Sta arrivando il momento delle donne nella Formula Uno?

Genesi e impatto della F1 Academy, il campionato femminile che prova a cancellare gli stereotipi sulle donne pilota.

Quando lo scorso ottobre Jessica Hawkins ha guidato l’Aston Martin AMR21 all’Hungaroring per una sessione di test, prima donna su una monoposto di F1 dal 2018, il portale Females in Motorsport ha postato un collage di commenti negativi – facilmente immaginabili – presi dalle proprie pagine social. Sono passati nove anni da Suzanne Wolff, oltre trenta da Giovanna Amati e quarantasette da Lella Lombardi, le ultime pilote ad avere, rispettivamente, preso parte alle prove libere, alle qualifiche a una gara di Formula Uno, eppure certi abissi di pensiero sembrano non finire mai. In teoria l’automobilismo è una delle poche discipline sportive autenticamente gender neutral, in pratica invece la percezione del motorsport come un mondo prettamente maschile è ancora radicata, soprattutto alla base del movimento più che all’interno dello stesso, dove le figure femminili sono in aumento e talvolta le si trova pure in posizioni apicali – è il caso di Hanna Schmitz e Rosie Wait, responsabili delle strategie rispettivamente di Red Bull e Mercedes. Ma è in pista dove la citata percezione costituisce un ostacolo aggiuntivo a quelli, già numerosi, che si frappongono fra un giovane pilota – maschio o femmina che sia – e le sue ambizioni di una carriera ai vertici. La sfida lanciata dalla F1 Academy, giunta quest’anno alla sua seconda edizione, è proprio quella di riuscire a cambiare questa percezione. 

Tutti gli appassionati di F1 sanno che tra FIA e Liberty Media non corre buon sangue. Anzi, le occasioni per sgambetti e ripicche sono all’ordine del giorno. Con un’eccezione chiamata F1 Academy, categoria solo femminile guidata da Suzie Wolff, che rappresenta un inedito spazio neutro nel quale la Federazione automobilistica e la holding americana che gestisce la F1 riescono a lavorare in piena sintonia. La Academy è stata inaugurata nel 2023 sulle ceneri della W Series, categoria tutta femminile finita in bancarotta dopo quattro anni di pessime gestioni, e considerata dai detrattori una sorta di gabbia nella quale venivano confinate le pilote. Une delle più acerrime nemiche era la tedesca Sophia Flörsch, attualmente in Formula 3, dove lo scorso anno è diventata la prima donna a conquistare punti nella categoria. Flörsch è una che non ha mai avuto peli sulla lingua, né quando si trattava accusare i media tedeschi di ignorare qualsiasi giovane pilota non provenisse da una dinastia importante (il riferimento era a Mick e David Schumacher, figli rispettivamente di Michael e Ralf), né per criticare le politiche federali che creavano steccati di genere. La F1 Academy è però un’altra cosa, non solo formalmente (è Liberty Media a gestire la categoria, non la FIA) ma anche a livello di scopi e prospettive.

Proprio la sinergia tra FIA e Liberty Media ha permesso alla F1 Academy di iniziare la seconda stagione liberandosi da una serie di criticità che avevano tarpato le ali alla prima edizione, penalizzata da scarsa visibilità e conseguente giro economico modesto. Spesso, non a torto, Liberty Media viene criticata per la visione esageratamente commerciale con cui gestisce la F1, eppure nel caso dall’Academy aveva paradossalmente latitato proprio sotto questo profilo, con le gare che in diversi paesi non venivano trasmesse nemmeno in streaming (nel 2023 in Italia andarono in onda su Sky solo i GP dell’ultimo turno a Austin, mentre prima veniva trasmessa solo una sintesi di pochi minuti), e un calendario legato a altri eventi motoristici che con la categoria c’entravano poco (lo scorso anno a Monza corsero con le WEC). Senza visibilità è impossibile attirare sponsor, e il cambio di registro quest’anno è stato netto. In primo luogo, il calendario delle gare (14 in totale su sette weekend) è stato allineato a quello della F1. Poi sono stati introdotti i punti per la superlicenza FIA, indispensabili per poter accedere alla Formula 1, e che vengono assegnati alle prime classificate al termine del campionato. Grazie a un accordo con la Federazione, i team che partecipano alla FRECA (Formula Regional European Championship by Alpine), la categoria intermedia tra la F4 e la F3, potranno schierare una quarta vettura se ingaggeranno una delle tre classificate della Academy. Quest’anno è avvenuto con la spagnola Marta Garcia, vincitrice nel 2023, ingaggiata dalla Prema, e con la svizzera Léna Bühler, seconda classificata, accasatasi presso la ART.

Queste modifiche strutturali sono state supportate da un restyling della competizione che ha visto scendere in pista le livree ufficiali delle dieci scuderie di F1. Le monoposto sono tutte Tatuus-Autotecnica di Formula 4 portate in pista da cinque costruttori presenti in F2 e F3, ovvero ART, Campos, MP Motorsport, Prema e Rodin. Ogni costruttore di F1 avrà però una propria pilota, ma anche per le rimanenti (in totale le pilote sono 16, più una pilota locale emergente che cambia a ogni GP attraverso una wild-card) sono scesi in campo sponsor importanti quali Puma, Tommy Hilfiger, Charlotte Tilbury e Red Bull (la multinazionale, non il team di Milton Keynes). Un chiaro indicatore della crescita di appetibilità di un prodotto pensato meglio rispetto al passato. Anche perché si tratta di intercettare un pubblico la cui componente femminile è in decisa crescita, come emerso da una ricerca pubblicata lo scorso anno da More Than Equal, nella quale si evidenziava come il 40% dei fan guadagnati dalla F1 negli ultimi 5 anni fossero donne, e di come l’età media del pubblico femminile fosse di 10 anni inferiore rispetto a quello maschile. 

La stortura diventa visibile quando si passa dalla fanbase all’attività pratica, con il rapporto maschi-femmine che da 67-33 sale a 87-13 nei kart, 93-7 nelle categorie GT e 96-4 in quelle d’élite. «Ma nell’ultimo anno abbiamo assistito a un incremento dal 2.5% al 9% di ragazze iscritte alla qualificazioni del British Indoor Karting Championship», ha dichiarato Wolff a The Athletic. «Quindi se l’obiettivo massimo è quello di avere un domani una pilota in Formula 1, evento che realisticamente non avverrà prima dei prossimi dieci anni, quello intermedio è creare un ambiente attrattivo e non respingente per tutte le ragazze che si approcciano attivamente al mondo dell’automobilismo».

L’idea di fondo è che non potrà mai esserci una campionessa se non esistono gli strumenti e le condizioni per permetterle di diventare tale. Wolff insiste molto sul concetto di struttura, tanto a livello base – con la creazione della Champions of the Future Academy, volta a incrementare la partecipazione femminile nei tornei nazionale e internazionale di karting – quanto sotto il profilo economico. La F1 Academy deve essere un modello capace di sostenersi autonomamente. Solo così, sempre a detta dell’ex pilota, potrà rispondere in maniera pienamente affermativa alla domanda rivoltale da un team principal, il cui nome non è stato rivelato, se la Academy fosse solo un cerotto e non la cura del problema.

Marta García (Photo by JIM WATSON/AFP via Getty Images)

In una Formula 1 che passa da Nico Hulkenberg, 1 metro e 84 di altezza per 78 chili di peso, a Yuki Tsunoda, 1.59 x 54, è palese come la questione fisica non sia una problematica così determinante, come spesso invece viene argomentato. Quantomeno, la dispersione delle pilote nel passaggio dai kart alle monoposto non può essere ricondotta a un mero fattore di differenza fisica tra uomini e donne. Qualche giorno dopo il suo test con la Aston Martin, Hawkins ha dichiarato che quasi per una settimana il suo collo le ha ricordato di aver guidato una macchina di F1, ma lo stesso non potrebbe aver detto Oliver Bearman dopo il suo debutto inaspettato a Jeddah? Tsunoda è un pilota molto competitivo, uno che non paga dazio a livello di prestazioni rispetto ad altri colleghi (anzi, lo scorso anno nel forno di Losail furono in molti a uscire dalle monoposto stremati, ma il giapponese non era tra questi), quindi perché – a parità di allenamento e preparazione fisica – dovrebbe farlo Jamie Chadiwck, oggi pilota nella Indy NXT dopo un passato nell’Academy Williams, che è più alta e più robusta del pilota della VCARB? Sul Fatto Quotidiano si è recentemente espresso sulla questione Claudio Gianini, ingegnere strutturista che ha lavorato con Ferrari, Sauber e Toyota. «E’ una questione esclusivamente culturale», ha detto. «Se forse una volta si poteva parlare della necessità di possedere caratteristiche fisiche da sportivo (però Villeneuve, ad esempio, era poi così prestante? E Lauda?), oggi il discorso non regge più, tra servosterzo, servofreno e cambio assistito. È quindi un fatto culturale e per cambiarlo ci vuole tempo, perché questo problema ha costituito, e costituisce ancora, un freno inibitore enorme. Meno ragazze rispetto ai ragazzi provano quella carriera, e quindi esistono meno probabilità di trovare una campionessa. È tutto qui».

Le storie delle pilote della F1 Academy raccontano di problemi comuni a quelli dei colleghi maschi, in primis quello della ricerca – vitale – degli sponsor. Senza soldi nessuno può fare strada, è una regola che vale per tutti. L’inglese Abbi Pulling, attuale leader della F1 Academy su Alpine (è la prima donna ad essere entrata nell’accademia della società francese), a scuola ha avviato un’attività di progettazione grafica che utilizzava anche per presentarsi ad aziende di alto livello alla ricerca di fondi. Al denaro si possono aggiungere problematiche legate alla mancanza di strutture. Bianca Bustamante, pilota McLaren, è cresciuta in un paese, le Filippine, dove «è virtualmente impossibile anche solo pensare a una carriera nei motori perché mancano le piste e le auto. La volontà di rompere le barriere per me è sempre stata pari alla passione per i motori».

Il carico da novanta arriva dalle sorelle emiratine Amna e Hamda Al Qubaisi, rispettivamente pilote di VCARB e Red Bull, nonché figlie dell’ex pilota Khaled Abdulla Al Qubaisi, il primo del suo paese a correre la 24 Ore di Le Mans. «Quando siamo entrate nel motorsport, era un tabù nel nostro paese che una ragazza potesse correre. Ci chiedevano perché non optavamo per l’equitazione o la danza. Una volta in Europa, il fatto di essere donne e arabe ha aggiunto stereotipo a stereotipo. Ci dicevano che eravamo lì perché ricche, quando anche noi, come tutti, lottavamo per trovare sponsor. Soprattutto, però, eravamo le ruote di scorta. Le priorità per i test erano per i nostri compagni, a noi toccavano gli avanzi. In quanto pilote donne, non venivamo prese seriamente in considerazione». Entrambe le sorelle Al Qubaisi hanno maturato esperienza in Formula 4: Amna è stata la prima donna a vincere un GP nella Formula 4 degli Emirati Arabi, competizione alla quale prende parte tutt’oggi, mentre la più giovane Hamda è stata la prima donna a finire sul podio nella F4 italiana.

La competizione nelle serie miste è il pane quotidiano per molte pilote della F1 Academy. La ferrarista Maya Weug proviene dalla FRECA, dove la scorsa stagione è andata a punti in sei occasioni, nonostante partecipasse con una delle scuderie più piccole, la KIC Motorsport. La pilota Mercedes Doriane Pin è reduce da una stagione positiva nella WEC Endurance, classe LMP2, dove ha corso con Prema disputando tutte le gare in calendario, ottenendo tempi spesso migliori di un compagno di squadra quale l’ex Red Bull Danil Kviat, che non sarà certo stato Max Verstappen, ma che in Formula 1 ha raccolto 107 punti in sei stagioni. La stessa Hawkins, che lavora nella F1 Academy per Aston Martin, di cui è ambasciatrice, seguendo la pilota di casa Tina Hausmann, nel test citato all’inizio dell’articolo ha ottenuti tempi più brillanti del terzo pilota della casa inglese, Felipe Drugovich.

Si tratta quindi di opportunità, non di questione fisica, né di talento. Entrambe le componenti devono ovviamente esserci, perché nella competizione – ferocissima – in F3 e F2 emergono sono i migliori. E a volte nemmeno questo è sufficiente, se si pensa che gli ultimi tre campioni di F2 non hanno trovato un sedile in F1 la stagione successiva alla vittoria. L’imbuto finale è un problema di tutti, ma non tutti sembrano avere le opportunità di migliorare allo stesso ritmo (questioni di budget a parte). Alla fine, lo scopo della F1 Academy è questo. Non vuole imporre le donne a un livello al quale non appartengono, ma offrire loro quello spazio e quelle chances che in passato negli sport motoristici non è stato loro concesso. Poi rimarranno solo le migliori, come accade in ogni sport. Ma, come ha detto una volta Suzie Wolff: «If this (la F1 Academy, nda) doesn’t function, nothing’s going to function».