La maestosità di Parigi è stata la cornice perfetta per l’impresa di Remco Evenepoel

Il belga è diventato il primo ciclista a vincere l'oro olimpico sia a cronometro sia nella prova in linea.

Una pennellata d’autore da chi nel paese dei pittori ci è nato e cresciuto. Un quadro, come quello dipinto sotto la Tour Eiffel addobbata a cinque cerchi, con quelle braccia rivolte al cielo, sul tetto del mondo, re delle due ruote. Remco Evenepoel ha deciso di strappare la corona con rabbia, strapazzando tutti i rivali, seminando panico e regalando lampi di classe. Con Tadej Pogacar fuori dai giochi, il belga si è inventato il delitto perfetto nella terra di grandi ciclisti, conquistando una doppia medaglia d’oro nel giro di una settimana: prima sotto l’acqua di una Parigi tormentata dalle critiche per una cerimonia d’apertura definita sopra le righe, poi sotto il sole cocente d’agosto, calura e delizia, gioia e disperazione, ciclismo e furbizia.

Segnali positivi erano arrivati già dal Tour de France, la sentenza aveva lasciato speranza e spiragli: primo dietro ai due extraterrestri, a un passo dai fenomeni delle due ruote Jonas Vingegaard e Tadej il tiranno, caduto proprio nella terra cardine della libertà europea. Lo sloveno a Parigi è arrivato da turista per osservare la grandeur francese e quei compagni vestiti in verde fluorescente, magari mordendosi pure le mani per un’Olimpiade che era lì alla propria portata. Il “rivoluzionario” Tadej ha perso l’occasione mettendo al primo posto concetti e principi, bisticci federali e decisioni storte che hanno coinvolto anche la propria compagna, un turbinio di emozioni in cui Remco si è infilato per rubare lo scettro, senza farsi troppi problemi. Un colpo di classe, il “furto del secolo”, ma non di quelli che hanno scippato ingiustamente qualcosa di grande valore, anzi: Evenepoel ha costruito il doppio successo con la rabbia e la fame di chi nelle ultime settimane è stato sempre lì dietro a mangiare polvere, in attesa di un minimo passo falso.

Promessa mantenuta nel calcio, Evenepoel si è palesato al mondo già col pallone tra i piedi. Il padre, ex ciclista, non voleva una vita sui pedali per il figlio che con quello sport ci sapeva pure fare: nato a il 25 gennaio 2000 a Schepdaal, una frazione del comune di Dilbeek, Remco si divertiva sui campi e faceva divertire anche gli altri tanto da meritarsi una chiamata nella Nazionale belga. Ma che fosse un fuoriclasse lo si era capito anche dalla scelta di ribaltare tutto a 16 anni, età in cui molti imboccano la via del professionismo: «Basta voglio fare il ciclista, il calcio non mi diverte più», il dialogo semi-immaginario che ha avuto col padre, ormai arresosi all’idea di dover scortare il figlio sulla bici da corsa. Storie d’altri tempi, storie di perserveranza e di chi ha in mente, magari un giorno, di vincere l’oro alle Olimpiadi.

E farlo in Francia, a Parigi, ti aiuta a rendere l’impresa ancor più memorabile, in una città imbandita e dedicata allo spirito olimpico, coi cinque cerchi a far da sfondo alla Ville Lumière e una Tour Eiffel che spunta praticamente in ogni foto, segno indelebile del tempo che passa ma che nonostante tutto resta lì, sullo sfondo a ricordare la bellezza del passato, filo conduttore in una città che si è inventata i Giochi itineranti tra polemiche e splendore. La contestata cerimonia è stata soltanto la punta dell’iceberg, le polemiche sulla balneabilità della Senna un rumore di sottofondo che non hanno per niente intimorito Remco che col fiume accanto ha costruito la sua prima vittoria. Il belga ha messo le gomme da bagnato e ha puntato il mirino verso il nostro Filippo Ganna, limando secondi e danzando sulle strade praticamente allagate, quasi impraticabili e che hanno tirato giù uno alla volta chi col bagnato non ha un buon feeling. Il paesaggio invernale ha forse dato una spinta ulteriore, ma la sensazione è che uno soltanto avrebbe potuto sfidare Crono in quella maniera, pennellare curve e di tanto in tanto prendere spunto grazie a uno sguardo rivolto di traverso a quei monumenti resi iconici e dedicati per due settimane intere allo sport. La pioggia ha lavato via tutto, preoccupazioni e ansie, con quella freccia celeste e gialla, ritoccata da qualche linea di rosso e nero, a strappare la prima medaglia.

 

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Sabato 3 agosto, sette giorni dopo, Remco ha deciso di riprendersi la scena. Poco importa la tattica, frega ancor meno del caldo e dell’acqua che questa volta avrebbe dato una bella mano a chi con la foschia tipica del nord Europa ci è nato e cresciuto. Evenepoel ha atteso il momento giusto, si è mosso nell’ombra quando il connazionale Van Aert e l’olandese Van der Poel stavano cercando di accendere una corsa durissima soprattutto nel circuito finale. Remco ha ammirato il pubblico assiepato sulle scalinate della basilica del Sacro Cuore a Montmartre, una marea di colori che a un certo punto si sono mescolati insieme diventando una scia unica su quella tavolozza che stava per dipingere il capolavoro di un 24enne (alla faccia di chi lo definisce ancora giovane). E poi il Louvre, il Grand Palais con la scherma nel cuore e una maestosità che lascia senza fiato anche senza il ciclismo, le rive della Senna piene di spalti e di maxischermi dedicati alle due ruote, Les Invalides visti da lontano e dedicati al tiro con l’arco, Rue de Rivoli e il braciere olimpico, scorci di un paesaggio onirico reso reale da chi in fondo non ha voluto sentire critiche e ha chiuso più di un occhio davanti alle problematiche, gonfiando il petto davanti alla bellezza imperfetta di una città segnata dal tempo ma allo stesso tempo desiderosa di indossare il vestito migliore e ricordare fascino e talento, genio e quel pizzico di sregolatezza che non guasta mai.

Remco però non ha pensato per niente alla bellezza, forse ha ignorato pure quella che è stata la maestosità di Parigi perché in testa ha sempre avuto quella cronometro che nel 2021 sfuggì di mano a Tokyo: a un anno dalla rottura del bacino al Giro di Lombardia, il belga aveva strappato un nono posto, troppo poco per ritenersi soddisfatto. Quell’Olimpiade però ha dato il via a qualcosa di difficilmente ripetibile: 15 successi nel 2022, con la vittoria in solitaria nella Liegi-Bastogne-Liegi. Poi i due Mondiali, uno a cronometro e uno in linea, tanto per ribadire che nel regno dei grandi, Tour a parte, c’è anche lui: le gare a tappe sfibrano e logorano in maniera differente, Evenepoel è invece quel generale che arriva e vince nel giro di un amen, quando meno te lo aspetti e quando nel gruppone sono fermi ad ammirare la grandeur: d’altronde la piramide scintillante del Louvre rapisce i comuni mortali e non lascia indifferenti nemmeno i grandi.

E se la gara a cronometro doveva essere soltanto una formalità tanto da far scomodare sotto la pioggia battente anche Re Filippo, la gara in linea aveva invece parecchie incognite difficili da prevedere e da pronosticare. Il monarca ha scalato centimetro dopo centimetro Montmartre salutando la concorrenza passo dopo passo, pedalata dopo pedalata. La progressione di per sè è difficilmente commentabile, nella solitudine del numero primo Remco si è inventato la sua personalissima cronometro contro i mostri del passato, una sfida solitaria, intima e carnale, vinta con la cattiveria e la fame di chi ha il sangue negli occhi. Nemmeno la bici buttata a terra a causa di una ruota bucata e l’attesa hanno rovinato i piani, inconvenienti last minute che il romanziere più navigato piazza nella storia per togliere un pizzico di fiato al lettore: Remco ha chiesto alla moto della giuria di gara il tempo soltanto per ingannare l’attesa fino all’arrivo, un trucco psicologico per strappare a morsi linfa vitale e dimenticare l’ansia degli ultimi chilometri. Poi la pennellata finale, con la curva secca a destra verso Trocadéro e la cavalcata trionfale, un’entrata in città da generale, per prendersi tifo e corona d’alloro, contemplando la strada fatta in soli tre anni, all’ombra del tiranno e del suo scagnozzo. Due medaglie d’oro nella stessa Olimpiade, prima a cronometro e poi con la prova in linea, impresa mai riuscita a nessun imperatore. E per celebrare un numero simile era giusto inventarsi la propria Gioconda personale: a un centimetro dal traguardo, con le braccia spalancate al cielo e la Tour Eiffel sullo sfondo, una fotografia indelebile della Rivoluzione belga. Sul tetto del mondo e a un passo dal cielo.