Il tifo per l’Al-Ahly e un’idea di libertà che non si può uccidere

Gli Ultras Ahlawy stanno pagando il loro ruolo nella Primavera araba: oggi seguono la squadra soltanto dall’estero, per la loro sicurezza.

Stiamo camminando verso lo stadio Mohammed V a Casablanca. Giriamo un angolo in strada e ci troviamo circondati da 10mila dei Winners, gli ultras del Wydad Casablanca. Continuiamo a percorrere la strada, siamo con un gruppo di circa 200 Ultras Ahlawy, i tifosi dell’Al-Ahly. Un muro di sassi e fischi assordanti ci costringe a fermarci. In un attimo ci ritroviamo schiacciati contro il muro, la polizia che cerca di creare un corridoio per noi. Proprio mentre la situazione sembra poter precipitare nel caos più totale, la folla si apre, una bambina con la sindrome di Down fa dei passi verso di noi, tiene suo padre con la mano destra, e due fiori, bianchi e rossi, nella sinistra. Mentre si avvicina, un applauso esplode da entrambi i gruppi: siamo tutti consapevoli di una narrazione più profonda in atto. Sono questi i tifosi che hanno promosso la crescita di un movimento in tutto il Nord Africa, ispirato la Primavera araba del 2011, e sofferto la devastante tragedia di Port Said nel 2012.

L’Al-Ahly, fondato al Cairo nel 1907, è un po’ il Real Madrid dell’Africa, il club più vincente del continente, undici titoli continentali e un totale di sedici finali nella sua storia. Gli Ultras Ahlawy sono stati creati il 13 aprile 2007 grazie a Amr Fahmy, ex Segretario generale della Caf, tragicamente morto di leucemia, a 36 anni, nel 2020. Il nonno di Amr, Mourad Fahmy, era stato sia giocatore che allenatore dell’Al-Ahly, e anche membro fondatore della Confederazione. Amr, che ha studiato la maggior parte della sua vita in Europa e ha anche completato un Master alla Fifa, si è ispirato ai movimenti ultras in Tunisia e in Italia. Nel 2007, mentre Amr sta iniziando il suo lavoro come Match Coordinator alla Caf, inizia a riunire tifosi dell’Al-Ahly provenienti da diversi club per formare gli Ultras Ahlawy. Tra il 2005 e il 2008, quando il club vive il suo periodo d’oro vincendo tre finali di Caf Champions League su quattro giocate, le curve dell’Africa del Nord iniziano ad adottare diversi rituali della cultura ultras europea: le trasferte sempre più frequentate, le coreografie e cori complessi. All’inizio gli Ahlawy contano un nucleo di circa 150 membri. Nel giro di pochi anni sono famosi in tutto l’Egitto e in Europa per il loro tifo costante, e il numero di iscritti, nel 2011, tocca quota 5000. È un momento conosciuto, internamente, come “la seconda fase”. In quegli anni vincono diverse battaglie di strada con la polizia, imparano a organizzarsi, e rafforzano la loro identità come simbolo di libertà.

All’inizio delle proteste di piazza Tahrir, gli ultras di diversi club egiziani decidono di scendere in strada, ispirati dagli Ahlawy. Nel corso di una rivoluzione, i combattimenti con la polizia per le strade e la capacità di gestire le cariche e i gas lacrimogeni sono skills fondamentali, e gli ultras le hanno imparate in anni di stadio. Quando la polizia colpisce più duro, sono gli ultras a guidare la prima linea. La rivoluzione rappresenta una terza fase nella storia degli Ultras Ahlawy, con il numero dei membri che sale fino a 12mila. A quel punto, la polizia non è più in grado di entrare nella curva, e gli ultras riescono a comandare sulle forze dell’ordine: spesso, quando qualcuno dei loro viene arrestato, una visita di alcuni membri alla stazione di polizia basta per farlo liberare, per paura di rappresaglie. È in questa situazione che si verifica il massacro di Port Said.

Il primo febbraio del 2012, 74 tifosi vengono uccisi e 500 feriti dopo che le luci si sono spente in tutto lo stadio della città costiera, e migliaia di tifosi dell’Al-Masry hanno attaccato gli Ahlawy nella loro porzione di settore ospiti. Dopo l’incidente, diversi attivisti accusano i servizi segreti di aver coordinato l’attacco come vendetta per il ruolo degli Ahlawy nell’occupazione di piazza Tahrir. In un tentativo di ottenere giustizia per i loro compagni, gli ultras organizzano una serie di proteste: attaccando stazioni di polizia, fermando partite e arrivando, infine, a saccheggiare e incendiare la sede della Federazione Egiziana di Calcio. Alla fine, la giustizia sfugge sempre di più alla presa dei tifosi: dopo una lunga serie di processi, undici agenti di polizia di basso rango vengono S condannati a morte, e altri 75 imputati assolti. È il periodo in cui i Fratelli Musulmani vengono sostituiti, al governo, dal regime di al-Sisi.

Nel 2015 il nuovo governo firma una legge che classifica gli Ahlawy come terroristi di livello A, il più alto. Le tribune egiziane, un tempo piene di vita, che erano state un simbolo di libertà, sono ormai vuote. Le persecuzioni proseguono: spesso membri degli Ahlawy vengono portati in commissariato per essere interrogati, e lì torturati dalle forze di sicurezza. Nel 2018, il gruppo chiude tutti i suoi canali social. Un ultimo video postato mostra quello che sembrava essere il loro striscione che brucia, con un messaggio che annunciava lo scioglimento. Ma allora, chi fa parte di questo piccolo gruppo che stiamo seguendo durante una marcia surreale verso la sesta finale della Caf Champions League dell’Al-Ahly negli ultimi sette anni? In realtà, gli Ultras Ahlawy non sono mai morti: è questo il quarto capitolo, quello che li vede evolvere da normale gruppo di tifosi in un simbolo di resistenza. Lo striscione del video era un falso, mentre quello nuovo è al sicuro, in attesa di essere mostrato ancora. Oggi non possono più frequentare partite in casa né nel campionato egiziano, ma girano il continente seguendo l’Al-Ahly durante le partite di Champions League o Coppa del Mondo per Club. Sono quelli dietro una cortina di torce e uno striscione con scritto: “Never Forget”.

Gli Ultras sono composti, oggi, da comunità di tifosi dell’Al-Ahly che vivono fuori dall’Egitto, spesso proprio a causa dell’attuale regime. Le persone con cui siamo vengono da Friburgo, Belgrado, Londra, Jeddah, e qualcuno, naturalmente, dal Cairo. Quella sera l’Al-Ahly vince la finale. Nella curva le lacrime di gioia scendono più pesanti del solito. Non è una vittoria sul campo, non solo. Ma la prova che nonostante tutto, gli Ultras Ahlawy portano con sé un’idea che non si può uccidere.

Da Undici n° 52
Foto di Valerio Curcio e Tom Pryce