Sofia Goggia sta lasciando un segno

Intervista a una delle più grandi sciatrici italiane della storia.

Lasciare un segno. Non sono tanti gli atleti che riescono con la loro traiettoria sportiva a lasciare un segno. Nello sport il modo più elementare è certamente vincere, collezionare vittorie. Ma si può lasciare una traccia anche col proprio modo di essere, di affrontare la competizione sportiva, di mostrare finanche le proprie debolezze. Sofia Goggia appartiene alla categoria di atleti che sono stati in grado di ampliare il proprio bacino d’utenza, di riuscire a far incuriosire tante persone non appassionate di sci. Lo ha fatto in entrambi i modi. Sia perché ha vinto, e ha ancora un po’ di anni davanti a sé per continuare a farlo. Sia perché ha imposto il proprio modo di essere, la propria personalità. Qualcuno direbbe il proprio personaggio. In realtà ha imposto se stessa.

Sofia Goggia ha vinto tanto. Innanzitutto una medaglia d’oro alle Olimpiadi, in discesa libera. Come lei, in Italia, solo Zeno Colò. E quattro anni più tardi l’argento dopo un recupero prodigioso da un infortunio. È l’italiana che ha vinto più gare in Coppa del Mondo: ventitre. Diciassette in discesa libera, la disciplina che meglio la descrive. Nella storia dello sci soltanto quattro sciatrici hanno vinto più discese di lei. E per quattro volte ha conquistato la coppa del mondo di specialità: di discesa ovviamente. Appagata, ovviamente, è un vocabolario che non conosce: «Il prossimo anno voglio provare a confermare il pettorale rosso di leader in discesa», dice. «Non bisogna mai dormire sugli allori, anche perché ci sono avversarie forti che stanno crescendo. Vorrei tanto esprimere il mio potenziale in supergigante, dove non si è mai vista la vera Goggia. Alla classifica generale, invece, non penso».

Alle Olimpiadi di Milano-Cortina, ovviamente sì. Sofia ha catturato l’interesse anche per la sua visione dello sci. In pista e fuori, come capita spesso ai campioni di città. Lei è di Bergamo. “Only the brave” è il suo motto. Solo i coraggiosi. È la versione alpina del celebre brano di Frank Sinatra “My way”. A modo mio. A modo suo. E il modo suo è sempre stato quello di andare oltre. Sfidare i limiti umani. E soprattutto il muro della paura. Come tanti sportivi, anche lei sarà rincorsa da quel ritornello fastidioso: “avrebbe potuto vincere di più”. Persino di più, considerati i suoi successi. Chissà, forse è vero. Ma, molto probabilmente, se fosse stata diversa non avrebbe lasciato la sua impronta. E comunque di tempo ne ha, la maturità agonistica è un territorio non del tutto esplorato.

Le foto che vedete in questa pagina sono state scattate in estate all’autodromo di Imola, dove Sofia Goggia – insieme ad altri atleti degli sport invernali – ha potuto provare tre modelli di auto: Audi RS e-tron GT, massima espressione di sportività sostenibile, Audi RS 3 e Audi R8, la supersportiva Audi Sport.

Ha rotto tanti tabù, Sofia. Federica Pellegrini infranse quello delle mestruazioni dopo le Olimpiadi andate male a Rio nel 2016. In tempi in cui dilagano le discussioni sui mental coach, anni fa Sofia Goggia non ha avuto problemi a rivelare che lavorava con una psichiatra. Sofia è al tempo stesso un’atleta irraggiungibile e una persona come tante che non ha mai avuto timore di mostrare le proprie debolezze. Anche un esempio per il modo in cui si è rialzata, più combattiva e tenace di prima, dopo ogni infortunio. E, soprattutto, ha sempre compiuto ogni sforzo possibile per eludere la banalità. È raro, per non dire impossibile, imbattersi in una frase fatta della bergamasca, in qualsiasi intervista lei conceda. Lo ha fatto anche con quella che state leggendo adesso, rilasciata in occasione di un evento organizzato da Audi, che dal 2007 è partner della FISI (Federazione Italiana Sport Invernali): l’incontro – ormai tradizionale – con alcuni dei migliori sciatori italiani all’autodromo di Imola, che hanno potuto provare su pista alcuni dei modelli sportivi della casa tedesca. È stata una chiacchierata in cui Goggia ha parlato della solitudine dell’atleta e di un concetto ignorato, anche in tempi in cui l’aspetto psichico nello sport è stato sdoganato: il concetto di realtà emotiva.

«Si parla sempre di testa nello sport, alla fine la razionalità è una parte che tutti noi abbiamo, pur tuttavia delle scelte che apparentemente sembrano irrazionali, non sono fatte per mancanza di razionalità, bensì per una realtà emotiva che ti fa comportare di conseguenza, come se non avessi la testa. Si parla poco di realtà emotiva, alla fine sono le emozioni che ti aiutano e ti “fregano”. In un Paese piccolo come il nostro, il sistema mediatico è strutturato in maniera tale che se un atleta si classifica al quarto posto, viene additato come un atleta finito o un debole. È una mentalità sbagliata». È un tema da convegno. Lo sport visto non solo come elenco di vittorie o insuccessi. Ma come racconto di quel che si prova quando si è lì, da soli, con i riflettori puntati, alla prova più importante. L’atleta e il vortice di emozioni da domare.

Durante la sua carriera Sofia Goggia ha gareggiato in tutte le discipline dello sci alpino, eccetto lo slalom speciale. Nel 2017 è diventata la prima sciatrice italiana capace di ottenere podi in quattro specialità diverse.

La vita degli atleti è come quella di un iceberg. Noi vediamo solo la parte esterna, ci interessa quella. Il resto sono i sacrifici e l’abnegazione che toccano solo e soltanto al protagonista. Il dietro le quinte. «Dietro a un minuto e trenta secondi di gara», dice Goggia, «dove si vince magari per un centesimo, ci sono interminabili ore di lavoro che in pochi comprendono, perché occorre essere atleta 24 ore al giorno, ogni minuto conta. Credo che la vita da atleta sia parecchio solitaria. Poi ognuno vive in base alla propria struttura emotiva, però quando devi darci dentro sette-otto ore ogni giorno in estate, le giornate sono lunghe».

È quel lavoro quotidiano, lungo mesi, anni, che ti consente di essere competitiva in uno sport in cui un centesimo di secondo può decidere del tuo destino: può spalancarti le porte della celebrità, oppure lasciarti a macerare e a ripercorrere mentalmente la tua prestazione per risalire a dove puoi aver perduto quell’istante. Il tempo è inesorabile signore e padrone di chi inforca gli sci. Sofia Goggia, ovviamente, ne è consapevole: «Quando taglio il traguardo e vedo luce verde, è un’esplosione di gioia dentro al cuore. L’importante è dare il massimo per stessi. Perdere per pochi centesimi è destabilizzante, deve essere bello dare il meglio di se stessi per avere i centesimi dalla propria parte. Sono arrivata due volte quarta ai Mondiali, mi rodono ancora i 16 centesimi di distacco dall’oro olimpico di Pechino, quindi bisogna vivere ogni istante per avere il cronometro dalla tua parte». Il tempo, per una fuoriclasse come lei, è ormai anche quello da dedicare agli eventi, alle interviste, alle presentazioni. «Ormai la mia vita è vissuta in funzione dello sci. A parte che quei pochi momenti che mi concedo con gli amici, rimango sempre Sofia Goggia ma cerco di vivere con normalità».

Lei fa notizia, sempre. Quando vince, quando perde, quando sale sul podio. Quando si infortuna. E in tv ci sa stare, buca lo schermo. Un po’ come Adriano Panatta e Alberto Tomba, due che sono andati ben oltre i confini dei propri sport. «Non sono certamente al loro livello, però penso che ci siano tanti campioni in Italia che hanno fatto cose bellissime dal punto di vista sportivo, ma che non bucano lo schermo, forse per mancanza di empatia. Io forse un po’ lo schermo lo buco perché sono fondamentalmente una guascona e mi adatto bene a ogni contesto. Senza snaturare me stessa».

Quando le chiediamo se con più giudizio avrebbe potuto vincere di più o se è orgogliosa di aver vinto e essersi affermata senza essersi snaturata, ci risponde così: «Non credo che se avessi avuto più giudizio la mia sciata sarebbe stata tanto diversa, forse avrei vissuto rischiando meno se avessi cominciato qualche anno prima a lavorare per sistemare le mie falle emotive che da sempre mi accompagnano. L’importante è cercare di finire la giornata dando tutto ciò che si ha in corpo e accettarsi per quello che si è».

Da Undici n° 51
Foto di franap