Anche il Texas sta creando imbarazzi alla FIFA in materia di diritti umani in vista dei Mondiali

Il problema sono le leggi locali contro l'aborto, l'immigrazione e la comunità LGBTQI+.

Tra i tanti problemi che ha la FIFA, c’è quello del rapporto – sempre più stretto, sempre più interconnesso – tra calcio e politica. Soprattutto se lo decrittiamo dalla prospettiva che riguarda i diritti umani, a maggior ragione perché l’attenzione a questa tematica è diventata una parte importante nel processo di hosting dei grandi tornei internazionali, primo tra tutti la fase finale di Coppa del Mondo. In qualche modo, decisamente contorto, è come se la FIFA avesse fatto in modo di tutelarsi dalle critiche che le sono piovute addosso dopo l’assegnazione dei Mondiali alla Russia (nel 2018) e al Qatar (nel 2022). Ma ora all’orizzonte c’è una nuova fonte di imbarazzo, per Infantino e gli altri massimi dirigenti del calcio mondiale: il Texas.

Il secondo stato più grande degli USA è stato già selezionato per ospitare alcune gare del torneo. Ma non è tutto: l’AT&T Stadium di Arlington è uno degli impianti in cui si potrebbe disputare la finale di domenica 19 luglio 2026. Il tutto mentre il governo dello stato, come scrive il Guardian, ha promulgato delle leggi che influiscono negativamente sulla salute delle donne, che limitano i diritti della comunità LGBTQI+ e che impongono nuovi divieti, sempre più rigorose, all’immigrazione. Per la precisione, riguardo la salute delle donne, il Texas è uno degli stati che ha le maggiori restrizioni sull’aborto; a dicembre, poi, il caso di Kate Cox – che alla ha lasciato il Texas pur di porre fine a una gravidanza che metteva a rischio la sua stessa vita – ha mostrato come lo stato cerchi di impedire in tutti i modi l’aborto, arrivando a limitare la libertà di movimento delle persone. Delle regole ugualmente stringenti riguardano le persone transgender che hanno avuto accesso – o vogliono avere accesso – alle procedure per il cambio di sesso.

Sia negli USA che nel resto del mondo, diverse organizzazioni per la tutela dei diritti umani – Human Right Watch, American Civil Liberties Union, GLLAD – hanno attaccato duramente la condotta del governo repubblicano del Texas. Di conseguenza, anche la FIFA ha dovuto rilevare che sì, anche l’assegnazione agli USA potrebbe determinare delle critiche. Anzi, le ha già determinate: «Ogni singolo stato ha le proprie sfide da affrontare in materia di diritti umani», ha detto al Guardian Mary Harvey, ex portiere della Nazionale femminile americana ed ex dirigente FIFA, impegnata nella candidatura di Stati Uniti, Canada e Messico. «L’implementazione di nuovi standard per l’organizzazione della Coppa del Mondo in materia di diritti umani serve a sollevare interrogativi sulla coerenza e sull’impegno dei singoli Paesi. Nel caso del Texas, ci sono effettivamente delle criticità».

La nuova era della FIFA in materia dei diritti umani comincia dunque in salita. Anche perché sullo sfondo c’è anche un altro Mondiale appena assegnato, ma già abbastanza controverso: quello che si svolgerà in Arabia Saudita nel 2034. Cosa c’entra tutto questo col Texas? Lo ha spiegato Mary Harvey: «Le scelte che faremo, così come quelle che non faremo, per il 2026 fisseranno degli standard. E quindi influenzeranno anche ciò che avverrà in futuro: non vogliamo che si determinino dei doppi standard». In pratica, ciò che succederà fino nell’ambito della Coppa del Mondo ospitata da Stati Uniti, Canada e Messico determinerà i comportamenti, le richieste e quindi le procedure della FIFA per tutti i grandi eventi che verranno. Ed è francamente difficile pensare che l’Arabia Saudita, da qui a dieci anni, possa fare dei grandi passi in avanti in materia di rispetto dei diritti umani. In ogni caso, però, ora la priorità resta il Texas: non proprio una matassa facile da sbrogliare.