Storia di un portiere italiano tra Finlandia e Islanda

Mattia Guarnieri racconta la sua vita da expat, dalla Puglia all'estremo Nord.

Mi mancherai molto, Italia. Mi manchi già adesso, al solo pensiero di lasciare un’altra volta casa – la mia Noci, la mia Puglia – diretto al Nord. Quello vero, ancora: due anni fa partivo per la Finlandia, senza sapere cosa aspettarmi e senza avere idea, soprattutto, che lì avrei conosciuto una nuova parte di me; adesso la destinazione è Fjarðabyggð, Islanda, dove mi attende il prossimo passo della mia carriera da calciatore, tra i pali del KFA (o se volete provarci: Knattspyrnufélag Austfjarða). Lo so, state pensando ciò che mi hanno già detto in tanti: ma come ci sono finito, lassù? Perché, soprattutto? E com’è giocarci, viverci, ambientarsi?

Lasciate che mi presenti, prima. Sono Mattia Guarnieri, portiere classe 2000. Alcuni di voi mi conoscono già, o si ricordano di me: chi per gli anni nelle giovanili di Bari e Palermo, chi per la stagione in Serie C con il Fondi, chi per quelle in Serie D a Fasano, Casarano, Cerignola e Muravera. Queste sono state le tappe del mio viaggio tra isole e meridione, fino al 2022, anno in cui il percorso ha preso una direzione… abbastanza imprevista, direi. Anzi, che non mi sarei mai aspettato: Oulu, la casa dell’OTP United, squadra della seconda divisione finlandese. Ho accettato la loro offerta senza pensarci due volte, e provo orgoglio per quella scelta, perché rappresentava un po’ un salto nel vuoto per me, come calciatore e soprattutto come uomo. Ho sentito però che il momento per un’esperienza all’estero era arrivato, anche se non è stata del tutto una mia scelta; o diventare penalizzanti. L’obiettivo (giusto) della Federazione è garantire spazi e opportunità ai più giovani, ma spesso a farne le spese sono quei ragazzi che, appena usciti dalle fasce d’età designate, sono un po’ abbandonati a loro stessi. Succede soprattutto a noi portieri, ruolo in cui le società tendono a schierare uno degli “under” richiesti dal regolamento. Io avevo due opzioni: scendere di categoria o mettermi alla prova nel calcio estero. Ho preso il volo per Helsinki.

Ero l’unico italiano, in Kakkonen – il nome ufficiale della seconda divisione finlandese. Ho conosciuto giocatori provenienti da tutta Europa – ricordo soprattutto danesi, svedesi e polacchi – ma anche ragazzi di altri continenti; il nostro spogliatoio era un miscuglio incredibile di culture, vicine e lontane. Di calciatori italiani, però, neanche l’ombra. L’unico che ho beccato sui campi era un guardalinee, un giovane che si era appena trasferito lì per motivi di cuore. Il nostro gruppo, dicevo: un’atmosfera incredibile. Su 24 giocatori in rosa, eravamo in 15 o 16 stranieri, troppi anche per il regolamento: dato il minimo di nove giocatori nazionali da inserire in distinta, di cui almeno sette schierati nei novanta minuti, inevitabilmente stava sempre fuori qualcuno. Oltre a me c’erano diversi argentini, tre nigeriani, un camerunese, un sudanese, un portoricano, un honduregno, un portoghese, un francese, un canadese e un giapponese. Entravo in spogliatoio e sentivo parlare tre o quattro lingue diverse, musica da ogni angolo del mondo: un clima bellissimo e nuovo per me, che fino ad allora avevo giocato solo in Italia.

A chi mi chiede cosa mi sia piaciuto di più dell’intera esperienza, rispondo in modo semplice: tutto. Mi ha cambiato e aperto mentalmente, ha portato tante cose nuove nella mia vita, nella routine di tutti i giorni. Per esempio la dieta, completamente diversa: colazione molto ricca, cena presto (alle 19) a base di kebab o comunque di carne (non il nostro petto di pollo), cibi speziati e piccanti viste le temperature, si deve pensare a mantenere il corpo caldo. Oppure penso al calendario della mia settimana: cinque giorni di allenamento con tre sedute doppie (mattina palestra, pomeriggio campo), nelle strutture più moderne e attrezzate in cui abbia mai lavorato. Tutte le società hanno sia campi indoor sia outdoor nei propri centri, sempre per una questione di clima, e in generale il livello delle strutture è eccezionale. Poi ci sono i paesaggi, chi se li scorda. Chi è stato da quelle parti può capire. Le prime settimane che sono arrivato, prima di andare a dormire mi mettevo sul tetto di casa a guardare l’aurora boreale: era lì tutte le notti, uno spettacolo. E non posso dimenticarmi di quelle sere al mare con i miei compagni, nel periodo in cui c’è luce solare praticamente a ogni ora. Un altro mondo.

Anche pensando alla gente del posto ho tanti bei ricordi. I tifosi dell’OTP per primi, fantastici. Ci sono stati vicini anche nei momenti più complicati, e non è il solito modo di dire: quell’anno c’era un problema dopo l’altro, per via della disastrosa situazione economica del club, ed è capitato che siano stati proprio i tifosi a darci una mano. Un weekend dovevamo giocare una partita fuori casa, ma fino a tre ore prima non sapevamo se saremmo partiti o no: non c’erano neanche i soldi per coprire la trasferta, una situazione davvero al limite. A un certo punto, però, ci è stato dato il via libera: i tifosi si erano messi d’accordo con alcuni membri della società, avevano raccolto i soldi e ci avevano offerto il viaggio. Pranzo incluso, di tasca loro, una cosa impensabile. Li abbiamo ripagati con una bella vittoria, almeno: 3-0, giocando alla grande nonostante un campo ai limiti del praticabile per le condizioni meteo. Qualche settimana più tardi abbiamo giocato un’altra partita in condizioni estreme, contro il Vaajakoski. C’era tantissima acqua sul campo, non smetteva un attimo di piovere: una di quelle domeniche in cui la palla non corre, non si può giocare a calcio, diventa una guerra… e uscendo dal campo qualche sberla era anche volata, infatti. Nonostante la sconfitta ero orgoglioso della mia prestazione – avevo parato un rigore – e ricordo che quella sera prima di dormire ho pensato a un Fasano-Taranto di qualche anno prima. È sempre un bel ricordo per me, uno di quelli che mi mettono più nostalgia di casa. Era il 2019, il Taranto primo si stava giocando il campionato, noi a metà classifica. Sotto un diluvio universale, su un campo d’erba vera che era diventato una vasca di fango, riuscimmo a portare a casa un buon 2-2, e a me fu dato il premio di migliore in campo. Una delle mie migliori partite in assoluto. Al ritorno, qualche mese più tardi, lo stadio del Taranto era pienissimo, c’erano più di 10mila persone – e a quanto pare tutti ricordavano le mie parate all’andata. Già dal riscaldamento sono stato coperto di fischi, e al primo pallone, quando mi è arrivato un retropassaggio dopo un paio di minuti… ricordo benissimo il boato del pubblico, quella palla che ho svirgolato e spedito direttamente in laterale. I loro fischi però erano un segno di rispetto, ed è sempre emozionante giocare in un’atmosfera simile, sono esperienze che non dimentichi.

Bene, ora però qualche nota dolente, perché di momenti difficili ovviamente ce ne sono stati da quando ho preso quel volo per Helsinki. Come dicevo, la situazione finanziaria dell’OTP non era buona. Oggi so che sono cambiate molte cose, ai tempi a capo della società c’era una cordata argentina di cui si diceva facesse parte anche il fratello di Maradona (ci era arrivata questa voce, ma nessuno in spogliatoio ne sapeva niente di più). Tutti i sei argentini in rosa, comunque, erano arrivati con la nuova proprietà tra il 2021 e il 2022, e sono andati via quell’estate; così come l’allenatore, Darío Labaroni (altro argentino), che era sempre accompagnato da un traduttore perché parlava solo spagnolo; e Ricardo Curto, un direttore sportivo molto preparato (e una persona squisita) che era stato portato dal Brasile. Non so con precisione come siano andate le cose, ma so che tutto ciò -–fatta eccezione per Ricardo – non viene ricordato con piacere a Oulu, con tutti i problemi che ha lasciato alla proprietà successiva.

Finita quell’esperienza, comunque, anche per me iniziava un periodo non semplice. Anzi a tratti molto, molto difficile. Dopo la Finlandia sono stato in Estonia, ma il club di prima divisione con cui avevo iniziato la preparazione non mi ha potuto tesserare per il campionato. Allora sono tornato in Italia e… mi sono perso, completamente. Sono rimasto fermo per otto lunghi mesi, che ho accusato tantissimo a livello psicologico. Mi sentivo fuori dal giro del calcio italiano, e all’estero non c’erano molte opportunità, anche perché era novembre: ero spaesato come mai nella mia vita. E sono uno che fa sacrifici da quando ha 13 anni, ma in quel momento mi sono sentito in una situazione più grande di me. Se non avessi avuto vicino la mia famiglia, la mia ragazza e soprattutto un professionista che mi ha aiutato un po’ – anzi: molto più di un po’ – non so come ne sarei uscito. È la prima volta che racconto questa cosa in pubblico, ne ho parlato soltanto con la mia ragazza e la mia famiglia finora.

Adesso però sento di essermi messo alle spalle quel periodo, e parlandone posso aiutare i colleghi che magari stanno attraversando un momento simile. Sì, esiste davvero il tabù della salute mentale nel nostro ambiente, e lo dobbiamo abbattere. Se hai un periodo negativo, di qualsiasi tipo, sembra che sei debole, fragile. E se ti rivolgi a uno psicoterapeuta, sei un pazzo. Ma non è così, non c’è niente di male ad avere delle difficoltà e farsi aiutare a recuperare ciò che si ha perso: sicurezze, stimoli, amore per il proprio lavoro… sono cose che succedono. Io non sapevo più quale fosse la mia strada, non sentivo la spinta a inseguire il mio sogno. L’aiuto di un professionista è fondamentale in situazioni del genere. La mia più grande fortuna è avere una famiglia che mi è stata sempre vicina, in ogni momento e in tutte le scelte che ho fatto. E potete immaginare che il mio non sia il percorso più facile possibile, soprattutto quando sono andato a giocare all’estero, ma ho sempre avuto il supporto dei miei genitori. E anche grazie a loro, da tutte quelle difficoltà sono uscito con una nuova consapevolezza, e tanta voglia di tornare in campo.

Mattia Guarnieri è nato l’8 marzo 2000. Nella sua carriera ha giocato anche due partite di Coppa Italia: una con il Fasano, nel 2019, e una con il Casarano, nel 2020

Quindi mi sono rimesso in forma fisicamente – quattro o cinque allenamenti a settimana – e mi sono attivato sul mercato. A gennaio è arrivata l’offerta dall’Islanda, dal KFA, e anche stavolta ho accettato subito, nonostante fossi in contatto con un noto club di Serie D. Ho scelto di tornare all’estero per diversi motivi, non solo calcistici. Negli ultimi anni ho capito che queste esperienze ti danno tantissimo a livello umano, o almeno per me è stato così. Io amo quello che faccio, e se mi dà anche l’opportunità di girare l’Europa, conoscere il Mondo, non posso chiedere di più. Il mese scorso quindi ho fatto qualche telefonata ad amici che hanno giocato in Islanda, e ho sciolto gli ultimi dubbi perché me ne hanno parlato tutti benissimo. Sono pronto: si parte tra un mese con il ritiro in Spagna, poi a maggio inizierà il campionato. Sui social qualcuno mi ha criticato per questa scelta, non capisco perché onestamente. Forse non sanno che sto andando a giocare ad un buonissimo livello, in cui posso migliorare tanto. Non sanno che in seconda divisione islandese ci sono giocatori con carriere di tutt’altro tenore rispetto agli standard della nostra Serie D: gente con 500 presenze da professionista (io ne avrò al massimo una sessantina), esperienze nelle prime divisioni in Serbia, Croazia, Bosnia, Azerbaijan e Svezia, e alcuni addirittura in preliminari di Europa League e Conference League. E poi ultimamente ci sono parecchi prospetti interessanti arrivati dall’Islanda nei principali campionati. Sento che è una grande occasione per la mia carriera.

La proposta mi è arrivata da un mediatore: la Afram Football, un’agenzia che lavora in Islanda e rappresenta una quarantina di giocatori tra la prima e la sesta divisione, gestita da due ragazzi, Nacho e Carlos. Sono molto in gamba, ad oggi fanno gli agenti per hobby, ma credo ancora per poco: so che si stanno espandendo anche all’estero, soprattutto nel mercato asiatico… e chissà che in futuro io non vada a giocare proprio in Cina, per esempio. Mi piacerebbe come esperienza, perché no? Un altro posto che mi affascina, non so per quale motivo, sono gli Emirati Arabi Uniti. Non escludo più nulla e non ho idea di cosa potrei raccontare in questa lettera tra qualche anno, ma sono uno che pensa un passo alla volta, e ora la testa è sulla mia seconda volta (e mezzo) nel calcio nordico. Rispetto al 2022 sono più preparato, sia ad accogliere una nuova vita sia a mettermi in gioco in un contesto calcistico diverso.

Il primo adattamento è fisico: bisogna essere pronti per giocare partite su campi ghiacciati (a maggior ragione i portieri) e in generale per vivere mesi con temperature sotto lo zero, tanta neve e forte vento. Perciò si fa molta palestra e si guarda di più ai parametri fisici dei giocatori. Non solo fisici, in realtà: nella mia esperienza ho avuto la percezione che dati e statistiche siano più considerati, o forse solo più apertamente, rispetto che in Italia. Penso ad esempio allo scouting di agenzie come quella di Nacho e Carlos, alla quantità di partite che guardano su Wyscout, mentre da noi è il contatto tra agenti e direttori sportivi a dare vita a molte trattative. Anche nella filosofia degli allenatori ho visto delle differenze. Sono stato in Finlandia ed Estonia, ho visto qualche partita del campionato islandese e parlato con tanti colleghi che sono stati in questi Paesi negli ultimi anni: abbiamo tutti la sensazione che il calcio italiano sia molto più tattico. Da noi c’è tanta attenzione alle posizioni e al sistema di gioco, là invece la priorità è lo sviluppo della tecnica individuale; e quindi, tantissimo lavoro in singolo, uno-contro-uno e due-contro-due: se da quei campionati stanno arrivando sempre più giocatori con ottime qualità tecniche, non è un caso. Anche per questo sono convinto sia la scelta migliore in questa fase della mia carriera. Dopo l’Islanda, poi, chissà.

Non escludo nulla, però il pallino di tornare in Italia ce l’avrò sempre. Prima o dopo vorrei riprendere quel percorso che si è fermato qualche anno fa, costruirmi la mia discreta carriera in Italia. Mi piacerebbe tornare in Serie C, in cui la mia unica esperienza è la stagione con il Fondi, che vorrei ripetere: giocavo con gente come Lazzari, Corvia, Galasso, gente che ha fatto grandi carriere. Dopo la retrocessione nel 2018 sono dovuto ripartire dalla Serie D, ma sento di essere stato sfortunato e di avere un piccolo conto in sospeso. Un’altra fantasia che ho nel cassetto è giocare prima o dopo una partita di coppe europee, non importa dove. Era il mio sogno da bambino, e lo è ancora. Ho iniziato a inseguirlo partendo da una cittadina di 18mila abitanti, vivendo momenti positivi e negativi, a volte facendo scelte difficili, ma sempre spinto dalla passione. E quando ho perso quella, ho accolto chi poteva dare un aiuto. Mi piace pensare che tutto ciò possa essere un buon esempio per i ragazzi che crescono dalle mie parti. Intanto qualcosa che resterà e che potrà aiutare la mia famiglia, comunque vada, l’ho costruito. A casa, a Noci, dove nel 2022 ho comprato un trullo: è dove vivo, vi sto scrivendo da qui. Tra poco però tornerà in affitto come casa vacanza, e io a 3.500 chilometri di distanza. Me lo dico da solo: buon viaggio, Mattia. E come mi ha detto Andrea quando gli ho affidato la mia storia: non sono le persone che fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone. Non vedo l’ora.

*testo raccolto da Andrea Lamperti