Quando si deve presentare/raccontare un allenatore idealista, spesso si utilizza la seguente frase fatta: è uno che morirebbe pur di difendere le sue idee. Ecco, per Paulo Fonseca certe definizioni non sono campate per aria. Lo sappiamo da tempo, ora ne siamo ancora più convinti. Perché l’allenatore del Milan ha osato andare oltre, ha osato fare di più: è andato a giocarsi la vita – vita professionale, ok, ma non è una definizione eccessiva: l’allenatore rossonero sembrava davvero destinato all’esonero, in caso di sconfitta – nel derby esasperando le sue idee, trasformando qualcosa di ambizioso in qualcosa di avventato, di apparentemente eccessivo. In qualcosa che non si era mai visto prima, o che comunque non si vedeva da tempo.
È bastato leggere velocemente la formazione iniziale del Milan, per capire che eravamo di fronte a un all-in a dir poco rischioso: la presenza contemporanea di Morata e Abraham ha determinato il passaggio dal 4-2-3-1 al 4-4-2, la conferma di Leão e Pulisic come esterni offensivi ha subito elevato questo sistema al 4-2-4. Pochi minuti dopo, quando è iniziata la partita vera e propria, tutti si sono resi conto che quel 4-2-4 non era solo virtuale, come succede spesso: era una cosa reale, era la disposizione con cui il Milan difendeva sulla costruzione dal basso dell’Inter.
È così che la squadra rossonera ha soffocato, o comunque limitato, la miglior espressione di gioco dei dell’Inter. È grazie a questo nuovo sistema che Fonseca è riuscito a determinare il contesto in cui si è svolto il derby. Questo non vuol dire che l’Inter non abbia avuto occasioni, che il Milan non abbia avuto dei momenti di difficoltà, finanche di sofferenza: il punto è che la squadra di Inzaghi ha dovuto spremersi al massimo per poter mettere in crisi il sistema avversario, non ha ricevuto regali, ha trovato meritatamente il pareggio ma poi ha pagato lo sforzo fatto. E alla fine ha perso in modo anche giusto, considerando le occasioni costruite – e fallite – dal Milan nel corso della ripresa. Per dirla in poche parole: chi si aspettava un derby tatticamente a senso unico, sbilanciato, governato dall’Inter, ha dovuto ricredersi. E l’ha fatto fino alla fine, perché Fonseca ha insistito col suo all-in fino a quando Matteo Gabbia non ha trovato il gol del 2-1. A quel punto, quasi come se volesse agire per contrappasso, ha inserito Pavlovic ed è passato alla difesa a cinque.
Scherzi a parte, non abbiamo parlato a caso di Gabbia e Pavlovic: oltre a lanciare un nuovo sistema di gioco, per il derby Fonseca ha deciso di schierare il centrale italiano dal primo minuto accanto a Tomori, quindi di mettere in panchina l’ex Salisburgo. È chiaro, si è trattata di una mossa decisamente meno forte rispetto al varo del 4-2-4, ma allo stesso tempo va interpretata come un segnale chiaro: nonostante le polemiche e le indiscrezioni filtrate nelle ultime settimane, l’allenatore del Milan continua a non farsi problemi quando vuole stravolgere le gerarchie; in ogni caso, ogni sua scelta ha una ratio e sottende un’idea, nel caso di Gabbia la volontà del tecnico portoghese era quella di schierare un difensore meno torreggiante ma più pulito nell’anticipo e nella gestione della palla. Il gol su palla inattiva nel finale si può considerare un’inattesa ciliegina sulla torta, il coronamento di una prestazione sicura, a tratti anche brillante, da parte di Gabbia.
La sintesi del derby
È chiaro che una sola partita, anche se stiamo parlando del derby, non possa cancellare le contraddizioni su cui è scivolato il Milan in questo inizio di stagione. Così come bisogna tener conto di ciò che non ha funzionato nell’Inter, ovvero della stanchezza manifestata da alcuni giocatori nerazzurri, della difficoltà di Inzaghi nel rispondere alle mosse di Fonseca e al nuovo assetto del Milan, dei cambi non proprio azzeccati effettuati nella ripresa. Il punto, però, è che la gran parte di questi problemi sono da considerare come una conseguenza diretta di ciò che ha fatto Fonseca. In fondo, a pensarci bene, proprio il ritorno delle celebri “sostituzioni per ammonizione” di Inzaghi è legato all’andamento della partita, al fatto che il Milan ha sorpreso l’Inter e tutti quelli che hanno guardato il derby.
A San Siro è avvenuta quella che possiamo definire come la trasposizione calcistica di un concetto molto importante nel tennis, ovvero la differenziazione tra errori forzati ed errori non forzati: il derby è andato al Milan perché Fonseca ha spinto tantissimo su qualcosa di nuovo, di diverso, e così ha costretto Inzaghi a sbagliare, l’ha mandato in confusione, si è creato un vantaggio e l’ha sfruttato. Insomma, il tecnico portoghese ha vinto la partita, l’ha vinta in modo estremamente audace e ora ha un nuovo capitale di credibilità da far fruttare. Non può esserci molto di meglio, per un allenatore idealista.