Questa Inter è una macchina quasi perfetta

La squadra di Inzaghi sta crescendo in ogni aspetto.

Alla vigilia di Salisburgo-Inter, molti account – che ormai sono un termometro del consenso e del pensiero critico, per altro molto più accurato rispetto ai vecchi sondaggi politici – sui social, non solo quelli che seguono quotidianamente la squadra nerazzurra, avevano manifestato una certa inquietudine: è giusto che Simone Inzaghi faccia turnover alla vigilia della partita europea più importante di questo prima parte di stagione, quella che potrebbe sancire la qualificazione dell’Inter agli ottavi di Champions? Come tutte le domande che hanno una connotazione ideologica, non c’è una risposta definitiva. O meglio: la risposta è che Inzaghi avrebbe fatto bene o male a seconda del risultato finale. Il fatto che l’Inter abbia vinto, quindi, ha benedetto le scelte dell’allenatore. Il pass per gli ottavi ottenuto con due giornate d’anticipo, unito al primo posto in campionato, risolve tutti i dubbi e chiude tutti i cerchi: l’Inter, in questo momento, può evidentemente permettersi di ruotare i suoi uomini – Lautaro, Barella, Dimarco e Dumfries hanno iniziato la partita dalla panchina – senza perdere troppa efficacia, o comunque senza pregiudicare le sue prestazioni. Poi è vero che Lautaro deve entrare per indirizzare e per risolvere la serata, ma non c’è niente di male a sfruttare le proprie risorse. È il senso ultimo del mestiere dell’allenatore.

Prima di questo senso ultimo, però, c’è molto altro da fare. E Simone Inzaghi l’ha fatto e lo sta facendo benissimo. La sua Inter, infatti, è (diventata) una squadra pienamente consapevole di sé, della sua forza, delle sue inclinazioni. Anche dei suoi difetti, e allora fa di tutto per correggerli. L’utilizzo e l’interpretazione del turnover è un mirabile caso di studio, in questo senso: col tempo, Inzaghi ha imparato a fidarsi anche di chi gioca meno rispetto ai suoi 13 o 14 fedelissimi, e su questo pesa anche il buon lavoro fatto dalla società sul mercato; a prescindere da chi vada in campo, quindi, l’Inter 2023/24 mantiene la stessa identità e gli stessi standard di rendimento, si muove in maniera armonica, è solida e continua, non sarà sempre scintillante ma è rarissimo che perda il controllo emotivo della partita. Basti pensare, per restare alla Champions, alla partita di San Sebastián contro la Real Sociedad: i nerazzurri furono schiacciati – anzi: dominati – per tutto il primo tempo e per larga parte della seconda frazione, eppure riuscirono a limitare il passivo e poi a prendersi un pareggio importantissimo. Per la classifica, per il morale.

È come se i difetti delle prime due stagioni di Inzaghi fossero scomparsi, la sensazione è che l’allenatore e la squadra siano cresciuti insieme, seguendo un percorso parallelo ma condiviso. Come detto, è merito anche di chi ha costruito la rosa: Frattesi, Sánchez e Carlos Augusto, è evidente, sono giocatori più adatti all’Inter di quanto non lo fossero Asllani e Correa e Gossens; Bisseck ha un profilo più vicino a quello dell’ex regista dell’Empoli, ma proprio il percorso di Asllani è un precedente importante: Inzaghi ha lavorato tantissimo su di lui, ieri l’ha elogiato apertamente («sta crescendo molto») nelle interviste postpartita, col tempo ha imparato a fidarsi del suo gioco, e la stessa cosa potrebbe avvenire anche con il centrale tedesco. Sarebbe un passaggio fondamentale per rendere ancora più ricche le rotazioni in difesa. Le potenzialità ci sono.

Questa crescita – diffusa, percettibile, viene da dire corporativa – sta cambiando la dimensione dell’Inter. O meglio: questo processo in realtà è iniziato nella fase a eliminazione diretta dell’ultima Champions League e sta detonando ora, così i nerazzurri si sono trasformati in una squadra potenzialmente in grado di dominare la Serie A, e di andare avanti con relativa tranquillità in Champions League. Lo dicono i numeri: in questa stagione, Simone Inzaghi e i suoi uomini hanno vinto 12 partite su 15, e gli unici passi falsi (1-2 contro il Sassuolo, 2-2 contro il Bologna) sono stati degli eventi chiaramente isolati; i nerazzurri hanno battuto Milan, Roma, Atalanta e Fiorentina in scioltezza, senza perdere mai il comando delle partite. A confermarlo più di tutto, però, sono i progressi fatti dai singoli: Thuram e Lautaro sono perfetti insieme, Cahlanoglu e Mkhitaryan hanno fatto passare in secondo piano un inizio non eccellente di Barella, Dimarco e Dumfries sono sempre più decisivi, la difesa è robusta a prescindere da chi viene schierato, Sommer è un portiere solido.

La sintesi di Salisburgo-Inter 0-1

Difetti? In questo momento ce ne sono pochi, e allora bisogna scrutare l’orizzonte per trovarne qualcuno: l’attacco è un po’ corto e quindi Lautaro sarà costretto a tenere un rendimento importante per tutto l’anno, oltre che a giocare quasi sempre; l’assenza di Pavard ha aperto un piccolo buco sulla catena di destra, visto che Darmian è considerato il co-titolare del difensore francese e di Dumfries, ed ecco che velocizzare l’inserimento di Bisseck può diventare una mossa necessaria; è difficile immaginare un’Inter senza Cahlanoglu o con un Cahlanoglu meno decisivo, anche perché finora Klaassen si è visto pochissimo, e allora Asllani dovrà confermare di aver superato la sua timidezza.

Il punto è che Inzaghi, l’abbiamo già detto, sta lavorando esattamente su questi aspetti. Non è una buona notizia per le inseguitrici in Serie A, che giustamente devono credere nella perfettibilità/fallibilità dell’Inter per poter coltivare la speranza di contendere lo scudetto ai nerazzurri. E non è una buona notizia neanche per le altre big d’Europa. Perché la finale dell’anno scorso sarà stata raggiunta a sorpresa, ma non in modo immeritato. E quest’Inter sembra ancora più profonda, ancora più sicura di sé. Ancora più forte.