Qualche mese fa, su internet, è girato un breve video di Victor Osimhen impegnato in una partitella tra amici a Lagos, in Nigeria. Sono pochi secondi, ma sono pochi secondi di dominio assoluto e imbarazzante: il centravanti del Napoli, infatti, parte dalla sua metà campo e supera tutti i suoi avversari come se fossero oggetti inanimati, poi si alza la palla, sfrutta il suo corpo lungo e snodabile e potentissimo non per vincere, ma per evitare tutti i duelli uno contro uno, alla fine arriva solo davanti alla porta e riesce addirittura a tirare fuori. Le immagini in questione, al netto della loro bellezza oggettiva, non è che avessero fatto scalpore: Osimhen in fondo era in campo con e contro delle persone che, per quanto brave a giocare a calcio, non erano sicuramente dei calciatori professionisti, e quindi non avevano alcuna chance di fermarlo. Per dire, era come una battle tra Eminem e un rappresentante di vini, né più né meno.
Qualche ora fa, Victor Osimhen ha fatto più o meno la stessa cosa nel corso di una partita di Serie A. Contro il Cagliari, con il risultato in bilico dopo un gol realizzato da lui – un imperioso colpo di testa su cross di Mário Rui – e l’immediato pareggio di Pavoletti, col Napoli sull’orlo di un pareggio che avrebbe incendiato la contestazione, l’ambiente, le feste di fine anno. Insomma, era un momento difficile e Osimhen ha risolto la situazione adoperando gli stessi strumenti usati in un campetto di Lagos, solo che era il prato dello stadio Maradona e i suoi avversari erano dei professionisti. Detto così sembra impossibile, e invece è la realtà. Anzi: l’assist servito contro il Cagliari è stato addirittura più difficile e più spettacolare, perché il controllo arpionato col destro e lo stop di petto e i quattro palleggi volanti – tre con la coscia, uno con la testa – e il colpo di tacco per liberare il tocco verso Kvaratskhelia sono arrivati tutti in un fazzoletto di campo, con due avversari attaccati addosso a lui e un terzo a pochi centimetri. I difendenti in questione erano Goldaniga, Dossena e Augello, ma non snoccioliamo i loro nomi perché abbiano delle colpe evidenti: pur essendo dei validi professionisti, questi calciatori sono stati letteralmente dominati da Osimhen.
Ma andiamo nel dettaglio, prima di rivedere l’azione: dalla destra arriva a centro area un cross arretrato, Osimhen per toccarlo e controllarlo deve mettersi spalle alla porta e alzare la gamba destra; la palla si alza e si sposta un po’ verso la figura di Osimhen, che per sistemarsela meglio fa un saltello sul posto e la fa rimbalzare sul suo petto; a quel punto, Victor non ricade nemmeno al suolo che già ha iniziato a usare la coscia per continuare a controllare la sfera, lo fa una, due, tre volte, sempre con il destro: è un modo per creare e difendere lo spazio intorno a sé, il difensore che lo marca da dietro (Goldaniga) non può fare niente, Osimhen è troppo grosso, commetterebbe fallo; allora arriva il raddoppio di Dossena, solo che però Osimhen ha già spostato ancora un po’ la sfera con la testa – nel frattempo non è mai caduta a terra, si intende – in modo da aprirsi una feritoia per sprintare, per scattare, per infilarsi dentro. Il pallone sbatte per terra, Osimhen è chiuso in un sandwich – Dossena alla sua sinistra, Augello alla sua destra – eppure riesce a tenere il possesso della sfera, lo fa con un colpo di tacco con il piede destro, un vero e proprio gioco di prestigio che nel replay finisce per perdersi, c’è bisogno di vivisezionare il ralenti per rendersene conto. Negli stessi istanti, l’attaccante nigeriano tiene a distanza Dossena con la mano sinistra e si appende con la mano destra alla maglia di Augello, quel tanto che basta per tenere l’equilibrio senza fare fallo. Infine, ecco l’ultimo gesto di valore assoluto, il più importante nell’economia del gol che sta per arrivare: il pallone sembrerebbe essersi allungato, pare poter essere conteso tra Osimhen e Goldaniga, e invece l’attaccante del Napoli riesce ad allungare il piede destro in caduta, e così anticipa l’intervento del difensore avversario, letteralmente bruciato da quest’ultima esplosione di pura forza muscolare. Il tocco diventa un assist perfetto per Khvicha Kvaratskhelia, bravo a non farsi prendere dall’ansia: tiro potentissimo e perciò ad alto coefficiente di rischio, palla che sbatte sul palo interno e poi finisce in rete.
Anatomia di un capolavoro
Napoli-Cagliari 2-1 potrebbe essere la partita che ricorderemo come quella del ritorno di Osimhen, o per meglio dire di quell’Osimhen incontenibile che ha dominato, non esistono altri termini per rievocarlo, lo scorso campionato di Serie A. È un discorso di superpoteri, cioè di una capacità unica – almeno per il contesto italiano – di coniugare fisicità strabordante e controllo della palla, anche senza possedere un tocco davvero raffinato. Osimhen, basta riguardare questa azione, non ne ha bisogno: gli bastano eccome le sue lunghe leve, la sua capacità di occupare e difendere l’aria intorno a sé, la mobilità esplosiva di tutte le parti del suo corpo, non importa che poi alcune manifestazioni tecniche non siano il massimo – come il tiro finito fuori a Lagos. Quello che c’è prima è anche più di quello che serve per generare il panico, e alla lunga determina una pioggia di gol. I suoi, quelli altrui. Il Napoli, partendo da azioni così, ha vinto uno scudetto. E ora potrebbe ricominciare a togliersi un po’ di soddisfazioni.