In condizioni normali, una sconfitta contro il Liverpool – una squadra che sta assorbendo bene il cambio di allenatore, che ha un progetto chiaro e lungimirante, che ha dei calciatori fortissimi che giocano insieme da anni – non sarebbe da considerare come un evento irreparabile. Cioè sì, perdere il primo match di Champions a San Siro non è mai un evento positivo, ma farlo contro un top club riconosciuto non è una cosa tanto assurda, diciamo così. Nel caso del Milan, però, l’1-3 maturato contro i Reds – per altro dopo il gol-lampo di Pulisic – ha un significato diverso. Per un motivo molto semplice: la squadra di Fonseca non ha mai dato l’impressione di poter mettere in difficoltà l’avversario, se non nell’occasione che ha portato alla rete del vantaggio. Per tutti gli altri 87 minuti più recuperi che si sono giocati a San Siro, i rossoneri hanno trasmesso una sensazione di totale impotenza, di assoluta impreparazione per poter sostenere il confronto con i loro avversari e con la Champions, hanno manifestato una quantità importante di malintesi tattici, hanno dimostrato di avere una condizione fisica, ma anche emotiva, a dir poco deficitaria. E il problema vero, come giù detto tra le righe, è che quella col Liverpool non è la prima partita in cui sono emersi questi problemi. Esclusi i lampi fatti intravedere contro il Venezia, infatti, il Milan gioca così fin dall’inizio di questa stagione.
Ma quali sono gli equivoci tattici di cui abbiamo parlato? Dove e come si rintracciano i problemi di campo del Milan? Intanto, bisogna partire dallo storico di Fonseca, dal calcio che ama predicare e far praticare, da quello che aveva/avrebbe in mente per la sua squadra: un gioco corto, fondato su una costruzione bassa ricercata, in grado di richiamare e disordinare il pressing e aprire spazi nella metà campo avversaria. Ecco, questo è il primo equivoco: in questo momento, il Milan non ha dei difensori centrali e dei mediani in grado di fare uscire la palla in modo pulito, come vorrebbe il suo allenatore. O, quantomeno, di farlo con un certa continuità nell’arco della partita.
Come succede con i castelli di carte, basta che ne cada una per buttare già tutto. Nel caso del Milan, la mancanza di una certa precisione negli appoggi determina una cascata di problemi. Per capire cosa intendiamo, basta guardare il gol di Szoboszlai, il terzo segnato dal Liverpool a San Siro. Tutto nasce da un passaggio ambizioso ma sbagliato di Pavlovic, che un istante prima aveva recuperato un ottimo pallone in una posizione giusta, cioè molto avanzata per un difensore centrale. Da lì in poi, il Milan è come se si fosse sgretolato:
Definizione di ripartenza in campo aperto
Anche se non si tratta di una costruzione arretrata finita male, il senso di queste immagini è proprio quello di cui abbiamo discusso finora. E allora possiamo dirlo brutalmente: quello di Pavlovic non è un errore tattico, concettuale e/o di posizionamento. Si tratta di un errore tecnico che manda in frantumi l’intera impalcatura di Fonseca. E lo stesso discorso, ovviamente con criteri e protagonisti diversi, vale per i difensori rossoneri che (non) marcavano e le due uscite di Maignan – una fuori tempo, una mancata – sui gol di testa segnati da Konaté e Van Dijk. Attenzione: questo non vuol dire che il Milan abbia giocato bene, che il sistema di Fonseca sia quello giusto per i giocatori che ha a disposizione – ci stiamo arrivando. Ma è un modo per sottolineare come alcune idee del tecnico portoghese fatichino a combaciare, cioè a incastrarsi, con le caratteristiche dei calciatori che ha a disposizione. E viceversa.
E così siamo giunti al punto nodale di questa analisi: in questo momento c’è un’evidente incompatibilità tra Fonseca e la sua squadra. È un discorso di campo, di pura tattica. Che poi – come si è visto a Roma contro la Lazio, con il caso Theo-Leão in occasione del cooling break a metà della ripresa – si riverbera anche nei rapporti personali, ma questo è un altro discorso. Il nocciolo della questione è che il Milan di oggi non sembra una squadra assemblata bene per il 4-2-3-1, a cui mancano difensori (centrali ed esterni) e centrocampisti in grado di muovere il pallone con qualità fin dalla prima costruzione, in cui i migliori talenti – Leão su tutti – fanno fatica a incidere, a incidere davvero, perché vengono innescati in modo confuso, o comunque in modo raro.
Tutti questi problemi reali e/o percepiti, giusto per tornare un attimo al concetto che ha aperto questa analisi, non è che iniziano in occasione di Milan-Liverpool. Si percepivano già in estate, sono diventati grandi alle prime gare ufficiali e oggi danno la sensazione di essere enormi. Forse irrisolvibili o forse no, ma di certo non in poco tempo. È chiaro che le responsabilità debbano essere distribuite tra tutti quelli che hanno avuto e/o hanno un ruolo: vanno addebitate alla società che ha scelto un certo tipo di allenatore e poi gli ha affidato una squadra lontana dalle sue idee, vanno addebitate a un tecnico che fa un’evidente fatica ad adattarsi a questo suo nuovo contesto, naturalmente gravano anche sui giocatori. Insomma, questo Milan è troppo brutto per essere vero. E all’orizzonte c’è un derby che rende tutto quanto, come dire, ancora più difficile da digerire.