La cosa più importante della conferenza stampa di Vinícius non sono le sue lacrime

Dovremmo discutere delle sue parole e del messaggio politico che con esse ha voluto lanciare.
di Redazione Undici 26 Marzo 2024 alle 13:26

Se l’argomentazione morale non funziona (e abbiamo visto che non funziona, altrimenti non saremmo qui a parlarne per l’ennesima volta), forse coloro che vogliono eradicare il razzismo dal calcio devono rassegnarsi all’uso di argomenti, per così dire, pragmatici. Per esempio: se uno dei migliori calciatori contemporanei ammette in una conferenza stampa che i continui insulti razzisti di cui è vittima durante le partite gli stanno facendo passare la voglia di giocare a pallone, forse anche chi continua a negarlo ammetterà che il razzismo nel calcio non solo esiste, non solo è tanto diffuso da essere quasi definibile endemico, ma è anche dannoso per il gioco da un punto di vista non solo morale ma anche pratico. Chiunque capisca un minimo di calcio sarà d’accordo sul fatto che questo sport non può fare a meno di talenti come Vinícius Júnior, chiunque ami un po’ lo sport sarà d’accordo sul fatto che qualsiasi cosa impedisca di godere dello spettacolo che talenti come Vinícius offrono deve essere definitivamente rimosso, distrutto, cancellato. Dagli spalti e dal campo, si capisce: un insulto razzista è tale che venga dalla curva o da un avversario.

Della conferenza stampa di Vinícius di cui tutti nel mondo del calcio stanno parlando in queste ore c’è il rischio restino soltanto le sue lacrime. È una tentazione alla quale tutti dovrebbero resistere, perché cedervi significherebbe ridurre al pietismo, al patetismo un discorso che invece è quintessenzialmente politico. Quello di Vinícius non è stato affatto uno sfogo, come tanti lo stanno definendo. Non è stata una crisi di pianto né un episodio isterico. Vinícius ha pianto per l’esasperazione e la stanchezza alla quale il calcio spagnolo in particolare e quello europeo tutto lo hanno portato. Ha pianto perché la situazione si è fatta talmente esasperante da costringere le istituzioni del calcio europeo a organizzare un’amichevole “contro il razzismo”, a inventare un altro, ennesimo, vuoto slogan da appiccicare ovunque – negli stadi, sugli schermi, sopra le magliette – in un disperato e goffo tentativo di coprire il marcio.

Ma, come ha detto Vinícius, il fatto è che siamo ancora a questo punto perché negli anni si è sperato di combattere il razzismo con la cosmetica, coprendo con il trucco pesante il volto disumano del calcio. E, invece, tutto quello che bisogna fare in questi casi è reprimere e punire: a costo di svuotare tutti gli stadi di tutto il mondo, i razzisti non devono più avere il calcio come palcoscenico. «Sono sicuro che la Spagna non sia un Paese razzista, ma in Spagna ci sono comunque molti razzisti e tanti di loro si ritrovano allo stadio. Questa cosa deve cambiare perché le persone non sanno davvero cosa è il razzismo», ha detto il giocatore.

La parte fondamentale del discorso di Vinícius è questa: solo chi è vittima di razzismo sa cosa sia davvero il razzismo. Solo chi viene chiamato ne**o sa che ne**o è un insulto razzista e non un insulto e basta, e non sta a nessuno se non alla vittima parlarne e l’unica cosa che tutti gli altri devono fare è ascoltare e capire e decidere e agire. «Ho solo 23 anni e mi sono trovato a dover spiegare a tanti spagnoli cosa sia veramente il razzismo, e la cosa tocca me e la mia famiglia che segue tutto e si fa prendere dalla tristezza. Dalla prima volta che mi è capitata una cosa del genere in Spagna, la situazione negli stadi è peggiorata. Perché i colpevoli non vengono puniti, hanno sempre più potere, sanno che posso fare qualsiasi cosa e sanno che le parole che usano quando parlano del colore della mia pelle mi colpiscono. È esasperante perché ci si sente soli. Ho fatto così tante lamentele usando i canali ufficiali, ma nessuno viene mai punito». In compenso, vengono organizzate amichevoli e inventati nuovi slogan (per l’amichevole tra Brasile e Spagna è “One Skin”). Perché è più facile fare questo che fare qualcosa davvero per risolvere una volta per tutte il problema.

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