Il calcio di oggi segue delle leggi non scritte che sono impossibili da infrangere. O quasi. Una su tutte: la legge della velocità supersonica, quella per cui un professionista – giocatore, allenatore, dirigente che sia – deve accettare un’offerta che gli permetterebbe di migliorare il suo status tecnico ed economico, è obbligato a farlo immediatamente, e non importa che ci sia margine per aspettare qualche mese o qualche stagione, per crescere ancora, per consolidarsi, l’importante è arrivare in un top club subito o comunque il prima possibile, perché appena si presenta l’occasione bisogna prenderla al volo, certi treni passano poche volte e altre frasi fatte di questo tipo. Questa visione iper-capitalistica è legata all’essenza stessa del calcio post-contemporaneo, al fatto che sia diventato un comparto di business iper-capitalista – anche se lo è sempre stato, a pensarci bene – e quindi non ci sono delle vere e proprie alternative. O quasi. Ecco, quel quasi ha un nome, un cognome e un apodo: Xabier Alonso Olano, meglio noto come Xabi Alonso.
L’annuncio fatto da Xabi Alonso, «ho deciso di rimanere al Bayer Leverkusen perché il mio lavoro qui non è ancora finito», ha sorpreso tutti. Per tanti motivi. Il primo, il più semplice da intercettare, riguarda proprio la legge della velocità supersonica. E poi, subito a ruota, ci sarebbero l’aura e la ricchezza e le ambizioni dei club potenzialmente interessati a prenderlo, dei club che vogliono/devono pensare a un cambio di allenatore: Liverpool, Bayern Monaco, magari Manchester United o Barcellona. Tra queste, poi, ci sono due squadre che per Xabi Alonso significano moltissimo: il Liverpool, che l’ha lanciato nel grande calcio europeo dopo gli esordi scintillanti con la Real Sociedad; il Bayern, che l’ha accolto dopo la Champions vinta col Real Madrid nel 2014 ed è stata la sua casa fino al ritiro.
Insomma, c’erano tutti i presupposti, persino il profumo di un romantico ritorno a casa a Monaco oppure a Liverpool, per aspettarsi che Xabi Alonso lasciasse il Bayer Leverkusen alla fine di questa stagione. Inoltre, come se non bastasse, c’era anche da considerare la vecchia storia per cui, in certe situazioni, conviene andarsene da vincitori. Da eroi. Il Bayer in questo senso è un caso davvero emblematico, davvero estremo: è uno dei club medio-borghesi più sfigati di tutti i tempi – ricordate Klaus Toppmöller e il Bayer Neverkusen? – e quindi a Xabi Alonso avrebbero eretto una statua se fosse riuscito a vincere anche solo una Coppa di Germania. Oggi le prospettive sono un tantino cambiate: il tecnico spagnolo ha effettivamente condotto la sua squadra alla finale di DFB-Pokal, ma nel frattempo ha praticamente ipotecato la prima Bundesliga nella storia del Bayer ed è anche ai quarti di finale di Europa League. E allora si può parlare di capolavoro assoluto, e allora si può parlare di Xabi Alonso come di un allenatore predestinato. O meglio: di un tecnico destinato a traslocare subito, perché è già pronto per farlo, in un club che può vincere la Champions League.
Pochi giorni dopo l’annuncio di Xabi Alonso, il Guardian – uno dei giornali più autorevoli del mondo, per chi non lo sapesse – ha pubblicato un articolo in cui si ipotizzava che Thiago Motta potesse fare «un Alonso», cioè potesse decidere di restare al Bologna nonostante il corteggiamento della Juventus. Sì, esatto, avete letto e avete capito bene: la scelta del tecnico spagnolo è stata così inattesa e così controculturale che è già diventata un termine giornalistico, anzi addirittura il nome “Alonso” è diventato un vocabolo con un significato proprio, inequivocabile.
In virtù di tutto questo, fare un elogio alla pazienza di Xabi Alonso diventa una necessità. Una sorta di dovere morale. E non perché ci aspettiamo che la sua decisione di restare al Bayer Leverkusen possa cambiare il calcio, magari cancellando o addolcendo la legge della velocità supersonica, ma per due motivi principali: intanto allungherà una bella storia che sembra tratta dalle nostre/vostre carriere di Football Manager, la storia di una squadra lontana dall’élite che all’improvviso inizia a vincere tutte le partite – o comunque a non perderne nessuna, letteralmente – e arriva a vincere il campionato, poi a giocarsi l’Europa League con tutti gli occhi puntati addosso; e poi perché restituisce un po’ di valore al tempo come periodo di formazione, all’idea per cui è necessario prepararsi bene per accedere a un livello più elevato – un concetto che il calcio iper-capitalista aveva finito per diluire un po’ troppo, al punto da renderlo quasi omeopatico, guardando solo al puro e semplice talento.
E poi c’è un un altro aspetto piuttosto importante, o comunque da non trascurare: con la sua scelta di rimanere a Leverkusen, Xabi Alonso si è fatto benissimo i suoi calcoli. Intanto perché non ha niente da perdere, in fondo il titolo e/o i titoli che conquisterà quest’anno resteranno sempre lì, impressi nella storia, e male che vada il Bayer Leverkusen edizione 2024/25 sarà il solito Bayer, l’ennesimo Bayer bello a vedersi, simpatico, perdente e un po’ patetico. E poi perché lui continuerà a essere Xabi Alonso qualsiasi cosa accada, e cioè un ex giocatore fantastico, un figo pazzesco, ora anche un allenatore di incredibili qualità. Un allenatore che per altro ha già dimostrato, vincendo dove sembrava impossibile riuscirci, di avere tutto ciò che serve per poter guidare qualsiasi squadra. Anche la più forte in assoluto. E infatti dalla Spagna già sussurrano che l’allenatore del Bayer Leverkusen, in realtà, abbia deciso di restare dov’è perché una spia gli ha anticipato come andranno le cose: a giugno del 2025 Carlo Ancelotti dovrebbe lasciare la panchina del Real Madrid, e l’erede designato sarebbe proprio lui. La spia in questione, per altro, pare che si chiami Florentino P.
Al di là di indiscrezioni e dietrologie, restano i fatti. E i fatti dicono che Xabi Alonso aspetterà un altro anno, ancora un anno, prima di accettare l’offerta di un top club. Quest’anno d’attesa non lo passerà seduto in una sala d’aspetto, piuttosto allenando una squadra che ha plasmato in prima persona, che ha portato a risultati mai accarezzati prima; e quindi potrà continuare a perfezionarsi mettendo alla prova il suo stesso capolavoro in Champions League, praticamente all’università del calcio, e lo farà senza avvertire la pressione di dover vincere. Anzi, avrà la possibilità di dare un’ulteriore mano di lucido alla sua stessa credibilità, al suo stesso prestigio. Nel suo caso non si tratterà di gavetta, di un apprendistato, ma di una vera e propria passerella prima di prendersi il centro del palco. A pensarci bene, è un’idea controculturale, rivoluzionaria, ma non così assurda.