Federico Dimarco ha segnato un gol che lo ha già consegnato alla leggenda. Perché il suo tiro è partito da 56 metri – i social da ieri sono invasi dalle più svariate rilevazioni metriche – e perché quella sequenza, Federico che alza e poi abbassa la testa, il corpo che si inarca, l’impatto palla-piede, la sfera che prende a volteggiare, Turati che arretra e poi si lascia scavalcare, San Siro che impazzisce e Dimarco che esulta, la rivedremo migliaia di volte. Da tutte le angolazioni, incastonata in ogni servizio televisivo in cui si parlerà di Federico Dimarco, fino a quando sarà un giocatore professionista e anche dopo, quando intraprenderà la carriera di allenatore, quella di dirigente o anche quella di semplice opinionista. Insieme a questa diffusione senza confini, è iniziato anche il dibattito: Dimarco l’ha fatto apposta? Veramente? Oppure voleva cambiare gioco per Dumfries e alla fine è venuta fuori una traiettoria irripetibile?
Beh, la risposta a questa domanda è: chissenefrega. È chiaro che l’eventuale intenzione di fare un gesto del genere – e vale per qualsiasi gesto, non solo nello sport – darebbe un peso diverso all’esecuzione e al senso ultimo della giocata. Ma quando si tratta di tiri da lontano, a maggior ragione da lontanissimo, l’elemento imponderabilità ha sempre un peso significativo. Ecco qualche esempio illustre: per segnare la sua indimenticabile punizione contro la Francia, Roberto Carlos ha dovuto beneficiare della deviazione buona del palo interno; la rovesciata di Ibrahimovic contro l’Inghilterra resta un’intuizione geniale, ma ce la ricordiamo solo perché il pallone è entrato: se la traiettoria fosse stata sette o otto centimetri più alta, quello di Ibra sarebbe stato un tentativo folle finito malino.
E allora il senso di tutto è: possiamo discutere quanto vogliamo, possiamo credere a Dimarco – «All’inizio ho visto Dumfries, poi ho visto Turati fuori… Meno male che è entrata» – oppure a Henrikh Mkhitaryan – «Tutti noi sappiamo che voleva crossare per Dumfries» – e ai tifosi di altre squadre sui social. Quello che resterà è un bellissimo tirocross (meno male che esiste questa parola, così ci tiriamo fuori da ogni impaccio) finito in porta, che Turati non avrebbe mai potuto parare, che Sommer ha salutato mettendosi le mani in testa, che resterà per sempre nella memoria di chi era a San Siro. Compreso e soprattutto Dimarco, ovviamente L’inquadratura da dietro e dal basso è surreale: al netto di ciò che Dimarco fa con la testa e con gli occhi, la porta è lontanissima, si vede il suo piede sinistro che impatta la sfera con il collo interno, la telecamera che non ha lo spazio necessario per seguire la traiettoria del pallone, Turati che arretra correndo e poi tenta un tuffo all’indietro per evitare di essere superato. Tutto inutile: la palla entra, l’Inter è in vantaggio.
Un gol da vedere e rivedere
Il punto è proprio quello della didascalia che leggete appena sopra: il gol da Dimarco è da vedere e rivedere, perché è bello. Anzi: è unico e indimenticabile. Il discorso sulla volontarietà del tiro diventa collaterale, anche perché in fondo non toglie niente alla realtà dei fatti: l’Inter ha segnato e poi ha vinto la partita contro il Frosinone, il tiro di Dimarco è partito da 56 metri e rotti, Turati è stato beffato e non c’è molto altro da aggiungere. Se non che rivedremo tante volte queste immagini nei prossimi anni, e non ci stancheremo mai. C’è chi si chiederà di nuovo, ancora e sempre, se Dimarco l’ha fatto apposta. E c’è chi invece si godrà le immagini senza farsi troppe domande. Noi abbiamo scelto da che parte stare.