La denominazione ispanofona non deve ingannare: la clausola di recompra è nata e si è diffusa grazie ai club della Liga, questo è vero, ma ormai è diventata un must in tutte le operazioni di calciomercato. Anche fuori dalla Spagna, e soprattutto quando queste operazioni riguardano giovani giocatori che appartengono ai grandi club, interessati a valorizzarli senza perdere il controllo del cartellino. Il fatto che la BBC abbia scritto un articolo su questa istituzione, in qualche modo, è un segnale inequivocabile: riservarsi la possibilità di riacquistare un giocatore che viene ceduto a titolo definitivo, anche per un tempo prestabilito, è una pratica sempre più utilizzata dai club di Premier League. Uno degli esempi citati dalla BBC riguarda Tammy Abraham, passato dal Chelsea alla Roma nel 2021: al momento del suo trasferimento in giallorosso, nel contratto dell’attaccante inglese venne inserita una recompra a favore del club londinese, che avrebbe potuto riprendersi Abraham versando 80 milioni di euro alla Roma.
Altri esempi citati dalla BBC riguardano Nathan Aké – anche lui ceduto dal Chelsea al Bournemouth con la recompra – e Xavi Simons, e a questo punto l’impalcatura teorica di questa clausola dovrebbe essere chiara: quando un club ha un giovane di qualità e sceglie di cederlo, magari per fare cassa, l’idea di poterlo riprendere velocemente, e senza trattare sul prezzo, è un modo per non recedere totalmente il legame con l’atleta. Oppure, quantomeno, per crearsi una strada preferenziale in caso di riacquisto.
Dal punto di vista puramente storico e quindi normativo, come detto, l’idea di creare questo istituto nasce in Spagna e poi si espande a macchia d’olio in tutto il continente europeo – in Italia, per dire, la prima regolamentazione ufficiale risale al 2018. Ecco, l’espansione internazionale di questa pratica di mercato ha iniziato a suscitare qualche dubbio economico-finanziario. O meglio: al di là delle discussioni sul crescente dominio dei grandi club sul mercato, si è materializzato il sospetto che la recompra fosse una specie di trucco contabile. Nell’articolo della BBC, in questo senso, ci sono delle dichiarazioni significative da parte di Jamie Khan, direttore della Sports Agent Academy: «In effetti la clausola di riacquisto garantisce una certa flessibilità. Le regole del Fair Play Finanziario sono sempre più severe, anche in Inghilterra, e quindi i club hanno bisogno di fare cassa. Da questo punto di vista, cedere un ragazzo che si è formato nelle giovanili è sempre una mossa intelligente: la plusvalenza è netta, pulita, e quindi una cessione a titolo definitivo determina una liquidità immediata a livello contabile, oltre che un profitto. La clausola di recompra permette di continuare ad avere un minimo di controllo sul giocatore in questione, anche se da lontano».
A questo punto, però, è inevitabile farsi una domanda: ma allora perché non cedere i calciatori in prestito? Semplice: i regolamenti FIFA, in quest’ambito, sono sempre più stringenti. Al momento, infatti, la Confederazione internazionale dice espressamente che un club può sottoscrivere un massimo di sei prestiti in uscita. Di conseguenza, la recompra è diventato lo strumento migliore per non perdere un contatto diretto con i giocatori trasferitisi altrove. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che i club acquirenti, in questo modo, vengono “sfruttati” come succursali, come hub di valorizzazione. Vero, indubbiamente vero, ma anche per chi compra c’è qualche vantaggio: «Con un prezzo stabilito preventivamente dalla recompra», dice Khan, «un club acquirente guadagna anche un po’ di potere contrattuale quando si tratterà di rivenderlo. Di solito i calciatori vengono ceduti a prezzi inferiori al loro valore di mercato, in quel caso c’è più margine per incassare quanto si era immaginato all’inizio». Non sarà il massimo, ma è già qualcosa.