Pare che qualcosa stia cambiando, in Iran, nel rapporto tra le donne e il calcio. La strada è ancora lunga, ovviamente, ma da qualche parte bisognerà pur cominciare. E magari non è esagerato – anzi: è bello – pensare che le proteste degli ultimi mesi e degli ultimi anni anni abbiano accelerato un processo così complicato, così impaludato negli incroci pericolosi tra politica e religione. Ma andiamo con ordine, e cominciamo dalla notizia: qualcosa sta cambiando perché Mehdi Taj, presidente della Federcalcio di Teheran, ha annunciato che le donne potranno accedere agli stadi iraniani in cui si disputeranno le partite di calcio del campionato maschile. Taj ha spiegato che alcuni stadi che ospitano le squadre della Persian Gulf Pro League – campionato a 16 squadre che inizierà il prossimo 3 agosto – sono «già pronti» per consentire la presenza delle donne. Per la precisione si tratta di quelli delle città di Isfahan, Kerman e Ahwas.
Come detto in precedenza, si tratta di un cambiamento importante per l’Iran: dalla Rivoluzione Islamica del 1979, alle donne è stato vietato – anche se non attraverso una vera e propria legge scritta – di assistere alle partite di calcio, di gran lunga lo sport più seguito e popolare del Paese. C’erano state soltanto due eccezioni, per altrettanti eventi piuttosto importanti: una partita nel 2001 valida per la qualificazione ai Mondiali della Nazionale, e un’altra nel 2005, sempre con il Team Melli in campo. Si trattava però di eventi a sé, che non hanno avuto effetto sui regolamenti e/o sulle consuetudini della Repubblica Islamica. Anche per questo, nel 2019, la Fifa aveva disposto l’immediata cessazione di ogni politica restrittiva per gli stadi dell’Iran. A convincere l’organismo mondiale era stato il caso di Blue-Girl, ovvero la storia della trentenne Sahar Khodayari, che si è data fuoco ed è morta prima di essere condannata per ingresso non autorizzato allo stadio: era una tifosa dell’Esteghlal, la squadra blu della capitale Teheran (da qui il soprannome Blue-Girl), e si travestiva da uomo per poter bypassare i controlli ai tornelli degli impianti iraniani.
Poi la pandemia e la ritrosia a cambiare le cose hanno rallentato il cambiamento, non a caso le autorità hanno provato ad allentare i divieti solo «in via sperimentale», senza dare una vera svolta alla situazione. Anzi, in occasione di alcune partite, per esempio quella disputata dall’Iran nel 2022 nella città di Mashad, zona Nord-Orientale del Paese, gli steward hanno impedito alle donne di accedere agli spalti nonostante avessero un regolare biglietto di ingresso. Alcune di quelle che si sono ribellate, secondo il racconto del quotidiano tedesco Der Spiegel, sono state “dissuase” nella loro protesta con dello spray al peperoncino.
Poco meno di un anno fa, ad agosto 2022, le donne hanno avuto accesso allo stadio Azadi di Teheran per una partita del campionato maschile: per loro erano stati riservati 28mila biglietti, circa il 30% della capienza massima dell’impianto. Non succedeva da oltre quarant’anni. A poche settimane di distanza sarebbero divampate le proteste – anche di diversi calciatori iraniani – e le rappresaglie in tutto il Paese per il caso di Masha Amini, una 22enne morta in carcere a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato il velo nella maniera corretta. Ecco, magari anche quel movimento spontaneo e trasversale, per quanto violento, potrebbe aver avuto un peso nel nuovo corso voluto dalla Federcalcio e dal governo di Teheran. Sarebbe una vittoria importante.