Il miracolo di Velasco è stato far giocare l’Italia come poteva e sapeva fare

La prima medaglia d'oro olimpica nella storia della pallavolo azzurra si nasconde nelle piccole cose.

Il tempo è galantuomo. Lo sosteneva Voltaire, filosofo francese, e proprio in Francia la Nazionale italiana di pallavolo femminile ha avuto la sua rivincita conquistando la prima medaglia olimpica della sua storia. La prima, e per giunta d’oro. Un anno fa, dopo l’esclusione per ragioni tecniche dall’Europeo 2023 che si giocava in Italia, Caterina Bosetti, titolare fissa a Parigi, scriveva: «You don’t always have to tell your side of the story. Time will». Bisogna saper aspettare, attendere che le cose si sistemino o vengano aggiustate. In questo caso è stato Julio Velasco a rimettere in piedi quella che sembrava una macchina perfetta i cui meccanismi si erano inceppati.

In finale, l’Italia ha rifilato un netto 3-0 (25-18, 25-20, 25-17) agli Stati Uniti d’America di coach Karch Kiraly. Le ormai ex campionesse olimpiche, oro a Tokyo 2020, non hanno potuto nulla contro la furia azzurra, tanto che l’ex giocatrice e oggi telecronista per la Rai, Giulia Pisani, ha più volte detto: «Abbiamo fatto sembrare le avversarie mediocri». Muro, difesa, schiacciate nei tre metri, ace: un manuale della pallavolo è andato in scena all’Arena Sud di Parigi, e tutto con un sorriso stampato sul volto.

L’oro arriva a 24 anni dalla prima partecipazione italiana femminile a un’edizione delle Olimpiadi e al settimo tentativo: le azzurre non erano mai riuscite ad andare oltre i quarti di finale. Quel turno era stato fatale ad Atene 2004, Pechino 2008 e Londra 2012. Questa volta il viaggio verso l’oro è avvenuto senza intoppi: le azzurre hanno ceduto solo un set al debutto, nel match contro la Repubblica Dominicana. Poi non ci sono state avversarie in grado di fermare Anna Danesi e compagne. «Le leggende vincono gli ori e loro l’hanno vinto», ha detto a fine match Lorenzo Bernardi, uno fortemente voluto, insieme a Massimo Barbolini, nello staff tecnico di Velasco. Proprio l’ex schiacciatore, da un anno nel mondo del volley femminile (è primo tecnico di Novara), e l’allenatore della Generazione di Fenomeni avevano un conto in sospeso con la storia: un mancato oro ad Atlanta 1996.

La storia, si sa, insegna, è maestra di vita, e proprio per questo dal primo allenamento parigino Julio Velasco aveva esortato, per non dire pregato, la stampa e i media di non dare le sue ragazze per favorite e di non fissarsi con l’inseguimento alla medaglia più pregiata. Dopo la semifinale vinta contro la Turchia aveva ribadito il concetto: «La pallavolo e il giornalismo devono smettere di parlare dell’oro che manca, è deleterio per tutti. Si vede sempre quello che manca, è uno sport tutto italiano, l’erba del vicino è sempre più verde. È una filosofia di vita, ma l’oro olimpico quando arriverà arriverà: ci sono tante squadre forti, si può vincere e si può perdere, l’importante è che i nervi non ci tradiscano, sarà la prima medaglia, godiamoci questo, quello che abbiamo e non quello che non abbiamo, poi è chiaro che daremo tutto quello che abbiamo per fare di più».

Conquistata la vittoria, Velasco ha dato un’altra lezione di sport, inteso come disciplina ludica vissuta in maniera sana: «Non ho mai non avuto pace, non sono Baggio che non ha pace perché ha sbagliato un rigore, quella era una squadra straordinaria che poi ha perso per due palloni. Ho sempre accettato quella cosa sportiva, stavolta abbiamo stravinto non abbiamo vinto per due palloni. Non ho mai avuto l’ossessione perché mi mancava l’oro. Non mi mancava. All’inizio era impensabile andare a vincere. Anche se la squadra aveva fatto molto bene in passato, secondi al Mondiale, vittoria all’Europeo, però era in un momento difficile. Pensavo di fare un buon lavoro, di arrivare ai primi posti, poi arrivare primi dipende da tante cose».

Un passato di cui Julio Velasco non ha fatto parte: il tecnico, arrivato in Italia per la prima volta nel 1983 per allenare Jesi, ha ricevuto l’incarico l’8 novembre 2023 e ha iniziato a lavorare il primo gennaio di quest’anno. In meno di dieci mesi ha raccolto i cocci, li ha messi insieme e ha tessuto una trama degna di un film hollywoodiano. In fondo, rispetto a quel gruppo che mancò il bronzo all’Europeo di settembre 2023, c’è poco, ma allo stesso tempo, tutto di diverso. Innanzitutto Velasco ha dato un ordine interno. Ha creato gerarchie, definito i ruoli e ricostruito il gruppo. Prima di lavorare sul campo ha lavorato sulla mente, sulle scorie lasciate dalla manifestazione continentale prima e dalla mancata qualificazione al preolimpico poi sotto la guida dell’ex ct Davide Mazzanti. In un’intervista rilasciata al QN, Velasco ha spiegato come nel periodo della Nations League (che l’Italia ha vinto e con cui si è garantita la carta olimpica), abbia deciso che non ci sarebbero stati accoppiamenti fissi nelle camere d’hotel. Le giocatrici hanno cambiato compagna di stanza per ogni tappa del torneo: questo per permettere a tutte non solo di conoscersi meglio, ma di risolvere qualche problema del passato.

Per l’Italia è la sesta medaglia d’oro olimpica negli sport di squadra dopo i quattro trionfi della pallanuoto (maschile e femminile) e quello del calcio maschile. L’ultima vittoria risaliva ad Atene 2004 con il Setterosa. (Dan Mullan/Getty Images)

Poi il tecnico ha agito sul campo. Ha richiamato le “grandi escluse” dell’ultima stagione azzurra, Paola Egonu (non presente durante il preolimpico e in panchina all’Europeo), Monica De Gennaro e Caterina Bosetti, queste ultime del tutto fuori dalle ultime manifestazioni del ciclo Mazzanti. Ha stabilito che Antropova sarebbe stata il cambio di Egonu e che al centro ci sarebbero state Fahr e Danesi. Quest’ultima è stata eletta capitana al posto di Sylla che ha subito accettato di buon grado la scelta, forse anche sollevata dopo che nei mesi precedenti spesso le giocatrici erano state fin troppo responsabilizzate delle scelte tecniche dell’ex ct. Non a caso, sul podio, Anna e Myriam, già compagne di squadre alla Vero Volley Milano e che torneranno a esserlo da questa stagione sportiva, si sono scambiate le medaglie e si sono abbracciate. Perché? «Siamo amiche e giochiamo insieme da piccoline», ha detto con schiettezza la schiacciatrice. Nelle piccole cose si nasconde il successo dell’Italia. Da anni questo gruppo, con qualche innesto o defezione, gioca ad alti livelli. Velasco ha reso semplice qualcosa che sembrava complesso: far giocare questa squadra come poteva, può e sa fare.

Merito dell’immane talento delle sue ragazze. Di Alessia Orro alla regia, spesso sottovalutata ma che, solo per fare un esempio, nella finale non ha dato punti di riferimento alle avversarie e ha sfoderato anche le sue doti al servizio. Di Paola Egonu a cui è stato detto di tutto: svogliata, dai lineamenti non troppi italiani, mercenaria quando andò in Turchia, forte quando la squadra vinceva, sottotono quando si perdeva. Di Myriam Sylla, che ha dedicato la vittoria alla mamma scomparsa nel 2018. Di Caterina Bosetti, figlia d’arte con il papà allenatore, la mamma ex giocatrice e una sorella ex Nazionale, che spesso non ha raccolto quanto si sarebbe meritata a causa degli infortuni. Nel 2018 subisce una lesione dei legamenti del ginocchio sinistro: le dicono che forse non potrà più giocare a volley, ma non sarà così. Nel 2021, a poche settimane dall’Europeo (vinto dalle azzurre), una frattura dell’alluce la costringe a saltare l’evento, fino all’esclusione di un anno fa. Impossibile non fare una menzione per Monica De Gennaro, una giocatrice che ha vinto tutto in carriera con l’Imoco Conegliano (sette scudetti, sei Coppe Italia, otto Supercoppe, una Champions League, due Mondiali per Club; più un Europeo, una Nations League, una World Cup con l’Italia) e a cui mancava solo questo oro: 37 anni, una delle migliori al mondo nel suo ruolo, quello di libero, finalmente ce l’ha fatta.

Al centro ci sono la grinta, la freddezza e la poca scaramanzia di Anna Danesi, che aveva detto che l’Italia poteva lottare per il gradino più alto del podio, in coppia con Sarah Fahr. Fahr in semifinale è stata autrice di una serie di muri che hanno pietrificato la Turchia. L’oro è la ricompensa per aver saputo aspettare pazientemente, per non aver mai perso le speranze quando si è trovata per ben due volte sotto ai ferri in ospedale. All’Europeo del 2021, contro la Croazia, si rompe il legamento crociato anteriore del ginocchio destro. Torna e dopo un mese deve affrontare una nuova rottura del legamento crociato anteriore. Eppure, eccola lì, con una gamba cinta da un vistoso tutore e una pesante medaglia d’oro. A loro si uniscono le storie di Gaia Giovannini (nata a San Giovanni in Persiceto come un certo Marco Belinelli) nel gruppo per intuizione di Velasco, visto che con la maglia azzurra non aveva mai giocato neanche a livello juniores. E ancora Loveth Oyumuri, subentrata dopo l’infortunio di Alice Degradi; Marina Lubian, titolare fissa a Conegliano e certezza quando chiamata in causa così come il doppio cambio con Carlotta Cambi ed Ekaterina Antropova. Infine Ilaria Spirito, la tredicesima del gruppo, esclusa dal villaggio olimpico e in panchina per un malessere di Omoruyi solo per una partita, che ha sofferto il doppio, per questa becera regola e per aver visto le sue compagne dagli spalti. Alla fine, anche lei ha vinto e indossato l’oro.

Un gruppo nato anche grazie a un’idea del solito Velasco: sì, tutte le strade portano a lui. Nel 1999 ha creato il progetto federale di Club Italia, un vivaio costituito dalle giovani giocatrici di prospetto, selezionate per muovere i primi passi e per essere formate. Tra loro, e non è un caso, Orro, Egonu, Danesi, Spirito, Lubian, Fahr e Omoruyi. Un successo nel segno del tecnico che ha saputo ridare un po’ di leggerezza e soprattutto sorrisi e lacrime, non più di delusione, ma questa volta di gioia.