Tutti volevano bene a Carlo Mazzone

Un allenatore d'altri tempi ma anche un gestore di campioni, un padre emotivo ma anche un tecnico con grandi intuizioni: il lancio di Totti, l'invenzione di Pirlo alla regia, la convivenza perfetta con Roberto Baggio.

Quando ho letto la notizia della morte di Carlo Mazzone, ho twittato d’istinto: Ciao Carletto, ti abbiamo voluto bene, insieme a una foto in cui ha una bella espressione, con gli occhi stretti, un po’ ironica, che guarda verso qualcuno. Ho istintivamente usato il plurale, perché non vi è alcun dubbio che gli abbiamo voluto bene tutti quanti. Chiunque ha seguito il calcio negli anni in cui ha allenato e forse anche un po’ dopo non può non amarlo. E questo è anche il motivo per cui ho scelto la foto curandomi della sua espressione soltanto e non della squadra di cui indossava la tuta. Carletto ha allenato sempre la stessa squadra, la nostra, quella della domenica pomeriggio, quella pronta a giocare dopo pranzo, che fosse l’Ascoli, il Cagliari, il Brescia, la Roma, il Napoli, il Lecce, il Pescara, il Bologna, il Perugia, la Fiorentina, il Catanzaro, il Livorno. Le elenco in ordine casuale e non cronologico, preferisco andare a memoria e forse qualcuna manca. 

A memoria, perché Carletto Mazzone me lo ricordo, che si incazza e ride, che parla a bassa voce e ogni tanto urla, me lo ricordo con quell’aria da papà, e non a caso forse è nato il giorno della festa del papà del ’37. Me lo ricordo Carletto, tuta e berretto, il braccio alzato a dire vai qua e vai là. Me lo ricordo Carletto delle intuizioni, del campo fangoso, della battuta pronta, di Novantesimo Minuto, di chi ha sempre avuto l’aria di stare stretto in una giacca, in un cappotto. Mazzone me lo ricordo perché era il campo, era la panchina e il prato, era tu entri, tu esci, era quello della carezza, era quello di Totti, quello di Baggio, quello di Pep Guardiola, ma pure quello del terzino di cui non ricorderemo mai il nome. Quello dei fratelli Filippini. Mazzone che telefona a Baggio per dirgli di andare a Brescia, che si ritrova Signori a Bologna, Mazzone che a Napoli è stato troppo poco. Mazzone è l’uomo che arretra Pirlo, che inventa Pirlo e Ancelotti poco dopo capisce che Carletto aveva ragione. Allora forse a Carletto dobbiamo pure il Pirlo che ha incantato tutti. Mazzone che corre come una furia sotto la curva avversaria, le foto di quei momenti sono tra le più scaricate tra quelle sportive, quasi quanto il gol di Baggio alla Juve su lancio di Pirlo. Anche quello era il suo Brescia.

A memoria, perché Mazzone sembra aver allenato duemila anni fa eppure era ieri, sembra un altro mondo più che un’altra epoca. Tutto era più vicino, anche se in tv si vedeva ben poco, tutto era (o almeno sembrava) più umano. A memoria perché con Mazzone saresti andato a cena, e magari gli avresti chiesto un consiglio su qualunque cosa. A memoria le 792 panchine in Serie A, un record e poi 1278 totali (altro record). Un allenatore d’altri tempi? Sì. Ma chi dice che non sarebbe stato bene in questi tempi, alla fine lo sapeva meglio di tanti che la differenza la facevano i calciatori: «Gestire Roberto Baggio è stata una passeggiata. Era un amico che mi faceva vincere la domenica», disse Mazzone,  che quindi sapeva come il calcio trattava di sponde e rimbalzi, di una palla che rotola e che bisogna farla rotolare dalla parte giusta. Carletto lo sapeva che tra la gioia e la pena era questione di niente, ma teneva la testa alta anche nei momenti cupi. Lo sapeva vedere un calciatore come quando disse a Sensi di non prendere Litmanen, che tanto c’avemo il ragazzino. Quel ragazzino era Francesco Totti.

Mazzone me lo immagino in questa corsa perpetua sotto la curva dell’Atalanta a rivendicare per sempre il terzo gol, quello del pareggio, ma di più lo immagino a toccare l’erba, a sentire il vento, a scrutare tra nebbia e fango, a dire a un ragazzo in panchina di alzarsi e accompagnarlo fino alla linea laterale, come t’accompagna un padre. Mazzone lo immagino sorridere sornione su uno schema, sul pressing, sul contropiede, sull’essere o meno troppo difensivista, sentirlo ripetere la frase: «Mi piace il tridente, ma guai a farlo diventare stridente». Pensiero filosofico, modo di sdrammatizzare, aria di chi la sa lunga, di uno che riporta tutto alla semplicità, perciò a casa. E poi quella frase potrebbe anche volendo essere l’attacco di una poesia, che dispiega i versi come uomini sul terreno di gioco, ma poi Mazzone ti direbbe che l’ultimo verso non lo puoi sbagliare, e l’ultimo verso è: dai la palla a Roberto Baggio.

In Serie A, Carlo Mazzone ha allenato Ascoli, Fiorentina, Catanzaro, Lecce, Cagliari, Roma, Napoli, Bologna, Perugia, Brescia e Livorno. La sua ultima panchina risale al 2006 (Getty Images)

Mazzone era altissimo, tipo 1.90, e da quell’altezza ci ha guardato tutti, mi pare ci abbia sempre ricordato che il calcio è un gioco ma poi è una grande passione, e allora ci devi buttare il sangue ma devi anche divertirti. A Carletto gli hanno intitolato la tribuna est dello stadio di Ascoli ma io gli dedicherei un campo di gioco, uno di quelli di periferia, uno di quelli da cui può saltar fuori un altro Totti, un altro Pirlo. Mazzone che sembra un personaggio di Malamud, che somiglia (guardatelo bene) un po’ a Brodskij ma pure ai nostri nonni. Mazzone che in un film avrebbe un ruolo secondario ma che gli spettatori non dimenticherebbero, anche se recitasse una sola, unica battuta. Mazzone che fa letteratura sportiva a sé.

Siamo nel 2023, Mazzone ha smesso di allenare nel 2006, sembrano passati mille anni, chissà come gestirebbe il calcio di oggi, chissà cosa se ne farebbe di tutte quelle telecamere, dei calciatori sempre sugli smartphone, delle interviste prima, durante e dopo le partite. Chissà se avrebbe voglia di spiegare una mossa tattica all’ennesimo giornalista che glielo domanda o se risponderebbe, scrollando un po’ la testa, che l’allenatore fa poco o niente, che tutto sta nei piedi dei calciatori. Carletto Mazzone è nato il 19 di marzo ed è morto il 19 agosto, che è adesso, mentre sta cominciando un altro campionato che forse dovremmo dedicargli, ricordandoci che si tratta di un gioco che a volte riesce bene e altre male, che qualcuno ha Roberto Baggio e qualcun altro no.