In tutti i Paesi d’Europa, da anni, uno dei dibattiti calcistici più frequenti e più importanti è quello che riguarda la quantità di partite in calendario, lo stress psicofisico a cui sono sottoposti i giocatori. Tutto vero, tutto sacrosanto: l’Inter, un anno fa, è arrivata in fondo a tutte le competizioni e così ha messo insieme 57 gare ufficiali. A cui, ovviamente, vanno aggiunti tutti i match disputati con le rappresentative nazionali, ovviamente per i giocatori che vengono convocati. Insomma, siamo in un’era a dir poco congestionata, per chi gioca a calcio ad alti livelli. E nel Regno Unito la situazione è ancora peggiore, se possibile: oltre alla Premier, alla FA Cup e alle competizioni europee, i club inglesi devono affrontare anche la League Cup. Potenzialmente, quindi, una squadra di Premier che raggiunge la finale in tutti i tornei stagionali arriva a disputare 63 match competitivi – o anche 65, se partecipa all’Europa League o alla Conference League. Ed è anche successo, una volta: il Liverpool 2021/22 è arrivato alla finale di League Cup, FA Cup e Champions League; come se non bastasse, si è pure giocato anche la vittoria in campionato fino all’ultima giornata. Totale: 63 partite totali. Uno stillicidio.
Secondo quanto riporta la BBC in questo articolo, la Premier League sta iniziando a pagare il conto di questa bulimia calcistica. Solo in questa stagione, infatti, i 20 club del massimo campionato inglese hanno già accumulato 196 infortuni. Rispetto agli ultimi quattro anni, l’aumento rilevato è pari al 15%. Una cifra enorme, soprattutto se poi andiamo ad analizzarla squadra per squadra: il record appartiene a Manchester United e Newcastle United, entrambe iscritte alla Champions League, con un totale di 14 infortuni. Ben Dinnery, fondatore della piattaforma Premier Injuries, sostiene che il Newcastle «sta pagando gli sforzi dell’anno scorso: nel 2023/24 è stata l’unica squadra nei primi cinque campionati europei che ha dato il 75% del minutaggio complessivo (in campionato) a nove giocatori di movimento: una statistica inaudita».
Su questo trend di crescita pesa anche il calendario dello scorso anno, viziato dalla particolare collocazione invernale della Coppa del Mondo in Qatar: nel 2002/23 fa, all’undicesima giornata di Premier, il numero di infortuni era pari a 145, decisamente più basso rispetto a quello registrato in questa stagione. «Stiamo ancora soffrendo i postumi della Coppa del Mondo 2022», spiega Dinnery. «Prima del torneo gli infortuni erano in calo, ora sono tornati ad aumentare. Perché? È difficile dirlo. Oltre a una preparazione mirata, potrebbe aver inciso anche la tendenza dei giocatori a proteggersi, a risparmiarsi, in vista dei Mondiali». I dati, in questo senso, sono eloquenti: secondo le rilevazioni del “Men’s European Football Injury Index”, redatto dal gruppo assicurativo globale Howden, la durata media delle assenze a causa di infortuni nelle cinque leghe top – Premier League, Liga, Serie A, Bundesliga e Ligue 1 – è aumentata in larghissima percentuale, passando da 11,35 giorni prima del Mondiale a 19,41 giorni a gennaio 2023.
Dal punto di vista della tipologia di infortuni, l’aumento più clamoroso è quello che riguarda gli incidenti ai tendini del ginocchio: +96%, quest’anno siamo a quota 53 e un anno fa eravamo a quota 27. Se guardiamo al periodo 2019-2021, l’aumento è pari al 55%. Se invece guardiamo agli infortuni muscolari, il 42% delle lesioni riguarda il muscolo posteriore della coscia. È chiaro, dunque, che gli impegni crescenti abbiano avuto un impatto sulla salute dei giocatori, sulla loro propensione agli infortuni. Il discorso, però, diventa anche economico: i dati mostrano come, a causa degli infortuni, la Premier League 2022/23 abbia registrato un impatto negativo pari a 290 milioni di euro. Una cifra incredibile, che si ottiene sommando le spese per il recupero e per i trattamenti medici, gli stipendi per giocatori non utilizzati e per i fisioterapisti, e senza tener conto dei punti mancanti, delle partite perse o pareggiate anche a causa delle assenze – quelli sono parametri non misurabili. Abbassare un po’ il ritmo e il numero delle gare, forse, potrebbe essere una buona soluzione anche per migliorare i bilanci dei club.