Gli allenamenti dell’AZ Alkmaar sono unici al mondo

Neuroscienze, sedute creative e niente tattica fino ai 16 anni: sembra assurdo, ma è un metodo che funziona benissimo.

Anche se non viene citata quasi mai negli elenchi delle squadre che hanno rivoluzionato o stanno rivoluzionando il gioco, l’AZ Alkmaar è un membro di questo gruppo di società visionarie che hanno un approccio al calcio visionario, non convenzionale, si potrebbe dire anche fantascientifico. È da anni, infatti, che il club olandese ha ideato – e attua –  un modello unico al mondo, soprattutto per quanto riguarda la gestione, lo sviluppo e la valorizzazione dei giovani talenti. I risultati sono enormi, e vanno oltre l’Under 19 campione in carica della Youth League, la Champions League di categoria: anche la prima squadra ne sta traendo enormi benefici, infatti da sei anni non scende sotto il quinto posto in Eredivisie, ha partecipato ai preliminari di Champions nel 2020 e un anno fa ha raggiunto le semifinali di Conference League.

Ma cos’hanno inventato, di preciso, ad Alkmaar? Cosa rende l’AZ un club così peculiare? The Athletic ha scritto un lungo reportage partendo ovviamente dai successi delle giovanili, fino ad arrivare alla squadra senior, che anche quest’anno è impegnata in Conference League – è inserita nello stesso gruppo di Aston Villa, Zrjnjski e Legia Varsavia. Nell’articolo ci sono anche le dichiarazioni di Paul Brandenburg, direttore dell’Academy del club. Ed è proprio da qui che bisogna partire per raccontare la rivoluzione dell’AZ: «È davvero emozionante vedere quanto possiamo ottenere con i giocatori che sono cresciuti nel nostro vivaio». E che, bisogna aggiungere, vivono una routine quotidiana molto diversa dai loro coetanei. Perché i metodi utilizzati ad Alkmaar sono davvero particolarissimi: i ragazzi delle giovanili, infatti, vengono allevati attraverso il supporto della tecnologia neuroscientifica, partendo da dati fisici e tecnici registrati e processati in tempo reale, attuando un modello di tipo biobanding – per cui i calciatori sono divisi non in base alla loro età biologica, ma al loro sviluppo fisico – e senza lavorare sulla tattica fino ai 16 anni.

Quest’ultimo aspetto, soprattutto per noi italiani, sembra completamente fuori dal mondo. E invece ha un senso, quantomeno all’interno dei processi formativi seguiti dai coach dell’AZ: tra i 11 e i 13 anni, l’approccio è essenzialmente tecnico, si potrebbe definire olistico, in pratica gli aspiranti calciatori imparano a stare in campo e a trattare la palla; nei due anni successivi, tra i 14 e i 16 anni, si inizia a lavorare in modo sommario sui principi di gioco. Solo dopo si passa allo studio approfondito dei meccanismi tattici: «La tattica è importante alla fine del percorso universitario», ha spiegato Marijn Beuker, ex direttore dello sviluppo sportivo dell’AZ. «A Alkmaar iniziamo a lavorare su questi aspetti quando i giocatori devono vincere le partite. Prima non lo facciamo, perché è l’opposto della creatività». Proprio questa tendenza alla creatività si riverbera anche nei metodi con cui si svolgono le sedute quotidiane. Un esempio è quello delle palline da tennis, utilizzate come strumento di insegnamento implicito: i difensori le tengono in mano mentre si allenano per evitare che possano trattenere gli avversari per la maglia. E poi, come confessa Brandenburg, «ci piace cambiare la superficie del campo da gioco, infatti abbiamo campi di sabbia e di asfalto. Inoltre variamo anche la dimensione della palla, in modo da allenare la tecnica in situazioni diverse». All’interno dell’Academy, questi stravolgimenti strutturali vengono definiti interruzioni pianificate, e permettono ai calciatori di sperimentare «delle situazioni di merda». Queste parole sono di Beuker, che poi ha chiarito meglio il concetto: «In certi momenti, capiamo chi sono i ragazzi davvero disposti a imparare e a soffrire».

Questo lavoro così estroso e anti-convenzionale ha portato e sta portando i suoi frutti: negli ultimi anni, l’AZ ha formato e poi ceduto giocatori come Koopmeiners, Stengs, Wijndal, Boadu, Reijnders – in realtà il centrocampista del Milan ha iniziato il suo percorso di formazione nel PEC Zwolle e nel Twente, ma poi si è trasferito ad Alkmaar quando aveva 19 anni. Nella stagione 2019/20, i calciatori cresciuti nel vivaio del club hanno giocato il 46,9% dei minuti totali della prima squadra; la rosa gestita oggi da Pascal Jensen, assunto a dicembre 2020, ha un’età media inferiore a 25 anni, ed è composta da otto prodotti delle giovanili che hanno già esordito in Eredivisie. L’obiettivo dichiarato, però, è ancora più ambizioso: avere una squadra composta al 50% da giocatori allevato in casa. Dal punto di vista tattico, lo stile dell’AZ – intendiamo la prima squadra – è coerente con tutto ciò che si fa dietro le quinte e nel contesto dell’Academy: «Le mie idee», ha raccontato il tecnico Jensen, «sono perfettamente collegate con il modello dell’AZ: pressiamo in modo intenso, vogliamo essere dominanti, tatticamente disciplinati ma anche creativi». Servono giocatori giovani e di talento per fare un calcio di questo tipo, ed è un materiale che all’AZ sanno individuare e valorizzare. A modo loro, certo, ma è un modo che funziona.