C’è un’invasione brasiliana nel calcio inglese, e non è solo una questione di soldi

I regolamenti di Brexit e la diffusione del brand Premier League hanno cambiato le cose.
di Redazione Undici

A pensarci oggi sembra incredibile, eppure il primo giocatore brasiliano nella storia del massimo campionato inglese, è arrivato solo nel 1995 – tre anni dopo lo scisma che portò alla creazione della Premier Laague. Qualora non dovesse bastare, ecco un altro dato ancora più assurdo: per toccare la quota di dieci calciatori brasiliani con almeno una gara in Premier League, abbiamo dovuto attendere l’estate del 2002. Nel mentre, in Liga e in Serie A – i giocatori brasiliani hanno sempre avuto un debole per la Spagna e per l’Italia, innanzitutto per questioni culturali e climatiche – giocavano praticamente tutti i componenti della Nazionale verdeoro: la mente va subito a Ronaldo e Rivaldo, ma anche Cafu, Roberto Carlos, Dida e tantissimi altri brasiliani avevano scelto di trasferirsi in Europa senza passare dalla Gran Bretagna.

Ora, lo sappiamo, le cose sono decisamente diverse: il Brasile è il Paese più rappresentato in Premier League fuori dalle Home Nations, su 382 calciatori stranieri ce ne sono ben 32 nati nello stato più grande del Sudamerica. E la stragrande maggioranza di questi atleti appartengono all’élite mondiale. A dirlo sono le convocazioni di Dorival Júnior, ct della Seleção: per i prossimi impegni nelle qualificazioni ai Mondiali, sono stati chiamati Alisson (Liverpool), Ederson (Manchester City), Lucas Paquetá (West Ham), Bruno Guimarães (Newcastle), João Gomes (Wolves) e Savinho (Man City); tre mesi fa, in Copa América, c’erano anche Gabriel Magalhães (Arsenal), Douglas Luiz (Aston Villa, nel frattempo passato alla Juve) e Andreas Pereira (Fulham).

È chiaro che questa nuova predilezione dei giocatori brasiliani per l’Inghilterra sia una tendenza essenzialmente economica. Per dirla brutalmente: ora che la Premier League è il torneo più ricco del mondo, è inevitabile che tutti vogliano trasferirsi proprio lì. Ma, come scrive ESPN in questo articolo, ci sono anche altri fattori da tenere in considerazione: intanto va citato il cambiamento percettivo rispetto alla Premier League, un campionato che negli anni Novanta non veniva seguito da nessuno, in Brasile, mentre oggi non è più così. E poi anche Brexit ha avuto un certo impatto: dal Leave del Regno Unito, il sistema a punti creato per concedere il permesso di lavoro agli stranieri ha praticamente equiparato lo status dei giocatori sudamericani a quelli europei. E non c’è bisogno di fare analisi di mercato approfondite per poter affermare che i giovani brasiliani abbiano un costo decisamente inferiore rispetto ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi.

Infine, ma non in ordine di importanza, va anche sottolineata la crescita – economica, ma anche strutturale – dei club piccolo-borghesi della Premier: una delle possibilità che hanno per sopravvivere nel torneo più ricco e competitivo del mondo va ricercata proprio nello scouting precoce dei nuovi talenti stranieri, nel lavoro dei loro osservatori. Lavoro che, negli ultimi anni, si è evoluto tantissimo a livello tecnologico. Di conseguenza, oggi delle società come il Brighton o il Bournemouth non devono per forza aspettare che un agente o un mediatore di mercato mandino un dvd con le giocate di un nuovo potenziale campione: possono andare a pescare i loro nuovi acquisti direttamente in Brasile. Anzi, è altamente consigliabile che lo facciano.

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