Benvenuti nella casa della Ryder Cup

Intervista con Emilio Carbonera Giani, CEO del Marco Simone Golf & Country Club: è qui che si disputerà il torneo golfistico più importante che c’è, per la prima volta in Italia.

Negli anni Settanta, un vecchio castello alle porte di Roma, abbandonato da secoli, venne dotato di una nuova ita. Laura Biagiotti, insieme al marito, decise di acquisirne la proprietà, per porvi la propria residenza. Qualche anno più tardi, nel 1989, venne costruito un campo da golf: il primissimo mattone posto per l’arrivo della Ryder Cup in Italia. Il più grande evento golfistico al mondo arriva qui, al Marco Simone Golf & Country Club, località di Guidonia Montecelio, a pochi chilometri da Roma. Già sede degli Italian Open in quattro edizioni (1994 e dal 2021 al 2023), la Ryder Cup è l’appuntamento globale in grado di elevare non solo lo status del club romano, ma l’intera dimensione del golf italiano. Sarà appena la terza volta nella storia che l’evento, quando tocca all’Europa, non sarà ospitato da campi britannici o irlandesi: era già successo nel 1997 con la Spagna e nel 2018 con la Francia.

Potevamo immaginare che un appuntamento sportivo che richiama a livello mondiale oltre un miliardo di spettatori finisse proprio da noi in Italia? «Lavinia Biagiotti, presidente del club, e il numero uno della Federazione Franco Chimenti raccontano sempre di essere stati visti come dei pazzi, quando hanno avanzato l’idea di promuovere la candidatura italiana», ricorda Emilio Carbonera Giani, CEO del Marco Simone Golf Club & Country Club. «Un percorso cominciato otto anni fa, un po’ contro tutto e tutti. Grazie al loro impegno, alla loro costanza, alla voglia di investire di Lavinia Biagiotti in qualità di privato, ce l’abbiamo fatta. È stata una prova di efficienza italiana. Essere arrivati pronti, nei tempi stabiliti, al netto dello slittamento di un anno della competizione dovuto al Covid, è un altro elemento importante. Siamo molto orgogliosi del lavoro svolto».

Ⓤ: Partiamo dalla fine: com’è cambiato il Marco Simone, nell’immediata vigilia della Ryder.

«Innanzitutto il campo ha subito modifiche importanti: una vera e propria ricostruzione, non c’è termine più idoneo. La struttura del campo è stata modificata per rendere lo spettacolo il migliore possibile e per garantire agli spettatori la miglior esperienza possibile. La forma a catino ricorda vagamente quella di uno stadio e garantisce agli spettatori di potersi sedere sul prato e assistere a due-tre buche. Il percorso è stato strutturato tecnicamente per rendere ancora più interessante la competizione, con buche lunghe che si alternano a buche corte, più alcune intuizioni: per esempio, la buca più spettacolare è la numero 16, quella dove statisticamente si decide la Ryder. Infine, sono state scelte delle ricette di erbe particolarmente belle dal punto di vista dei colori, in modo da favorire le riprese televisive».

Ⓤ: Già, perché la platea di spettatori attesi, in loco come collegati da ogni parte del mondo, è una componente fondamentale del prestigio della Ryder Cup.

«La Ryder Cup è il terzo evento sportivo al mondo. Ci saranno tre giorni di gare, dal venerdì alla domenica, ma in realtà la competizione animerà il club per sei giorni complessivi, tra prova del campo, All-Star Game, e altre manifestazioni. Ci aspettiamo di ricevere circa 50mila spettatori ogni giorno, e quindi di accogliere complessivamente circa 300mila persone. Ma abbiamo anche pensato ai telespettatori, che si stima saranno tra il miliardo e il miliardo e mezzo. Un aspetto che abbiamo tenuto presente al momento di optare per soluzioni spettacolari, per agevolare riprese televisive ai massimi livelli».

Il campo da golf del Marco Simone Golf & Country Club è stato costruito nel 1989, qualche anno dopo l’acquisizione da parte di Laura Biagiotti e del marito dell’area circostante, in cui sorge un castello che è stato completamente restaurato.

Ⓤ: E poi c’è il tema sostenibilità, quando si è badato al restyling di campo e aspetti annessi.

«Gli interventi realizzati in ottica Ryder Cup hanno cercato di rispettare nel modo più attento possibile le logiche green. La struttura del campo a catino recupera le acque piovane, risolvendo parzialmente uno dei problemi maggiori dei campi da golf, quello di consumare moltissima acqua. Poi abbiamo scelto il paspalum, un’erba particolarmente verde, che necessita di minor irrigazione. Abbiamo un sistema di illuminazione molto efficiente, anche questo pensato per un approccio sostenibile, e abbiamo dotato il campo di energie alternative: per esempio, il 25 per cento circa dei consumi della clubhouse viene procurato attraverso pannelli fotovoltaici».

Ⓤ: Quanto si respirerà l’italianità nel corso della manifestazione?

«Siamo a Roma, e questo ha aiutato nella scelta della nostra candidatura. Da alcune buche del percorso si può vedere in lontananza la Cupola di San Pietro. L’italianità è qualcosa che si respira a fondo, perché le persone che lavorano quotidianamente per far sì che la Ryder sia un successo sono italiane, con i nostri modi, la nostra cultura. L’organizzazione ha poi fatto in modo che si evitasse di arrivare in automobile al club, facilitando così la permanenza delle persone a Roma, che saranno così immersi nella vita della Capitale, a cena, di sera, e così via. Qualcosa che dal punto di vista dell’indotto economico porta certamente grandi benefici, e stiamo parlando, a giudicare dai biglietti venduti, di persone che arrivano in larga maggioranza da Paesi esteri. E poi anche all’interno del campo si è cercato di recuperare elementi della nostra storia in un senso decorativo. Per esempio, la tribuna 1, da dove parte la competizione e dove nel corso della Ryder Cup si assiste a un tifo più calcistico che golfistico, è stata disegnata per assomigliare al Colosseo».

Ⓤ:  Cosa lascerà la Ryder Cup all’indomani del torneo?

«Nel caso di grandi eventi come Mondiali o Olimpiadi, quando vengono stanziati investimenti molto ingenti, la sfida è quella di dover far vivere le strutture che vengono costruite ex novo. Il nostro caso è molto diverso, non ci sono strutture che rimarranno inutilizzate: il rifacimento del campo da golf è ovviamente un lavoro che sarà sfruttato e che attirerà anche turisti dall’estero. Il lascito che la cittadinanza avrà dalla Ryder Cup saranno le nuove strade di accesso costruite per congiungere Roma e il Marco Simone, così da permettere di impiegare meno tempo nel percorso tra la Capitale e Guidonia. Da questo punto di vista, è stato importante anche l’apporto della politica».

In occasione della Ryder Cup, la conformazione del campo è stata pesantemente rivista, per garantire un percorso a buche spettacolare e coinvolgente.

Ⓤ: Cosa può portare un evento del genere al golf italiano?

«Le nostre aspettative sono quelle di veder crescere il movimento negli anni a venire. Non penso necessariamente a un incremento di golfisti italiani tra cinque o dieci anni, ma anche alla capacità del nostro Paese di attrarre appassionati di golf dall’estero. Ospitare la Ryder Cup è un vantaggio comunicativo senza eguali: giocare nel nostro campo equivale a correre sul circuito di Monte Carlo per un appassionato di Formula Uno. È un’esperienza irripetibile che molti golfisti vogliono fare. Ce ne stiamo già accorgendo: il numero di ospiti del club nel corso dell’anno, circa 12mila, è tre volte maggiore di quello dell’anno precedente. Ma bisognerebbe crescere anche a livello di sistema».

Ⓤ: Ovvero?

«Io faccio sempre l’esempio dell’Andalusia: in Costa del Sol hanno trenta-quaranta campi nel giro di venti o trenta chilometri. Il che vuol dire che il turista che arriva dal Regno Unito o dagli Stati Uniti ha la possibilità di giocare in campi bellissimi, tra i migliori d’Europa. Se si vuole trascorrere una settimana “golfistica” non si gioca sette volte su uno stesso campo, ma si vuole avere l’opportunità di testare tre-quattro campi di livello internazionale, per i servizi, per la conformazione del campo, per gli standard di manutenzione, e così via. Dovremmo prendere quel modello e portarlo in Italia, cercando di creare una connessione tra i vari campi da golf, tanto nella zona di Roma quanto con i campi del Nord e del Sud Italia, in modo da offrire ai turisti la possibilità di giocare in più strutture. La sfida del futuro è proprio quella di sfruttare questo evento per promuovere la città e il nostro territorio anche dal punto di vista golfistico».

Da Undici n° 52
Foto di Pietro Bucciarelli