Quando Claudio Lotito è entrato ufficialmente nel mondo del calcio, il 19 luglio 2004, di lui non è che si sapesse granché. Oppure, per dirla meglio: il suo nome era abbastanza conosciuto nell’ambito della politica e dell’imprenditoria romana, ma non certo nel multiverso dello sport. Ciò non toglie che, però, che il nuovo proprietario si presentò e venne accolto come un vero e proprio salvatore, per la Lazio: celebre la sua frase per cui «ho preso questa società al suo funerale e l’ho portata in condizione di coma irreversibile. Spero presto di renderlo reversibile». In effetti, senza addentrarci in discorsi troppo lunghi e complessi, la grandiosa era-Cragnotti aveva determinato un buco di bilancio spaventoso, nei conti della Lazio. E infatti l’era-Lotito cominciò, come dire, costruendo la squadra al risparmio dopo un decennio in cui la Lazio visse – evidentemente – al di là delle proprie reali possibilità.
Ecco, per celebrare i vent’anni esatti dall’arrivo di Claudio Lotito abbiamo deciso di non fare l’ennesimo ritratto del personaggio. Né tantomeno faremo ricostruzioni e/o daremo giudizi di merito su questi due decenni di storia della Lazio. Molto più semplicemente, racconteremo in breve la prima squadra assemblata dal nuovo presidente, la Lazio 2004/05, un club che di fatto iniziò una nuova fase. Partendo dal basso. O meglio: da una serie di addii, dalle cessioni dei giocatori che avevano ingaggi non più sostenibili. Stiamo parlando di Jaap Stam (finito al Milan), di Siniša Mihajlović (Inter), di Stefano Fiore (Valencia), Bernardo Corradi (Valencia), Demetrio Albertini (Atalanta), Claudio López (América). A parte queste operazioni in uscita, i debiti della Lazio vennero in qualche modo appianati attraverso una (controversa) rateizzazione concordata con l’Agenzia delle Entrate: il club biancoceleste, per dirla velocemente, ottenne un pagamento dilazionato in 23 anni. Qui ci sono i dettagli – anche e soprattutto politici, prima ancora che economici-finanziari – di quella manovra spericolata.
Lotito, in merito alla politica da attuare nel calciomercato 2004, disse queste esatte parole: «Non si può pensare di fare una Lazio come quella dello scudetto. Ci vorrebbero 900 miliardi di lire subito. Puntiamo ad un campionato decoroso, speriamo di uscire dalle sabbie mobili in un triennio». E allora, a maggior ragione vent’anni dopo, si può parlare di scelte al risparmio: gli addii di cui abbiamo già detto vennero integrati dagli arrivi di Sebastiano Siviglia, Ousmane Dabo, Goran Pandev e Tommaso Rocchi, destinati a diventare – chi più chi meno – dei simboli del club biancoceleste. Ma anche di altri giocatori che, per usare un eufemismo, non riuscirono a lasciare il segno: Matías Lequi, Óscar Lopez, i gemelli Filippini, Anthony Šerić. Inoltre, il nuovo presidente impose un vero e proprio taglio dei contratti in essere: «Ci sono degli stipendi che la società adesso non è in grado di onorare. O si cerca una mediazione per un drastico ridimensionamento oppure userò tutti i mezzi legali a mia disposizione, come l’eccessiva onerosità sopravvenuta, per rescindere il contratto. Questo discorso è per i giocatori, ma vale anche per i dirigenti che sono i primi a dover dare l’ esempio». Tra i calciatori che decisero di ridursi l’ingaggio, il primo fu il portiere Angelo Peruzzi.
Altre scelte significative, soprattutto a livello simbolico, furono quelle relative a Mimmo Caso e Paolo Di Canio. Il primo fu nominato allenatore, promosso dalla Primavera, anche in virtù del fatto che avesse un passato importante nella Lazio: era uno degli Eroi del -9, ovvero era un componente della squadra che, nella stagione 1986/87, si salvò nonostante la penalizzazione ereditata nell’ambito del Calcioscommesse. Anche Di Canio, naturalmente, venne acquistato per la sua lazialità, per la sua appartenenza: venne subito nominato capitano e segnò (su rigore) il gol decisivo alla prima giornata di campionato, 0-1 in casa della Sampdoria. Alla fine, Di Canio chiuse la sua annata con sette gol in 30 partite di tutte le competizioni, secondo marcatore della rosa dopo Tommaso Rocchi.
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Durante la stagione, Caso fu esonerato e fu sostituito da Giuseppe Papadopulo, ex allenatore del Siena e anche lui ex giocatore della Lazio. Prima che su Papadopulo, però, Lotito aveva puntato su Luigi Maifredi: l’accordo era già stato trovato, poi poco prima di Natale 2004 i tifosi laziali insorsero, avviando addirittura una petizione su internet pur di scongiurare l’ingaggio dell’ex allenatore di Juve e Bologna. Alla fine, come detto, la scelta ricadde su Papadopulo. Altre cose interessanti di quella Lazio furono il cambio di sponsor: sulle maglie biancocelesti arrivò il logo di Parmacotto, noto brand di salumi. Anche quella decisione commerciale venne accolta, dai tifosi, come un segnale di evidente ridimensionamento dopo gli anni di Cragnotti.
Il 13esimo posto in classifica – raggiunto per altro dopo un finale di campionato negativo, che portò la Lazio a rischiare seriamente la retrocessione – dice tanto della Lazio 2004/05, di come venne costruita e percepita quella squadra. Tutto era ovviamente legato alle stringenti necessità finanziarie, all’obbligo di migliorare un bilancio in condizioni drammatiche. E infatti i momenti belli di quella stagione furono pochissimi. L’unico che vale la pena citare, forse, è il derby d’andata, finito 3-1 con gol di Di Canio sotto la Curva Sud. Il bello – o il brutto, a seconda dei punti di vista – è che quella Lazio centrò addirittura la qualificazione per l’Europa, alla vecchia Coppa Intertoto: Messina, Livorno, Lecce e Cagliari rinunciarono e/o non riuscirono a iscriversi alla competizione, e così il club di Lotito partecipò al torneo estivo che qualificava per la Coppa Uefa. Non andò benissimo, ma questa è un’altra storia.