* Quest’intervista a Joe Barone è stata realizzata il 27 febbraio scorso al “Rocco B. Commisso Viola Park”. Ed è uscita sul numero 55 della nostra rivista. Di comune accordo con l’area comunicazione della Fiorentina, noi di Undici abbiamo deciso di pubblicarla anche sul nostro sito così che i tifosi viola – e gli appassionati di calcio in genere – possano sapere qualcosa in più sull’eredità di Barone, su quello che ha fatto per la Fiorentina, sui progetti che stava portando avanti insieme al presidente Commisso e al resto della dirigenza. Riportare le sue parole, inoltre, deve essere considerato anche come il nostro atto di omaggio alla sua memoria.
Quando nel 2019 si è insediato come direttore generale della Fiorentina, emanazione diretta e uomo d’azione del nuovo presidente Rocco Benito Commisso, Giuseppe “Joe” Barone ha detto subito che il club viola, da quel momento in poi, avrebbe avuto un obiettivo piuttosto chiaro: «Costruire una squadra all’altezza della città». Erano parole significative, lo sono ancora oggi: mentre il brand “Firenze” – nella nostra epoca, che piaccia o meno, anche i luoghi devono essere inquadrati e raccontati come se fossero dei marchi, dei prodotti – ha sempre mantenuto un enorme prestigio a livello globale, il brand “Fiorentina” era finito ai margini del calcio europeo. E quindi c’era la necessità e l’urgenza di rivitalizzarlo, anche in virtù di un’antica nobiltà che si stava sgualcendo. Ecco, in questo senso l’arrivo di una proprietà ricchissima – stando alle ultime rilevazioni di Forbes, Commisso possiede un patrimonio che sfiora i sette miliardi di dollari – rappresentava una garanzia di ambizione, una promessa di rinascimento, per usare un termine che rimanda alla storia di Firenze. A pensarci bene è andata così, sta andando così: la Fiorentina è effettivamente rinata a nuova vita. Solo che Commisso, Barone e il resto del loro team hanno fatto delle scelte peculiari, si può dire anche uniche, almeno se guardiamo al contesto italiano. Spesso si abusa della locuzione cambio di paradigma, ma in questo caso è inevitabile parlare in certi termini: con il suo modello di business, la Fiorentina sta davvero imponendo un cambio di paradigma al nostro calcio.
Se deve muoversi da un punto all’altro del Rocco B. Commisso Viola Park, il centro sportivo di proprietà che la Fiorentina ha inaugurato nell’ottobre 2023, Joe Barone lo fa a bordo di una golf car. Una golf car di colore bianco e viola, naturalmente, come tutte le biciclette e tutti gli ApeCar parcheggiati qui e lì: sono i mezzi di trasporto utilizzati da coloro che lavorano al Viola Park – giocatori, preparatori, dirigenti, operatori della comunicazione, cuochi, giardinieri, magazzinieri – per potersi spostare all’interno dei 26 ettari su cui si estende la struttura. In questi 32 ettari c’è davvero di tutto, non è un modo di dire: 12 campi di calcio regolamentari in erba naturale e/o sintetica, su cui giocano e/o si allenano 20 squadre maschili e femminili, senior e giovanili; 28 locali spogliatoi; un padiglione eventi/sala ristorante che può ospitare fino a 500 persone; un plesso in cui i calciatori del vivaio studiano dopo la scuola, seguiti da tutor assunti dal club, e diversi alloggi per i ragazzi che arrivano da altre città, o anche da altre regioni, per giocare nel settore giovanile; 18 sale riunioni; tre piscine di diverse dimensioni; una postazione per interventi dentistici, una per trattamenti podologici, tre postazioni parrucchieri. E poi ci sono tante altre cose, ma soprattutto ci sono due stadi: uno da tremila posti, intitolato alla Curva Fiesole, e uno da 1500 posti, intitolato a Davide Astori.
Barone ci accoglie in una sala nel corpo centrale del Viola Park, cioè un ex villino da caccia costruito tra il 18esimo e il 19esimo secolo. Le poltrone su cui sediamo e tutti gli altri arredi sono ultra-contemporanei, evidentemente chi ha progettato gli ambienti del centro sportivo voleva trasmettere una sensazione di contrasto tra antico e moderno, tra passato e presente, come fanno tanti architetti d’interni quando immaginano e poi disegnano le nostre case. Più e più volte, mentre parla, il direttore generale della Fiorentina, usa proprio la parola casa. Ed è su questo concetto che la proprietà italo-americana ha fondato il suo lavoro, fin dal principio: «Per noi», spiega Barone, «la ricostruzione di una società come la Fiorentina doveva partire dal riassestamento dei conti. E, soprattutto, dall’investimento su nuove infrastrutture: un centro sportivo all’avanguardia che potesse essere la casa del club, dei giocatori, dei tifosi; uno stadio nuovo e di proprietà. Per quanto riguarda i risultati sportivi, l’obiettivo era riportare la Fiorentina a giocare stabilmente le coppe europee».
A voler condensare tutto questo programma in una definizione breve, si potrebbe dire che la Fiorentina di Commisso ha manifestato delle ambizioni immediate e quindi quasi utopiche per gli aspetti extracampo, soprattutto se parametrate alla lentezza pachidermica della burocrazia italiana, e ha fissato degli obiettivi più progressivi a livello sportivo. Ecco, il nuovo paradigma del club viola sta proprio in questo approccio sequenziale. Lo sa anche Barone, che lo racconta snocciolando frasi imbevute di orgoglio: «Abbiamo portato tanta innovazione, nel senso che abbiamo attuato un modello a cui l’Italia non era abituata, tutto fondato sui capitali e sulla creatività di Rocco Commisso. Ma non solo: abbiamo iniziato a dialogare in maniera diretta e innovativa anche con la nostra tifoseria, spiegando sempre tutto quello che avevamo intenzione di fare».
Tra gennaio e febbraio 2024, la Fiorentina ha giocato dieci gare tra Serie A e Coppa Italia. E ne ha vinte solamente due. Secondo una buona parte della tifoseria, la società non ha fatto ciò che poteva/doveva sul mercato invernale. Questa percezione da parte del pubblico viola non è una novità recente, nel senso che da quattro anni – praticamente fin dal momento in cui sono sbarcati a Firenze – Commisso e Barone vengono criticati per la loro politica di costruzione dell’organico. Negli stessi quattro anni, però, la proprietà italo-americana ha investito 170 milioni per rilevare le quote azionarie, 113 milioni per costruire il Viola Park e altri 44 milioni per aumentare la liquidità e coprire le perdite operative; sempre Commisso, via Mediacom, ha versato 100 milioni come premio di sponsorizzazione, contabilizzati come ricavi operativi nel bilancio della società. In questo momento, almeno secondo l’ultimo report della Gazzetta dello Sport sulla situazione finanziaria della Serie A, la Fiorentina è uno dei due club del campionato – l’altro è il Monza – che non ha debiti con le banche; nel calciomercato estivo del 2021, infine, la Fiorentina ha concluso l’operazione in entrata più dispendiosa della sua storia: l’acquisto di Nico González dallo Stoccarda, costato 27 milioni di euro.
Soppesando tutti questi dati, si può affermare che gli abitanti della Firenze calcistica – magari non tutti, ma una fetta consistente – siano affetti dalla sindrome di Football Manager: si tratta di un morbo diffuso tra i tifosi di tutto il mondo, spinti a immaginare che il loro club possa scalare le gerarchie nazionali ed europee, per poi consolidarsi ai massimi livelli, fino a vincere i titoli più importanti, proprio come avviene nel simulatore manageriale più amato dagli appassionati di calcio. Il problema è che coloro che contraggono la sindrome credono – e quindi chiedono – che questi risultati possano arrivare in modo rapido, entro poche stagioni. Il fatto che la Fiorentina non vince un trofeo dal 2001, allora fu la Coppa Italia, ha certamente un peso su tutto questo. E in mezzo la tifoseria viola ha vissuto pure un fallimento, la ripartenza dalla Serie C2, Calciopoli, l’ascesa, i picchi e il declino della gestione Della Valle.
Allo stesso tempo, però, va anche detto che dall’inizio della stagione 2021/22 – cioè dall’arrivo in panchina di Vincenzo Italiano – i risultati della Fiorentina hanno subito un’accelerazione. E allora si può dire: se Firenze è critica nei confronti della società, lo è perché fatica ad accettare il modello di business attuato da Commisso e dai suoi dirigenti. Stuzzicato su questo punto, il direttore generale risponde in maniera piuttosto serena: «Noi abbiamo grande rispetto per i nostri tifosi. A loro, e questa è la cosa più importante, abbiamo fatto solo delle promesse che sapevamo di poter mantenere. Il nostro approccio magari non piacerà a tutti, ma noi ci crediamo molto. Abbiamo sempre dichiarato di voler costruire una Fiorentina che gioca stabilmente in Europa, e ce l’abbiamo fatta. Poi è chiaro: possiamo migliorare ancora? Certo. Siamo contenti dei risultati di gennaio e febbraio? No, non lo siamo. Ma la Fiorentina in questo momento è ancora in corsa in campionato, Coppa Italia e Conference League. Non è una cosa banale».
A questo punto è inevitabile chiedersi: quali sono i prossimi passaggi del progetto Fiorentina? Che relazione c’è tra gli investimenti nelle infrastrutture e la crescita della squadra? Per rispondere a questa domanda, Barone parte ancora una volta dal Viola Park, dal concetto di casa. E le sue parole sembrano piuttosto ragionevoli: «Abbiamo una visione chiara del nostro futuro. E il nostro futuro inizia dalla nostra casa, dal Viola Park: il centro sportivo è stato costruito perché la Fiorentina potesse accogliere e far innamorare i bambini del club, della fiorentinità. Per trasmettere i nostri valori in modo diretto, più veloce. I passi successivi riguardano il potenziamento del settore giovanile: per un club come la Fiorentina, avere una base di giocatori che arrivano dall’interno, dal basso, è fondamentale. L’esplosione di Kayode e l’inserimento di Comuzzo, Vannucchi e Martinelli in prima squadra ci dicono che la direzione è quella giusta. Così stiamo valutando di creare anche la seconda squadra, ma solo se ci sono i margini per farla giocare qui al Viola Park, come succede per la nostra squadra femminile, per tutte le nostre squadre giovanili. Vogliamo creare un ulteriore scalino intermedio tra la Serie A e il Campionato Primavera, ma vogliamo anche avere tutto sotto controllo».
Esattamente due anni fa, a marzo 2022, la Fiorentina ha svelato il suo nuovo logo e ha scritto e lanciato il suo primo manifesto dei valori. Uno dei passaggi più interessanti dice che a Firenze «siamo unici da sempre, come il nostro calcio. Siamo ostinati, ribelli, fieri padroni del nostro destino». Ecco, questo è il senso di tutto. Delle parole di Barone, dell’investimento gigantesco sul Viola Park, del nuovo paradigma di Rocco Commisso: attraverso il centro sportivo, il primo di proprietà nella sua storia, la Fiorentina vuole autodeterminarsi in ogni aspetto. Vuole costruirsi i giocatori in casa, vuole vederli crescere e giocare in casa, e sempre in casa vuole curarli nei minimi dettagli e persino acconciargli i capelli – a cosa servirebbero, sennò, le postazioni per i dentisti, i podologi, i parrucchieri? E poi è anche una questione di riconoscibilità, di forza percepita, di status: «Oggi la Fiorentina dialoga con la Federazione, con la Lega, con le istituzioni calcistiche internazionali», dice Barone con una certa soddisfazione. Ed è tutto vero: all’inaugurazione del Viola Park sono intervenuti il ct della Nazionale Luciano Spalletti, il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, il ministro per lo sport e i giovani Andrea Abodi, il presidente UEFA Aleksander Ceferin. Anche il presidente della FIFA, Gianni Infantino, ha mandato un videomessaggio di saluti e congratulazioni.
La superficie che oggi è occupata dal Viola Park, prima della costruzione del centro sportivo, era diventato una sorta di discarica: in tutto il terreno intorno al vecchio villino da caccia, infatti, si erano accumulati quintali di rifiuti. Dal punto di vista geografico e amministrativo non siamo esattamente a Firenze, siamo piuttosto a Bagno a Ripoli, comune di 25mila abitanti che dista dieci chilometri in linea d’aria dal Ponte Vecchio. Non è un dato marginale, soprattutto se pensiamo a tutto quello che è successo – e che sta ancora succedendo – intorno alla questione-stadio. Ora che il Comune di Firenze ha preso in carico i lavori di ristrutturazione del Franchi, trovando anche una soluzione-ponte perché la Fiorentina possa continuare a giocare in città, la situazione sembra essersi risolta per il meglio. In realtà le persone dentro il club viola, a cominciare ovviamente da Commisso e Barone, stentano a nascondere la frustrazione per non essere riusciti a fare quello che si erano prefissati. Ad autodeterminarsi anche in questo aspetto. «L’Italia calcistica e quella politica», dice Barone, «hanno faticato a stare al nostro passo. Avevamo promesso di investire anche sullo stadio ed eravamo pronti a farlo, ma la politica non ci ha fatto andare avanti. Ora è difficile capire cosa succederà: i prossimi passi saranno economici, governativi, relativi a processi ancora in corso. L’unica cosa che auspichiamo è che si possa andare veloci. Nel 2032 l’Italia organizzerà gli Europei, nel frattempo FIGC e UEFA dovranno scegliere gli stadi in cui saranno ospitate le partite. Ci auguriamo che a Firenze venga costruito un nuovo impianto, e che quell’impianto possa essere selezionato».
Insomma, siamo già arrivati all’inversione dei poli, al ribaltamento dei ruoli: ora è la città, intesa ovviamente come entità politica e amministrativa, che deve dimostrare di essere all’altezza della Fiorentina, del suo progetto. E della visione di Rocco Commisso, che qualche mese fa ha detto le seguenti parole: «Le cose in Italia possono essere fatte». La nuova casa della Fiorentina, che porta il suo nome e che ospiterà il club per tantissimi anni, forse per sempre, sta lì a dimostrarlo.