Probabilmente sapete già tutti come è andata a finire la finale dei 100 metri maschili alle Olimpiadi di Parigi 2024: ha vinto lo statunitense Noah Lyles, che ha realizzato lo stesso tempo del giamaicano Kishane Thompson (9”79, ma Lyles ha corso cinque millesimi di secondo in meno, 9”784, contro 9”789), mentre l’italiano Marcell Jacobs, campione in carica, è arrivato quinto in 9”85, il suo miglior tempo della Olimpiadi di Tokyo, quando superò la semifinale in 9”84 per poi imporsi in finale in 9”80.
Se volete qualche dato statistico in più sulla gara, invece, eccolo: è stata la finale dei 100 metri maschili più equlibrata e dal livello medio più alto di sempre, perlomeno alle Olimpiadi, con tutti e otto gli atleti che per la prima volta hanno corso sotto i 10 secondi e hanno concluso la loro prova tutti raccolti in 12 centesimi di secondo. Jacobs ha preso un’ottima partenza (tempo di reazione 0”114, il secondo migliore dopo lo 0”108 dello statunitense Fred Kerley, medaglia di bronzo in 9”81), ed era terzo a metà gara, ai 50 metri. Lyles, il vincitore, era invece ultimo ai 40 metri, e ancora secondo ai 90: è riuscito a superare Thompson solamente grazie al tuffo al fotofinish.
Noah Lyles ha 27 anni, è nato a Gainesville in Florida e nei 100 metri è anche campione del mondo, con l’oro vinto l’anno scorso ai Mondiali di Budapest. A Parigi è favorito anche per i 200 metri e, insieme alla staffetta degli Stati Uniti d’America, anche per la 4×100 e la 4×400 metri. Nell’articolo che ha celebrato il suo trionfo di domenica sera, The Athletic (che da qualche mese cura anche la sezione sportiva del New York Times, motivo per cui potete leggere il pezzo su entrambi i siti) lo ha definito con un termine abbastanza inusuale, che non fa granché parte del linguaggio comune in Gran Bretagna ma è molto più utilizzato in America: “braggadocio”.
“Braggadocio” è un sostantivo che significa spacconeria, arroganza, vanteria, è il comportamento di qualcuno che sembra troppo orgoglioso o sicuro di sé. La sua etimologia arriva dalla letteratura, un po’ come “pantagruelico”: Braggadocchio è il nome di un personaggio di fantasia del poema epico The Faerie Queene (in italiano La regina delle fate), opera incompiuta di Edmuns Spenser, edita alla fine del XVI secolo. Secondo l’Oxford Learner’s Dictionaries, deriva dall’inglese “to brag” (vantarsi, millantare) e dal suffisso vezzeggiativo italiano “occio” (es. “belloccio”, “grassoccio”, ecc…).
In effetti Noah Lyles ha espresso parecchie forme di “braggadocio” nella sua carriera, soprattutto negli ultimi anni, cioè da quando è diventato il volto rappresentantivo dei 100 metri mondiali (e questo status, dopo l’oro di domenica sera, è destinato a crescere sempre di più). La più famosa risale all’anno scorso, quando, dopo essere diventato campione del mondo, si era inimicato tutti i giocatori dell’Nba dichiarando: «Sapete cosa mi fa più male? Quando guardo le finali Nba e leggo sulle teste dei vincitori “Campioni del mondo”… Campioni del mondo di cosa? Degli Stati Uniti, semmai». Se poi avete visto la finale dei Giochi di Parigi, Lyles durante la sua presentazione è entrato correndo in modo scatenato, arrivando fin quasi a metà pista per caricare sé stesso e gli spettatori. «Evidentemente ha tante energie da spendere», hanno commentato in modo sarcastico i telecronisti della Rai.
Come ha aggiunto il Guardian, Lyles ha passato tutto il 2024 ad autodefinirsi «l’uomo più veloce del mondo», anche se il giamaicano Thompson si presentava a queste Olimpiadi con il miglior tempo mondiale stagionale, 9”77. Tre anni fa, invece, prima di Tokyo, il velocista statunitense si era autoprevisto tre medaglie d’oro, facendone anche il suo sfondo del cellulare, ma era tornato dal Giappone “solamente” con un bronzo nei 200 metri. Come abbiamo già scritto, “braggadocio” è un termine più americano che inglese, e se il suo significato vi ha fatto pensare a qualcun altro, magari a un ex presidente degli Stati Uniti candidato anche per le prossime elezioni, sappiate che sì, anche Donald Trump usa questa parola.