Valentín Barco ha tre signature move, cioè tre giocate che fa spesso. La prima è la più particolare: toccando la palla con la suola, attira a sé il marcatore, andando all’indietro e ruotando leggermente il corpo, come se volesse girare su se stesso. Quando l’avversario intuisce quell’intenzione, smette di colpo di trotterellare con la palla sotto lo scarpino e dribbla verso l’esterno. È una giocata che fa in fascia, quando la linea laterale dovrebbe farlo sentire in trappola, e invece esalta ancora di più l’equilibrio e la tecnica con cui gioca nello stretto. Anche per eseguire la seconda usa la suola: quando riceve un passaggio e ha l’uomo che gli corre addosso, controlla la palla direttamente con una sterzata orizzontale, verso l’interno del campo, per tagliarlo fuori. La terza, invece, è il passaggio no look, tanto al culmine di un’azione personale, quanto in momenti della partita del tutto trascurabili. Quando lo ha fatto contro gli uruguagi del Nacional, al ritorno degli ottavi di Copa Libertadores, due avversari l’hanno presa male e sono andati ad affrontarlo minacciosi. Lui, molto minuto e con i capelli molto rossi, li ha guardati senza fare una piega e se n’è fregato.
Valentín Barco è il terzino sinistro del Boca Juniors – o perlomeno ha debuttato in quella posizione – ed è il giocatore più divertente d’Argentina. Il suo modo di giocare a calcio è argentino al 100%, per quanto sia tradizionalmente difficile trovare nelle rose dell’Albiceleste dei laterali così sfrontati e tecnicamente sovradimensionati: il gusto per il dribbling e la giocata, l’insofferenza verso l’idea che sia saggio contenersi e limitarsi all’essenziale, l’utilitarismo che si manifesta solo sotto forma di furbizia, sono le caratteristiche che si associano al calciatore da potrero, ovvero lo stereotipo del ragazzino che si è formato giocando per strada e ha maturato uno stile istintivo e fantasioso, in cui il calcio argentino si è sempre riconosciuto. Il Boca Juniors viene tradizionalmente identificato con una retorica opposta, più legata alla fatica e al sudore, ma anche alle maniere forti, che di solito sono quelle che usa chi si ritrova contro Barco. Mauricio Serna, il duro mediano che ha incarnato lo spirito del club a inizio anni Duemila – l’epoca in cui il Boca ha vinto letteralmente tutto – e oggi dirigente, ha detto che «a Barco non si devono tarpare le ali. Lui, però, non deve generare odio nel rivale».
Valentín Barco è così, ha una personalità inscalfibile e dall’esterno viene difficile capire dove finisca quel flusso naturale e incontenibile di calcio da strada e dove inizi la sua voglia di accendere la tensione e la competitività di una partita, una tendenza che a volte sembra assumere tratti sadici. Nel ritorno della semifinale col Palmeiras, verso la fine del primo tempo, con il Boca in vantaggio e quindi momentaneamente qualificato (la partita sarebbe poi finita in parità e si sarebbe decisa ai rigori), in un uno-contro-uno da fermo, Barco è salito con due piedi sul pallone. Una giocata che sarebbe di per sé rischiosa in quel contesto e che diventa quasi autolesionista se teniamo conto che, solo cinque giorni prima, in un Santos-Vasco da Gama del campionato brasiliano, l’ancor più piccolo e sfrontato Yeferson Soteldo è stato abbattuto dopo aver fatto la stessa identica cosa, sul 4-1, con conseguente rissone. Alla fine non è successo nulla, ma è una buona dimostrazione dell’urgenza di competere, sfidare e vincere che sente quando è in campo.
Da questo punto di vista, Valentín Barco può risultare fastidioso ai suoi avversari. Allo stesso tempo è un giocatore estremamente onesto, perché non adatta il suo modo di stare in campo ai rischi o alla posta in palio, anzi, sembra diventare grande insieme all’importanza della partita: fin dagli esordi in Copa, le sue prestazioni sono piene di giocate complicate in situazioni pericolose (almeno per chi non ha la sua agilità nella gestione del corpo, o la facilità di dribblare nello stretto), e di tentativi di incidere. Non fa quasi mai scelte conservative, genera una mole gigantesca di situazioni, di cross, di passaggi smarcanti, di uno-contro-uno, e ne porta a termine una quantità eccessivamente superiore alla media di chi gli sta intorno.
Come detto, Valentín Barco nasce terzino sinistro, ed è proprio da terzino sinistro che ha dato la scossa al Boca. La titolarità l’ha conquistata all’improvviso. Cioè ad aprile, con l’arrivo del nuovo allenatore Jorge Almirón, nel peggior momento della stagione della squadra. La proposta di gioco degli Xeneizes, come accade molto spesso, era (ed è tutt’ora) criticata per essere troppo essenziale e dipendente dalle giocate risolutive dei singoli: in effetti, pur con qualche eccezione, il cammino che ha portato il Boca in finale è lastricato di partite offensivamente piatte e turni decisi ai rigori dall’istinto di Sergio Romero. Con Barco a sinistra, almeno, il Boca ha guadagnato un giocatore in grado di generare un mismatch costante in uscita con le sue qualità uno contro uno, ma anche un centrocampista aggiunto, perché la cosa più naturale, per un giocatore mosso dall’urgenza di toccare continuamente palla, è interpretare il ruolo cercando l’interno del campo, e da lì fare qualsiasi cosa: prendersi progressioni nel mezzo spazio, giocare continui uno-due, ma soprattutto tentare passaggi smarcanti in verticale, palloni sulla corsa degli esterni, cambi di gioco, in ogni caso giocate risolutive. Barco ha una facilità impressionante nel creare connessioni tra i compagni, nell’aprire e chiudere triangoli, e soprattutto nel farlo in continuo movimento: può sbloccare una situazione con un fraseggio o un cambio di passo vicino alla sua area e ritrovarsi nel giro di pochi scambi in una posizione centrale sulla trequarti, per mandare in porta il compagno che attacca la profondità. Il suo contributo con il pallone non è quello di un semplice terzino di spinta con un repertorio al cross vario e preciso e una combinazione esplosiva di dribbling nello stretto, agilità e accelerazione nel primo passo: Barco ha finito per determinare con le proprie doti la fase offensiva della sua squadra, ha fatto da terzino sinistro (e poi anche da centrocampista), quello che di solito fa un enganche.
Contro il Palmeiras, Barco non è salito solo con entrambi i piedi sul pallone: l’ha anche fatto cantare
Almirón si è giocato le fasi decisive della Libertadores schierando largo in ampiezza il terzino colombiano Frank Fabra, un interprete rapido ed esplosivo, lasciando Barco un po’ più all’interno, per sfruttare le sue doti associative e la sua gran visione di gioco. In alcuni casi, ha giocato direttamente da mezzala con alle spalle Nicolas Valentíni, un profilo più affidabile in copertura. Per il momento, a livello difensivo, Barco è un calciatore ancora da costruire: ha una grinta feroce che lo porta a intervenire spesso in scivolata, a essere aggressivo nei raddoppi, ha una buona rapidità con cui può in parte sopperire al fisico molto leggero, ma la varietà incredibile di cose che sa fare con il pallone tra i piedi sembra indirizzarlo in modo deciso verso una carriera da freak tecnico del suo ruolo. Il suo scopritore ha consigliato pubblicamente a Jorge Almirón di continuare a schierarlo a centrocampo, ma con ogni probabilità in Europa e in Nazionale – perché è solo questione di tempo prima che ci entri a far parte in pianta stabile – si cercherà di sfruttare al massimo il vantaggio tecnico con cui ti fa partire un giocatore del genere, tanto in uscita quanto nello sviluppo dell’azione e in rifinitura.
In Liga, per esempio, due squadre attualmente ai vertici come Barcellona e Girona hanno affidato compiti chiave nello sviluppo dell’azione e nell’ultimo terzo di campo a João Cancelo e Miguel Gutiérrez, ma non verrebbe difficile neanche immaginarlo sulla corsia di sinistra del Real Madrid, dove si incontrano e si cercano in un fazzoletto d’erba Vinicius Jr. e Rodrygo. Non è un caso nemmeno che la squadra più interessata a lui sembra essere il Manchester City, che negli ultimi anni ha sempre cercato gli interpreti qualitativamente più dotati per il ruolo e ha consacrato lo stesso Cancelo: pur con uno stile diverso, Barco è per la sua squadra quello che il portoghese è stato per le sue, ovvero un generatore continuo di vantaggi ad ogni altezza del campo, in ogni situazione in cui si è in possesso della palla.
Barco un calciatore con mezzi top, e sembra adatto a qualsiasi modo di giocare. Come la maggior parte dei calciatori così fantasiosi, però, la prima condizione per sfruttarlo al massimo è lasciarlo libero di muoversi, di cercare giocate, persino di lasciargli modellare il ritmo dell’azione in base ai suoi istinti, senza confinarlo in posizioni o compiti eccessivamente rigidi. Sabato sera giocherà la finale di Copa Libertadores, un torneo che il Boca Juniors non vince dal 2007, l’anno in cui Juan Román Riquelme è tornato dalla Spagna e ha trascinato la squadra al titolo da protagonista. Proprio Román – che nel frattempo è diventato il dirigente più influente del club – era percepito come un giocatore ultra-tradizionale e persino anacronistico già nei primi anni Duemila. Oggi lo stesso ruolo di trascinatore tecnico, ma anche di rappresentante della tradizione calcistica argentina, appartiene a Barco. Dovrà accenderla e quindi accendersi contro una squadra come il Fluminense di Diniz, che gioca a memoria ed è a sua volta l’esempio più puro di jogo bonito che il Brasile abbia offerto nel calcio contemporaneo: in fondo ha gli attributi tecnici, la ricercatezza estetica e l’influenza sul gioco della sua squadra di un numero dieci o di un’ala, anche se parte da una posizione che lo rende un giocatore raro, se non addirittura unico. Anche per gli standard europei. Ma questo lo appureremo presto.