I cent’anni di Colmar sono un viaggio nello sci italiano

Compie un secolo il marchio che ha fatto la storia dell'Italia sugli sci, e dello stile italiano sulla neve.

In un mondo in cui tutto è veloce, breve, effimero, la memoria sempre più corta, cento anni sono una parola che colpisce. Un secolo, tripla cifra. Il 31 ottobre 2023 Colmar spegne cento candeline. Azienda centenaria, cent’anni di storia famigliare, tutti della famiglia Colombo. Andiamo dall’inizio, perché le storie di famiglia sono le più belle da raccontare e da leggere: è l’autunno del 1923 quando Irma e Mario Colombo, a Monza, aprono una piccola impresa di cappelli di lana. Si sono appena sposati, lì c’è già un distretto manifatturiero florido, tra i più importanti d’Europa. Il nome dell’azienda viene scelto tra pochi amici in un bar, un’esercizio di fantasia scritto su un pacchetto di sigarette. Sono le prime tre lettere del nome e del cognome del fondatore. Rimarrà.

Fanno cappelli, quindi, e anche ghette, che in quegli anni vanno molto tra gli uomini. Li fanno in feltro di lana, utilizzando i coni difettosi. Sono anni difficili, la crisi del 1929 fa tremare le società e l’economia del mondo. Colmar si converte: basta cappelli e ghette, inizia con le tute da lavoro. Di cotone trattato, per operai e benzinai. Arriva negli anni Trenta un’intuizione che a leggerla oggi sembra fantascientifica: le tute vanno bene anche per lo sci, uno sport in rapida crescita – la Fisi nasce nel 1913, soltanto pochi anni prima. Una tuta viene adottata da Leo Gasperl, sciatore austriaco e campione del “chilometro lanciato”, grande innovatore della tecnica con le sue virate a sci paralleli altrimenti dette “curve Gasperl”. Diventa una specie di proto-testimonial, e Colmar realizza per lui un mantello speciale che, gonfiandosi sulla schiena con delle prese d’aria, lo fa sembrare un supereroe o un pipistrello. Si chiama “Thirring”, lo chiamano appunto “pipistrello”.

Il pipistrello di Leo Gasperl, in una foto del 1936

Altro primatista del chilometro lanciato, ma soprattutto campione mondiale e olimpico è Zeno Colò. Per lui Colmar crea negli anni Cinquanta la prima giacca aerodinamica, chiamata Guaina Colò per la sua aderenza. È un’intuizione di Irma, quella di inserire lungo i fianchi della tuta la filanca, un tessuto tipico dei corsetti femminili. Nel 1952, alle Olimpiadi invernali di Oslo, è medaglia d’oro di Discesa libera. La Guaina, invece, rimarrà in collezione fino agli anni Settanta.

Negli anni Sessanta lo sci diventa un passatempo diffuso, gli italiani scoprono in massa le vacanze sulla neve. Mario Colombo è prematuramente morto, i figli Giancarlo e Angelo seguono la pista invernale e Colmar si specializza in prodotti per la neve. Il decennio successivo è segnato dallo sport agonistico: lo sci italiano diventa uno dei migliori del mondo, nasce la leggenda della Valanga Azzurra. Gros, Thoeni, Stricker, Schmazl e Pietragiovanna vincono dappertutto, ed è Colmar che li veste grazie a una relazione con la Fisi che va avanti da diversi anni. I capi sono testati nelle gallerie del vento di Fiat e Moto Guzzi, i tessuti provati al Politecnico di Milano. La tuta da gigante viene soprannominata da Erwin Stricker «la ceffa» per via della sua sfrontatezza. Nasce uno dei claim pubblicitari che hanno fatto la storia del copywriting: «In caso di neve». Negli anni Ottanta in azienda c’è la terza generazione Colombo: Mario, figlio di Giancarlo e fratello di Laura, poi Giulio e Carlo, oggi Ceo, figli di Angelo. Nel 1986 attraversa il cielo dello sci mondiale un fenomeno luminoso: Alberto Tomba. Nello stesso periodo, versante femminile, splende Deborah Compagnoni. Grazie a loro, Colmar ottiene una visibilità internazionale che apre mercati e travalica confini.

La Valanga Azzurra travolge lo sci, è il 1974. Thoeni, Gros e Stricker
La “ceffa”, icona bianca, blu e rossa del 1974

Sono gli anni della pubblicità, della comunicazione, delle agenzie. Nel 1985 Colmar sponsorizza i Mondiali di Bormio e realizza una giacca ad hoc per l’occasione, l’iconica “Bormio”. Nel 1992 termina il rapport con la Fisi ma Colmar continua a crescere: sette anni dopo apre il primo monomarca in Francia. Oggi sono 15, da Cortina a Parigi, da Chamonix a Londra. Altre collaborazioni: nel 2011 con la Federazione di sci della Croazia, con Ivica Kostelic che vince tutto. Poi arriva la Fédération francese, con Pinturault che nel 2021 vince anche lui la Coppa del Mondo. Lo sci diventa quotidiano, negli anni 2000, e nel 2009 ecco Colmar Originals. Ritorna il logo iconico rosso e blu che era stato dismesso nel 1985, vengono riproposti capi storici. Collaborazioni, quindi, con Vogue Talent, Shayne Oliver, Yusuke Aizawa, Morteza Vaseghi. Infine, il centenario. Celebrato da una collezione specialissima, disegnata da Joshua Vides.

Giulio Colombo, alla conferenza stampa di presentazione, annuisce soddisfatto. «Senza l’innovazione non saremmo qui oggi», dice, «il nostro dna è sempre stato stile e performance, e tutto quello che facciamo è sempre stato fedele a questi pilastri. Con questo traguardo ne aggiungiamo un terzo: heritage». Joshua Vides racconta dello stupore di ottenere un prototipo in sole quattro ore, è l’eredità dello stabilimento di Monza in cui tutto si può pensare e produrre, spiega Giulio Colombo. «Gli aspetti positivi di essere una family company: siamo molto flessibili, possiamo parlare direttamente con i lavoratori, e prendere decisioni molto velocemente». In caso di neve, in caso di stile, in caso di tutto.