È bastata una partita per ricordarci che giocatore è Jadon Sancho

E perché il Manchester United avesse speso tutti quei soldi per lui.
di Redazione Undici

La spiegazione migliore della strepitosa partita giocata da Jadon Sancho nella semifinale d’andata contro il Psg l’ha data Thierry Henry a Cbs Sports: «Tutti sappiamo che ha avuto delle difficoltà a livello mentale, al Manchester United. Il potere del cervello, il modo in cui influenza il giocatore che sei… Se non stai bene nella testa, o a casa, o in qualsiasi luogo che conti per te, non può giocare bene. Non è importante chi tu sia, dove giochi, che talento hai».

C’è poco da aggiungere al discorso fatto da Henry: è la verità, è così che funziona, chiunque abbia anche soltanto una minima idea di cosa sia lo sport professionistico giocato ai massimi livelli lo sa. Sancho è solo l’ennesima prova di questa verità: un giocatore finito fuori rosa al Manchester United, un talento che sembrava definitivamente disperso, un nome che sembrava destinato a rimanere nella storia del calcio solo per la differenza tra quanto lo United aveva pagato per il suo cartellino e quanto i Red Devils avessero poi riscosso in campo, a questo calciatore è bastata una notte per ricordare a tutti che il talento non sparisce nel nulla. Il talento resta sempre lì a palpitare, anche quando è offuscato dalla coltre spessa e scura di una mente debilitata dalle difficoltà, dalla fatica, dallo stress. Resta lì e basta che la coltre si diradi appena appena, anche solo per un attimo, perché chi guarda riscopra la sua lucentezza. Ed è esattamente questo che è successo nella partita contro il Psg: è bastata una partita perché tutti si ricordassero che giocatore è Sancho, perché quando lo United ha deciso di spendere una cifra enorme per lui quella fu una delle (poche) scelte davvero sensate, comprensibili, invidiabili fatte sul mercato dallo United negli ultimi anni.

Non è soltanto una questione di numeri, ovviamente. Anche se i numeri di Sancho nella partita contro il Psg sono oggettivamente impressionanti: solo nella prima mezz’ora di gara ha completato sette dribbling, vale a dire il maggior numero di dribbling completati in una partita a eliminazione diretta in questa edizione della Champions League. E poi, ancora: soltanto nel primo tempo, Sancho ha toccato il pallone cinquanta volta, ha vinto otto duelli (più di tutti gli altri giocatori in campo, compagni e avversari), ha completato sette dribbling, ha strappato quattro volte il possesso del pallone agli avversati (più di tutti gli altri giocatori in campo, del Dortmund e del Psg) e ha costruito una chiara occasione da gol. E al novantesimo, quando tutti hanno ovviamente insignito Sancho del titolo di Player of the Match: ha vinto più uno vs uno di tutti (13), ha completato più dribbling di tutti (13), ha toccato più palloni di tutti nella metà campo avversaria (11), ha creato più occasioni da gol di tutti (3), ha toccato più palloni di tutti (99), ha completato più passaggi di tutti (51) e ha conquistato più palloni di tutti (7). Ripensate al Sancho visto – sarebbe meglio dire quello non visto – allo United e confrontatelo con questo: ecco, questa è la differenza che c’è tra un giocatore di talento e un giocatore di talento che sta bene mentalmente.

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