«Questo periodo d’oro dell’Atalanta è dovuto a molti fattori, forse lo potremo valutare meglio tra un po’ di anni: abbiamo potuto dimostrare che in un ambiente piccolo, con numeri non eccezionali, si può creare una squadra di calcio che dà soddisfazioni e si identifica col territorio attraverso le idee, la gestione, l’appartenenza. Il parametro del successo e del vincere è spesso nel superare sé stessi: noi ci siamo riusciti, abbiamo superato la storia dell’Atalanta. Non bisogna porsi limiti, un segreto è anche quello di pensare sempre un po’ più in grande: le idee non sono vendibili». Questo passaggio della conferenza stampa di Gian Piero Gasperini, il giorno prima della vittoria per 3-0 contro il Marsiglia che ha permesso all’Atalanta di conquistare la prima finale di Europa League della storia, fotografa nel migliore dei modi il valore di quanto si è costruito a Bergamo nel giro di un ciclo quasi decennale. Le idee sono un valore non negoziabile e possono permettere a club non di prima fascia di emergere in un calcio governato dai milioni, portando a qualcosa più che semplici exploit.
Questo aspetto accomuna entrambe le finaliste di Dublino, perché il concetto vale tanto per l’Atalanta quanto per il Bayer Leverkusen. Che, dovessimo fare i classici conti della serva, per costruire la squadra che ha conquistato il primo titolo nella storia della Bundesliga dando 18 punti al Bayern Monaco, di fatto non ci ha rimesso nemmeno un euro: ogni acquisto è stato finanziato da una cessione e il monte ingaggi non si è impennato in modo particolare rispetto a quello dell’anno scorso. Tutto questo è una testimonianza del fatto che si può avere successo, che si può addirittura vincere – perché «un vincente è colui che supera i propri limiti», sempre pescando dal repertorio gasperiniano di quest’ultimo mese – anche senza spendere cifre folli.
Parlando di idee: a Leverkusen, per anni, la linea è sempre stata la stessa. Vale a dire: far crescere i giovani, rivenderli per monetizzare, investire nelle strutture, tenere il club a galla senza assumersi quello che, sconfinando nell’economia, potremmo definire rischio d’impresa. Insomma, se si vendono Calhanoglu a 20 milioni e Brandt o Leno a 25, Son a 30 così come Havertz a 85, poi non è che si spende tutto e subito. Certo, anche a Leverkusen non si sono fatti pregare per fare investimenti, quelle volte in cui c’era da aprire il portafogli. Il punto è che quest’anno, banalmente, questi investimenti sono stati fatti meglio.
È chiaro che la figura chiave di questa stagione non può che essere quella di Xabi Alonso, la cui crescita come allenatore ha portato quella spinta forse decisiva affinché il Bayer compiesse lo switch mentale decisivo: quello che ha portato il club a vincere finalmente qualcosa. Che l’ex centrocampista di Liverpool, Real Madrid e Bayern potesse diventare un grande tecnico, insomma, non è stata certo una scoperta dell’altro ieri: bastava vederlo giocare, bastava guardarlo muoversi in campo. Al Bayer, però, Xabi ha potuto entrare ed è entrato in punta di piedi: il club aveva già una sua struttura, un suo organico di coach ad alto livello. Se si va oltre il suo fidato vice Parrilla, Xabi Alonso non ha costruito il suo staff, come pretendono di fare moltissimi allenatori: se lo è trovato. Pensiamo ad esempio a Marcel Daum, il tattico della squadra: è il figlio del grande Christoph, l’allenatore che nel 2000 portò il Bayer a un passo dal titolo, solo un autogol di Ballack a Unterhaching tolse il Maisterschale ai tifosi di Leverkusen. A vincerlo c’è riuscito il suo erede, 24 anno dopo: legacy o cerchio che si chiude, chiamatelo come volete. Ma è quella cosa lì.
Lo stesso vale per tutti gli altri membri dello staff tecnico: il preparatore dei portieri Thiel è al Bayer dal 2012, il preparatore atletico Jouvin addirittura dal 2011 insieme al resto del comparto atletico; il match analyst Lackmann ha iniziato il suo percorso 15 anni fa. Tutti questi professionisti sono stati portati all’interno della società da una dirigenza che, a livello sportivo, è guidatada Simon Rolfes e Kim Falkenberg. Ecco, anche questo è un segno di continuità_ Rolfes a Leverkusen è un’istituzione, visto che per un decennio è stato mediano di riferimento nonché capitano del Bayer; dal 2005 – quando è arrivato dall’Alemannia Aachen dopo il percorso giovanile nel Werder Brema – al 2015 ha messo insieme 377 presenze in tutte le competizioni, poi ha avuto un ruolo dirigenziale nel settore giovanile e infine è arrivato alla prima squadra. L’addio di Rudi Völler, a gennaio 2023, ha portato Rolfes a prendere pieni poteri in termini di pianificazione della squadra: oggi tutte le decisioni passano da lui, e non sembra un caso che ogni acquisto o rinnovo di contratto sia anticipato, sul profilo X del Bayer, da un video in cui Rolfes prende una penna e si alza dalla sua scrivania – una scena ormai diventata quasi virale, visto che ultimamente tra nuovi innesti o prolungamenti di contratto i tifosi hanno avuto più di un’occasione per godersi questi momenti, e per essere felici.
La costruzione della squadra avviene in stretta collaborazione con Falkenberg, 36 anni, ex difensore dal discreto passato – più che altro nelle serie minori. Dopo il ritiro, Falkenberg è finito dietro la scrivania del club in cui si è formato da calciatore, e secondo l’organigramma riveste il ruolo di capo dell’area scouting. La realtà è un po’ diversa: Falkenberg, infatti, la seconda voce più autorevole quando si tratta di scegliere i giocatori e fare il mercato – anche se nelle foto e nei video non si vede quasi mai, visto che ad apparire sono Rolfes e Fernando Carro, amministratore delegato della società.
Rolfes e Falkenberg sono i vertici di una struttura che è stata composta e si è consolidata nel corso degli anni. L’ultimo innesto è stato quello relativo a un’altra icona del Bayer dello scorso decennio, Stefan Kiessling, che per ora opera in società con un ruolo di semplice rappresentanza. I risultati raggiunti dal Bayer sono una dimostrazione plastica di come la creazione e il mantenimento di una struttura che funziona in armonia sono molto più importanti del mago o del santone di turno, che sia un allenatore o un direttore sportivo. In fondo questo è il problema su cui si è incagliato il Bayern Monaco, tornato nelle mani di Uli Hoeness e Karl-Heinz Rummenigge dopo il fallimento dell’operazione Oliver Kahn: le loro parole (specialmente quelle di Hoeness, chiedere a Tuchel per maggiori informazioni) contano talmente tanto che il lavoro di due dirigenti più giovani come Christopher Freund e Max Eberl risente particolarmente della loro influenza e dei loro veti.
Al Bayer tutto questo non succede: quella di Völler era una figura simile a Hoeness per peso politico e sportivo, ma l’ex ct della Mannschaft ha deciso di farsi da parte. Forse si è reso conto che, nel frattempo, stava venendo su una nuova generazione di dirigenti, un gruppo caratterizzato da idee fresche e che reclamava silenziosamente il suo spazio. E così Völler, uomo di intelligenza straordinaria e di grande umiltà, ha capito che forse era meglio cambiare area– per altro ha trovato subito un altro lavoro, quello di direttore sportivo della Nazionale tedesca: la competenza, d’altronde, non cresce mica sugli alberi.
A Leverkusen, di competenza ce n’è tanta. Ed è ben distribuita in tutto lo staff tecnico, che lavora sotto la strettissima supervisione di Xabi Alonso, attento a ogni movimento, a ogni decisione, a ogni parola dei suoi uomini. Un dettaglio che ha imparato dai migliori, visto che nella sua incredibile carriera ha avuto la fortuna di lavorare, tra gli altri con Rafa Benítez, José Mourinho, Carlo Ancelotti e Pep Guardiola. E che ora mette in pratica in un contesto che sembra costruito su misura per far lavorare bene un allenatore. In effetti, e questo vale da sempre, è opinione diffusa che Leverkusen sia uno dei migliori posti per fare calcio: un laboratorio nel quale le pressioni non sono mai state elevatissime, vuoi per una piazza – 160mila abitanti ‘unter dem Kreutz’, ‘sotto la croce’, quella della Bayer – che non esige niente di particolare e che, in fondo, vuole vedere soltanto una squadra che gioca un calcio divertente. Da queste parti, non a caso, hanno fatto benissimo il già citato Daum, Klaus Toppmöller, Jupp Heynckes, Roger Schmidt. Tutti allenatori che Xabi ha citato nella conferenza stampa immediatamente successiva alla vittoria del Meisterschale, ricordando che un successo, soprattutto quando è così grosso e inatteso, non si costruisce in qualche giorno o in pochi mesi.