Da quando Francesco Calzona siede sulla panchina del Napoli la squadra è tornata a funzionare come dovrebbe, o almeno sembra più felice. Sembra una cosa da poco, non lo è. Lo spogliatoio aveva rotto presto i rapporti con Rudi Garcia e con Mazzarri viveva in un purgatorio senza prospettiva di paradiso. Adesso invece si respira un po’ di quell’entusiasmo che c’era la scorsa stagione, quella dello scudetto. È presto per dire se Calzona ha davvero aggiustato il Napoli: sarebbe anche assurdo, in così poco tempo, con tutti i problemi visti da agosto a febbraio.
Si deve riconoscere però che in poche settimane il nuovo tecnico ha recuperato parte dei principi di gioco visti nella gestione Spalletti, sono tornate le percentuali schiaccianti di possesso palla – nelle ultime partite praticamente sempre sopra il 60%, tranne con il Barcellona –, la gestione del ritmo e del pressing, e una tensione offensiva che Mazzarri aveva spento. Ma non basta a spiegare cosa e quanto sia cambiato in meno di un mese. Una grossa mano, per Calzona, è arrivata dalla Nigeria, passando dalla Turchia dopo un aereo perso e uno scalo fuori programma: Victor Osimhen è tornato dal secondo posto in Coppa d’Africa carico come una molla, nonostante i ripetuti avvertimenti dello stesso tecnico sui problemi di condizione e di alimentazione dovuti a quel mese in Costa d’Avorio.
L’ultimo capocannoniere della Serie A ha segnato cinque gol nelle ultime cinque partite. Uno contro il Barcellona, uno contro il Cagliari, tre nella trasferta contro il Sassuolo, in cui ha servito anche un assist a Kvaratskhelia, poi c’è un rigore conquistato con la Juventus e solo venerdì una partita più anonima con il Torino – contro uno dei migliori difensori del campionato. La proporzione è facile, Osimhen fa un gol a partita se il Napoli va al suo ritmo. Se allarghiamo il conto al resto della stagione sono 13 gol segnati e 4 assist in 1.733 minuti tra tutte le competizioni: il rapporto è di un gol o un assist ogni cento minuti circa. Sono i numeri di chi è ancora il centravanti più determinante della Serie A. Se lui va in campo, il Napoli sa che prima o poi un gol lo farà, deve solo scoprire quando e come. Ma i gol da soli non esauriscono il discorso.
In quei numeri c’è una capacità unica – almeno per la Serie A – di coniugare fisicità e controllo della palla, pur non avendo il tocco delicato di certi attaccanti che sembrano trequartisti. Prendiamo ad esempio il rigore conquistato da Osimhen contro la Juve. C’è l’ingenuità di Nonge, è vero. Ma l’attaccante del Napoli è nel traffico, addomestica il pallone, si muove e lo protegge allo stesso tempo, con una tecnica grezza ma sufficiente per mantenere il controllo in mezzo a molte gambe e ricavarne un rigore. Questo suo modo di trovare una soluzione in contesti difficili è una forma di tecnica più che di arte: è la sua abilità speciale di usare l’elasticità del suo corpo per nascondere la palla, per anticipare i difensori, per trovare il posizionamento giusto anche quando l’avversario sembrerebbe piazzato meglio. È un lavoro che Osimhen fa con i piedi e le gambe, ma in realtà anche con il resto del corpo, a spallate, con il bacino, con la schiena, e ovviamente con gli occhi, che non stacca mai dal pallone (qui avevamo raccontato di quando ha fatto sembrare i difensori del Cagliari semplicemente inadeguati a difendere contro un corpo del genere).
Questa capacità di Osimhen di conoscere e quindi valorizzare le doti atletiche fuori scala del suo fisico è un generatore di panico per qualsiasi difesa, è uno strumento che lui e il Napoli usano per condizionare il contesto di una partita, per inclinare il campo e rendere i 90 minuti un po’ più problematici per gli avversari. La scorsa settimana sono usciti i dati del CIES Football Observatory sul numero di accelerazioni per partita – intese come corse di almeno 0,7 secondi a più di 10,8 km/h/s – in 28 campionati. Se lo citiamo in questo articolo è perché Osimhen è primo tra i centravanti, davanti al ghanese Emmanuel Boateng del Rio Ave e all’ivoriano Vakoun Bayo del Watford, con 1,93 accelerazioni a partita in più del previsto (calcolate rispetto al valore atteso in base al ruolo e allo stile di gioco della squadra).
La settimana scorsa, dopo l’esibizione contro la Real Sociedad in Champions League, The Defector ha omaggiato Kylian Mbappé con un articolo che lo dipingeva semplicemente fuori scala, per i baschi e anche per la sua stessa squadra. Mbappé è un fenomeno che sembra giocare a uno gioco diverso, atleta di uno sport individuale, al di fuori del normale contesto collettivo di un calciatore. «Mbappé è attualmente la forza più destabilizzante del calcio e ha dimostrato ancora una volta di essere in grado di affrontare e battere intere squadre da solo, ma anche questo è così da anni ormai, e non è ancora arrivato particolarmente vicino a vincere la Champions League», scrive Billy Haisley. Per inserire Osimhen in un paragone di questo tipo occorre cambiare scala, bisogna restringere il campo: può funzionare passando dalla Champions League alla Serie A e dal Paris Saint-Germain a un Napoli che quest’anno dovrà faticare per arrivare tra le prime quattro.
Il Psg e Mbappé dovranno convivere ancora fino a fine stagione, provando a ottenere il massimo in primavera prima di una separazione che a questo punto sembra naturale. Parigi deve lasciar andare il suo figliol prodigo nell’unico posto in cui non può sentirsi più importante del club che gli paga lo stipendio. Con Osimhen e il Napoli sta accadendo una cosa molto simile. La squadra di Calzona in questo momento brilla di luce riflessa, grazie ai gol e alle giocate del suo centravanti, sfrutta tutte le sue qualità sapendo che l’unico modo per aggiustare questa stagione è farla aggiustare al numero 9, possibilmente mettendolo nelle condizioni migliori per riuscirci. Il merito del nuovo allenatore sta nell’aver ricreato – almeno apparentemente, per ora – un ambiente pacifico per Osimhen. Non era scontato. Più di una volta è sembrato che il rapporto tra giocatore e club potesse spezzarsi per non funzionare più.
A settembre c’era stata quella polemica dovuta a un video parodia sull’account di Tik Tok del Napoli, con la protesta dell’agente del calciatore, Roberto Calenda, che aveva minacciato le vie legali. Poi a gennaio l’agente di Kvaratskhelia, Mamuka Jugeli, aveva detto: «Osimhen in estate andrà in Arabia», alludendo a una scarsa ambizione sportiva dell’attaccante – paragonata invece a quella adamantina del suo assistito. Osimhen aveva risposto su Instagram con una frase che era l’esatto opposto di un complimento alla persona. Poi di nuovo Roberto Calenda aveva smorzato i toni: «Abbiamo appena firmato un rinnovo di contratto e l’unico desiderio di Victor Osimhen, oltre alla Coppa d’Africa, è quello di aiutare il Napoli. Tutto il resto è spazzatura».
Quella firma sul contratto lega formalmente Osimhen al Napoli fino al 2026. Ed è la miglior assicurazione possibile per il club: ormai certo di perdere il suo centravanti, ma protetto dalla certezza di incassare quei 120-130 milioni di euro previsti dalla clausola rescissoria. In questo modo il Napoli si è tutelato almeno sul fronte economico, sapendo che sostituire Osimhen, questo Osimhen, è praticamente impossibile. E la cifra che incasserà servirà a ristrutturare l’intero meccanismo offensivo della squadra. Perché chiunque sia il nuovo centravanti difficilmente avrà la stessa aura, lo stesso impatto e lo stesso peso offensivo di Osimhen.