Dopo 44 anni, le donne sono tornate allo stadio per il derby di Teheran

È un passo importante, ma c'è ancora molto da fare perché si possa parlare di integrazione.

Sta succedendo qualcosa di importante, anche se parziale, in Iran: dopo gli annunci della scorsa estate, le donne stanno effettivamente ricominciando a entrare negli stadi per guardare le partite del campionato maschile. Per la prima volta in 44 anni, infatti, il 14 dicembre 2023 3mila ragazze hanno assistito dal vivo a una partita piuttosto importante, quella tra Persepolis ed Esteghlal – il cosiddetto Shahrāvard-e Sorkhābi (derby rossoblu), una delle stracittadine più sentite al mondo. Allo Stadio Azadi, dunque, si è verificato un evento ancora piccolo nelle proporzioni, eppure con un chiaro valore storico: anche Gianni Infantino, presidente FIFA, ha espresso la propria soddisfazione per «l’evidente progresso» registrato in Iran.

Guardando le cose da un’altra prospettiva, però, è chiaro che la strada da fare è ancora molto lunga. L’attivista iraniana Maryam Shojaei, fondatrice del movimento #Noban4Women, ha spiegato che in fondo non c’è molto da festeggiare: «È vero, era dai tempi della Rivoluzione che le nostre donne non entravano allo stadio per il derby di Teheran», ha detto Shojaei in un’intervista rilasciata al medium tedesco DW. «Ma è evidente che la Federcalcio iraniana non abbia ancora rinunciato ad avere il controllo totale della situazione: lo stadio Azadi può ospitare 78mila persone, eppure solo 3mila biglietti sono stati riservati alle donne. Si poteva fare di più».

Sempre su DW si può leggere che, al di là di queste sacrosante rivendicazioni, le cose stanno effettivamente andando un po’ meglio in Iran. Quando in passato il divieto di ingresso allo stadio per le donne era stato un po’ allentato, per altro «in via sperimentale», erano avvenuti delle cose non proprio gradevoli: in occasione di alcune partite, per esempio quella disputata dalla Nazionale maschile nel 2022 nella città di Mashad, zona Nord-Orientale del Paese, gli steward avevano impedito alle ragazze di accedere agli spalti nonostante avessero un regolare biglietto di ingresso; alcune di quelle che si erano ribellate, secondo il racconto del quotidiano tedesco Der Spiegel, vennero “dissuase” nella loro protesta con dello spray al peperoncino. A Teheran, come anticipato, non ci sono stati grandi intoppi. In ogni caso, però, le donne sono state ospitate in un settore dello stadio separato – anzi: transennato – rispetto a tutti gli altri, per tenerle separate dagli uomini. Anche gli ingressi erano divisi per sesso.

La separazione coatta è il prossimo step da affrontare e da superare. L’ha spiegato Maryam Shojaei con un’immagine semplice ma anche molto potente: «Rivedere le donne allo stadio Azidi è stato commovente, ma in ogni caso in questo momento una ragazza iraniana non può godersi una partita di calcio seduta accanto al proprio padre: in altri Paesi arabi e musulmani, invece, tutto questo è possibile». Il calcio, insomma, continua a essere un veicolo di (lento) progresso ma anche di protesta sociale: «Molte ragazze», spiega Shojaei, «si sono presentate e si presentano ancora ai cancelli degli stadi, prima delle partite. Lo fanno anche se non possono entrare. E non si tratta di attiviste per i diritti delle donne, ma di semplici tifose di calcio che vorrebbero partecipare a un evento semplice come una partita». Lo fanno per dare un ulteriore segnale/richiesta di cambiamento, per smuovere ancora qualcosa che già ribolle in modo chiaro, un flusso che probabilmente non si potrà più arginare.