Davide Nicola e il culto delle imprese impossibili

Le salvezze miracolose di Crotone, Torino, Genoa, Salernitana. E ora tocca all'Empoli, sempre con lo stesso copione.

L’etichetta. Il problema è sempre l’etichetta che ti viene assegnata. Come se fosse un marchio. E può accompagnarti a lungo, anche per tutta la vita. I casi sono numerosi. Tra gli allenatori, uno dei più eclatanti è certamente quello di Luciano Spalletti. A lungo catalogato e archiviato come allenatore piantagrane, egoriferito, incapace di relazionarsi con calciatori dotati di personalità. Ci sono voluti un bel po’ di anni e una stagione stratosferica con il primo scudetto vinto dal Napoli dopo Maradona per riuscire a cambiare la propria immagine, per presentarsi al mondo con un’etichetta diversa. E finire sulla panchina della Nazionale. Perché l’etichetta ci sarà sempre. Rassegniamoci. E l’etichetta è il raggio d’azione che viene concesso a Davide Nicola, di mestiere allenatore. Specialista in salvezze miracolose. È questo il marchio.

Anche la meritocrazia ha i suoi ambiti, i suoi gironi. Ci sono allenatori da prima fascia e allenatori da seconda fascia. Anche di terza se è per questo. Come le classi cantate da De Gregori in “Titanic”. E lo spazio assegnato a Davide Nicola è quello là. Seconda fascia. Un tempo si diceva “allenatore di categoria”. E da lì non ti schiodi. Anche se fai benissimo. Anzi, paradossalmente è persino peggio. Più fai bene, più avalli la bontà della scelta che gli altri hanno fatto per te. Se salvi il Crotone, poi nella tua vita busseranno i tanti Crotone con l’acqua alla gola. A volte succede di avere altre chance. È un percorso tortuoso ma può accadere. A Walter Mazzarri, ad esempio, andò proprio così. Salvò la Reggina partendo da meno undici. Un’impresa che però in pochi ricordano. A parte i tifosi della Reggina, s’intende. Tanti anni fa accadde anche a Gigi Simoni. A lungo considerato un tecnico da bassifondi, a cavallo tra Serie B e serie A. Fino al giorno in cui Moratti lo chiamò all’Inter dove aveva Ronaldo e non Tentoni (peraltro non un brocco). Infatti vinse la Coppa Uefa e andò molto vicino allo scudetto.

Davide Nicola somiglia a Mazzarri e a Simoni. È un tecnico che deve aspettare la sua chance, la possibilità di salire di categoria. Una chance che si è definitivamente conquistato con le sue prime sei partite a Empoli. È arrivato in Toscana da terzo allenatore della stagione. Il terzo tecnico (dopo Zanetti e Andreazzoli) è qualcosa che somiglia molto alla scelta della disperazione. È lo stadio in cui in genere si arriva a contemplare il ricorso alla cosiddetta medicina alternativa. È quello stato dell’anima che rimanda al verso di Ornella Vanoni che tanto piaceva a Gianni Mura: proviamo anche con Dio, non si sa mai.

Gli allenatori come Nicola te li immagini proprio come medici, sempre in compagnia della loro borsa con gli attrezzi da lavoro. Col telefono sempre libero. Pronti a scattare per un pronto intervento. Fabrizio Corsi a Empoli lo ha chiamato quando ormai il paziente non reagiva più. Cioè quando i punti in classifica erano 13 dopo 20 giornate, penultimo con una lunghezza di vantaggio sulla Salernitana. Che allora ne aveva 12, e oggi ne ha 13 A cinque dalla salvezza, che era a quota diciotto con Udinese e Cagliari.  Nicola è arrivato che l’Empoli era in rianimazione. Era metà di gennaio. La squadra non vinceva da due mesi: 12 novembre, 1-0 a Napoli. Da allora, tre punti in otto partite.

Adesso, sei giornate dopo, l’Empoli è 13esimo in classifica con 25 punti, cinque di vantaggio sulla zona retrocessione. In sei partite ha portato a casa tre vittorie e tre pareggi. Di cui uno allo Stadium, contro la Juventus: gol di Baldanzi il gioiellino che ha subito perduto, è stato ceduto alla Roma per consentire a Dybala ogni tanto di riposarsi. Cambia poco. Con Nicola in panchina l’Empoli ha segnato 12 gol in sei partite. Nelle prime venti i toscani di reti ne avevano realizzate appena dieci. Con lui Zurkowski ha firmato la sua prima tripletta in Serie A. Con lui gli italiani che seguono il calcio si sono ricordati di Niang. I laziali ogni tanto gettano uno sguardo distratto a Cancellieri, che il suo lo fa sempre. Al centro della difesa, nonché capitano, gioca Luperto: uno che a Napoli i tifosi non volevano vedere nemmeno col cannocchiale. La rosa del’Empoli, secondo Transfermarkt, vale 69 milioni. Meno del solo Barella. È la quota più bassa della Serie A, dopo quella del Verona.

Da allenatore, Davide Nicola ha esordito in Serie A nella stagione 2016/17: il Crotone, quell’anno, ha colto l’unica salvezza della sua storia nel massimo campionato (Maurizio Lagana/Getty Images)

Davide Nicola ha vinto anche a Salerno, una delle tante piazze dove ha prima conquistato la sua rituale “salvezza miracolosa” e poi il secondo anno non è riuscito a ingranare. A Salerno lo ricordano per un episodio di cui si discusse a lungo e che è rimasto nell’immaginario dei tifosi. Si stava giocando Salernitana-Fiorentina, i suoi erano in vantaggio e un calciatore – Ranieri – non coprì come avrebbe dovuto. Nicola reagì inviperito. Si tolse la scarpa e minacciò di lanciargliela contro. Anche quella scena contribuì all’etichetta. L’allenatore sanguigno che piace tanto ai tifosi ma che allo stesso tempo si scava la trincea “di categoria”. L’etichetta che divora tutto, anche le sue idee di calcio per nulla di retroguardia. E le dichiarazioni mai in cerca di facile consenso. Come quando disse, in un’intervista a Fanpage, che «per me “l’allenatore-psicologo” è un’assoluta fesseria, perché l’allenatore allena e basta; ma è chiaro che ci sono delle situazioni in cui le relazioni diventano fondamentali».

Ma il personaggio che gli hanno cucito addosso, o che si è lasciato cucire addosso, è un altro. «Sempre al massimo, mai mollare», è il suo motto. Insieme a una citazione di Kobe Bryant: «Fare quello che ti piace di più e farlo al massimo cercando di essere il migliore». Nel suo Pantheon c’è anche Platone: «Non si può aprire la testa se prima non si apre il cuore». Ama le statistiche, le studia, le sviscera. Il quotidiano dei vescovi Avvenire gli dedicò un profilo e scrisse di lui che aveva stimato anche il tempo necessario per entrare nella testa dei suoi giocatori: tra i 21 e i 30 giorni. «Non lo dico io ma i grandi esperti. Ho fatto la prova con il cubo di Rubik. Uno mi vede risolvere un cubo di Rubik e dice “sei un fenomeno”. No, non sono un fenomeno. Ho iniziato a farlo un’ora al giorno, qualunque cosa succedesse, anche se non avevo così tanta voglia di passare un’ora al giorno alle prese con un algoritmo. E dopo 21-30 giorni è diventata un’abitudine. Poi sono diventato bravo».

Di imprese Nicola ne ha firmate tante. A rileggerla oggi colpisce quella di Genova, dove lui giocò a lungo. Colpisce perché Nicola subentrò a un certo Thiago Motta. Era dicembre 2019. Quasi cinque anni fa. Quello che oggi è un tecnico destinato a una grande panchina europea, venne esonerato con i rossoblù ultimi in classifica: undici punti in 17 giornate. A Nicola ne restavano ventuno di partite per provare un’impresa disperata. Ci riuscì: portò a casa otto vittorie, quattro pareggi, nove sconfitte. Cambiò poco per il suo futuro: venne esonerato ad agosto.

Perché è questo che fin qui gli è sempre mancato: riuscire a stabilire un rapporto duraturo col club. È come se fosse un inarrivabile chirurgo d’urgenza. Ma poi incapace di stabilire un rapporto duraturo nel quotidiano. Come se gli mancasse l’adrenalina. È un’altra caratteristica di chi ha l’agonismo nel sangue: dare il meglio nei momenti dentro o fuori, quelli in cui ti giochi tutto. La vita non è stata benevola con lui: perdere un figlio è un destino che non si augura a nessuno. Ha sempre vissuto la tragedia con compostezza. Non ne parla mai. Se glielo chiedono, risponde. Anche perché, dettaglio non trascurabile, Davide Nicola è una persona educata. Che ama il suo lavoro. E che spesso raggiunge gli obiettivi.