondo. Le giornate di uno sportivo girano tutte intorno al nostro sport, quindi da un giorno all’altro questa concezione del tempo si ribalta completamente. Anche se per assurdo avevo molti più impegni di prima, magari condensati in due giorni, in tre parti diversi d’Italia, mi ritrovavo con un weekend “lungo” dove potevo fare quello che volevo. Avevo più tempo libero, mi sono trovata spiazzata. Cos’è un weekend lungo? Io prima finivo il sabato a mezzogiorno e il lunedì alle 8 ero già in acqua. Si sfasa tutta la concezione del tempo e questo per me, che sono un po’ un soldato, non è stato così facile da accettare».
Ⓤ: Sei stata e sei una delle sportive più conosciute e seguite. In Italia a livello femminile l’elemento sport che si mescola allo spettacolo è ancora molto insolito. Come hai portato avanti questi elementi? Quando gareggiavi ti ha distratta dal tuo focus?
«Io ho sempre avuto molte proposte dal mondo dello spettacolo anche economicamente molto importanti. Non ho paura a dirlo, si trattava di cifre che nel nostro sport non vediamo mai. Per chi non lo sapesse, il business che gira attorno al nuoto non è quello del calcio, gli introiti maggiori arrivano dagli sponsor, e cioè quello che facciamo al di fuori del nostro sport. Nonostante questo ho sempre rifiutato. La mia priorità era il nuoto. Nel 2018 sapevo che si arrivava all’ultimo biennio olimpico e quindi mi sono detta “rallentiamo con gli allenamenti”. Lì è arrivata la proposta di Italia’s Got Talent. Fare tv mi ha aiutato tantissimo, perché il nuotatore è una bestia strana, è un solitario, è convinto di sapere fare solo quello. Quindi trovarmi abbastanza centrata in un mondo che non conoscevo così bene, per cui non mi ero allenata, ma in maniera molto naturale, mi è servito tanto. Per questo ho deciso di continuare e di vedere come procede».
Ⓤ: Oltre che nel mondo dello spettacolo sei entrata nel Cio, il Comitato olimpico internazionale, con un ruolo importante a livello istituzionale.
«Il mio ruolo nel Cio devo dire che mi ha un po’ salvata. Rimanere legata al mio ambiente, anche se sotto altre vesti, ha evitato il distacco netto da ciò che stavo facendo prima. Non potevo chiedere di meglio che farlo ai massimi livelli, dalla stanza dei bottoni dell’organizzazione delle Olimpiadi».
Ⓤ: Che effetto ti fa vedere tutta questa macchina da un altro punto di vista?
«Strano, perché da atleta certe cose non le conosci, infatti ho faticato molto nei primi mesi a entrare nel meccanismo. Da atleta vedi solo quello che ti serve: il palazzetto del nuoto, il villaggio olimpico. Non ti fermi mai a pensare cosa ci sia dietro. Io faccio parte della commissione atleti del Cio, quindi sono a contatto diretto con tutte le commissioni nazionali. É bello perché la lingua è quella dell’atleta, non del politico sportivo. Mi piace molto».
Ⓤ: Visto che l’hai vissuto anche dall’altra parte, quali sono gli obiettivi su cui ti piacerebbe concentrarti nei prossimi anni? Cosa vorresti cambiare?
«Si tratta di un lavoro di gruppo, dove si scelgono delle tematiche importanti sulle quali si procede per step. Di sicuro il benessere mentale è una di queste, ma anche il ruolo della donna all’interno dello sport. Da Tokyo siamo usciti con una parità di genere a livello atletico, ma appena facciamo un passo verso il lato dirigenziale questa percentuale scende drasticamente. La domanda è: perché? La risposta è molto semplice: perchè la donna è sempre portata a dover scegliere, ancora, e su questo secondo me si può ancora migliorare».
Ⓤ: Visto che stiamo parlando di futuro. Hai già deciso cosa farai da grande? Come vedi Federica Pellegrini fra cinque anni?
«Per vent’anni, quando nuotavo, ho sempre saputo cosa avrei fatto: quella corsia, quelle piastrelle, quella linea nera, quella palestra, quella scadenza nelle gare, quella successione nelle gare importanti. Quella routine, sempre. Adesso devo dire che mi piace essere sorpresa da quello che faccio. Sto facendo più cose, molto diverse fra loro. Forse questo approccio ce l’ho proprio perché per vent’anni ho fatto sempre e soltanto una cosa. Ora sto valutando diverse possibilità, non ho voglia di sceglierne una».
Ⓤ: Cosa ti aspetti dal futuro dello sport? Come te lo immagini lo sport del futuro?
«Nonostante tutto mi immagino uno sport legato molto alle tradizioni. Penso soprattutto alle Olimpiadi e quindi a quegli sport che le rappresentano da sempre. Mio nonno faceva lotta greco romana, per dire. Ora la tendenza è fare diventare lo sport sempre più fruibile alle nuove generazioni, abbiamo visto l’ingresso dello skate, vedremo a Parigi l’ingresso della Break dance. Lo ritengo giusto, ma secondo me non dobbiamo perdere di vista da dove veniamo, le nostre radici devono mantenersi forti a terra. É una cosa in cui credo molto nella mia vita personale, quindi se mi devo immaginare uno sport del futuro è sicuramente con il tronco ben saldo a terra con le sue radici, da cui però può sperimentare alzandosi verso il cielo».
Ⓤ: E dal punto di vista dello sport femminile?
«Mi piacerebbe entrare in una piscina e vedere un egual numero di allenatori uomini e allenatrici donne».