Piccolo spoiler prima di iniziare: stiamo per raccontare una storia per cui nel calcio italiano, addirittura a livello giovanile, c’è qualcosa che funziona meglio rispetto ad altri Paesi. Quindi l’articolo che state leggendo non è consigliato ai disfattisti e ai critici in servizio permanente. Anzi, questa vicenda dovrebbe inorgoglirci. Ma andiamo con ordine, partiamo dai fatti e dalle cifre: negli ultimi anni, lo leggiamo su So Foot, moltissimi giovani calciatori francesi hanno deciso di lasciare la propria nazione e di trasferirsi in Italia. E si tratta di ragazzi che si stavano formando in squadre anche prestigiose, solo che però hanno ritenuto opportuno lasciarle. Sono 20 con passaporto francese, più altri quattro che hanno nazionalità diverse ma si sono formati nel Paese transalpino. Qualche nome? Eccoli: Aylan Benyahia-Tani (Empoli), Clinton Nsiala (Milan), Kévin Mercier (Bologna), Issiaka Kamate (Inter). Proprio la storia di Kamate è quella su cui So Foot spinge di più: a 16 anni ha lasciato il suo club – il Montfermeil – e ha accettato l’offerta dell’Inter; in questa stagione è già a sette gol e due assist in 12 gare del Campionato Primavera, e Inzaghi l’ha già convocato due volte per le gare della prima squadra.
Ok, lo sappiamo: il sistema calcistico francese produce talenti a getto continuo, potrebbe essere che l’abbondanza abbia portato alcuni osservatori e dirigenti a lavorare con un pizzico di superficialità. La realtà però è più sfumata, e a raccontarlo è Steeve-Mike Eyango, uno dei pionieri di questa invasione: nel 2019, appena maggiorenne, ha lasciato il vivaio del Bordeaux per unirsi al Genoa Primavera; l’ha fatto perché «il Genoa e il Campionato Primavera mi hanno dato diverse opportunità: sono stato subito contrattualizzato come semi-professionista, e poi ho iniziato a giocare un torneo ultra-competitivo, completamente diverso rispetto a quelle che giocavo quando ero a Bordeaux. In Italia le partite delle squadre Primavera vengono trasmesse in tv, ci sono alte aspettative sui giocatori. Tutto è decuplicato: la profondità della formazione, le richieste dei club nei confronti dei calciatori, quindi la loro professionalità». Oggi Eyango gioca nel Giugliano, in Serie C, dopo aver militato anche con il Cosenza (in Serie B) e con il Rimini. Insomma, la sua scelta di vita alla fine non è stata (ancora) premiata. Quantomeno non a livello di prima squadra. Perché? «In Italia», racconta Eyango a So Foot, «si avverte una chiara sfiducia nei confronti dei giovani: i club di Serie A sono riluttanti a lanciarli, preferiscono affidarsi ad atleti che già conoscono. Per me è stato frustrante».
Nell’articolo di So Foot ci sono anche le dichiarazioni di Francesco Palmieri, che attualmente è responsabile del settore giovanile del Sassuolo: «In effetti», racconta Palmieri, «gli scout francesi si fanno sfuggire qualche giocatore molto forte. Succede quando devono seguirne troppi. Qui in Italia, però, abbiamo un approccio molto pragmatico: vogliamo il risultato subito, vogliamo che il percorso di formazione dei giovani sia veloce ed efficace. È una visione che attrae i ragazzi che vogliono migliorarsi. La Francia ne è piena, e allora la soddisfazione è reciproca: per questo molti club di Serie A e Serie B stanno reclutando molti talenti francesi». Ovviamente bisogna tener conto anche del fattore economico. Nel senso: rilevare il cartellino di un giocatore che non è ancora professionista ha un costo accessibile per qualsiasi club italiano. Anche perché in Francia, spiega Palmieri, «l’argomento soldi quasi non esiste. Soprattutto quando si va a trattare con club meno famosi. In Italia la situazione è molto diversa, anche le società dilettantistiche chiedono somme spropositate, se sanno di avere in rosa una grande promessa».
Insomma, una tendenza di mercato sta producendo una rivoluzione che però resta (ancora) sotterranea. Vale a dire: il Campionato Primavera e quindi il sistema giovanile italiano si stanno aprendo all’estero, capitalizzando un’evidente credibilità a livello formativo – e di questo, ripetiamo, possiamo/dobbiamo essere orgogliosi. Allo stesso tempo, però, tutto questo non sta generando un reale cambiamento a livello senior, di prime squadre. A dirlo è ancora Palmieri, che rappresenta una delle poche società virtuose in questo senso (sono anni che il Sassuolo lancia giovani talenti, italiani e stranieri) e che fa risalire il tutto a una mancanza di coraggio: «Qui da noi abbiamo paura, consideriamo ancora giovani dei calciatori che hanno 22 o 23 anni. Ma la realtà è che si tratta di un problema sociale, che va ben oltre il calcio: per essere un manager d’impresa in Italia bisogna avere almeno 50 anni, in altri Paesi basta averne 30». Il discorso è vero e non fa una piega. Magari qualche nuovo talento in arrivo dalla Francia, perché è chiaro che ne arriveranno altri, ci aiuterà a cambiare idea.