Come si misura il successo di un campionato nazionale di calcio? Qual è l’indicatore più affidabile? Il numero di spettatori che seguono le partite? La qualità degli atleti che accettano di trasferirsi in quella lega? I risultati ottenuti delle squadre all’estero? Beh, a guardarla da tutti questi punti di vista la Serie A femminile sta attraversando un momento importante. Di crescita, se non di affermazione. Come detto, basta partire dai dati relativi al pubblico: al termine della stagione 2023/24, è stato registrato un aumento del 20% – rispetto al 2022/23 della presenza di spettatori alle gare della prima fase del campionato di Serie A. Contestualmente, le giocatrici tesserate in tutta Italia sono arrivate a quota 42.500: l’aumento rispetto al 2021/22 è stato del 16,5%.
Poi, come detto, un altro parametro che fa la differenza è quello della qualità di chi va in campo. Ecco, in questo senso lo sviluppo del nostro campionato è piuttosto evidente: nel 2019, quando il Gran Galà del Calcio AIC – l’esclusivo appuntamento organizzato dall’Associazione Italiana Calciatori che premia i migliori giocatori e le migliori giocatrici d’Italia – creò per la prima volta il riconoscimento “Squadra dell’anno femminile”, le undici atlete prescelte dalle loro compagne erano tutte italiane, si stavano imponendo all’attenzione generale ma non avevano ancora una grande riconoscibilità a livello internazionale. Oggi le cose sono decisamente diverse: negli ultimi due anni, ai migliori talenti della nostra scuola – le varie Boattin, Linari, Caruso, Greggi, Cantore, Bergamaschi, Durante – si sono affiancate giocatrici straniere di grande qualità e di grande richiamo, per esempio Andressa Alves, Moeka Minami, Julia Grosso, Tabitha Chawinga. E nel frattempo anche le nostre calciatrici hanno continuato a crescere, come qualità ma anche come fama.
I nomi delle giocatrici candidate quest’anno confermano il trend di crescita: accanto a italiane di qualità che si sono messe in mostra nell’ultimo campionato, si pensi alle varie Di Guglielmo, Lenzini, Catena, Beccari, ci sono calciatrici di primo livello sulla scena internazionale. Per esempio Vero Boquete, Lina Magull, Madalen Janogy. Siamo di fronte a una lega, naturalmente parliamo della Serie A femminile, in grado di plasmare e attirare il talento. Di costruirlo in casa come di andare ad “acquistarlo” altrove. Magari non ancora al livello di altre realtà di altri campionati, ma la distanza si sta accorciando in maniera inequivocabile.
Tutta questa sensazione di metamorfosi in atto, inevitabilmente, sta determinando un cambiamento significativo. Dentro e fuori il campionato. Intanto le giocatrici e i le allenatrici e i dirigenti hanno la consapevolezza di essere parte di un processo di crescita, di un passaggio epocale. E così sta nascendo una nuova identità, condivisa e trasversale, che in qualche modo farà da base al movimento femminile del futuro. Questa sensazione di comunità, ovviamente, contagia anche chi segue il calcio femminile: la percezione delle squadre di Serie A, delle calciatrici, è quella per cui sono delle espressioni di un ambiente sempre più professionalizzato, sempre più competitivo, ma che allo stesso tempo è riuscito e riesce a rimanere sano. È un discorso culturale, naturalmente: i club che hanno investito e stanno investendo nel calcio femminile sono gli stessi di quello maschile, eppure esprimono valori chiaramente diversi. Orientati alla responsabilità partecipata, più che alla rivalità. Perché il movimento ha bisogno di una crescita organica, non di conflitti. Il pubblico, tutto questo, lo sente. E quindi, in qualche modo, lo restituisce.
Insomma, la Serie A femminile è una realtà che si sta consolidando, che non si può più ignorare, che ha una sua dimensione internazionale – nella Champions League 2024/25 la Juventus ha eliminato il PSG e la Roma ha battuto il Wolfsburg, giusto per tornare un attimo ai risultati sul campo – e che ha tanti volti di primo piano. Sia italiani che internazionali. C’è ancora margine per crescere e per migliorare, naturalmente, ma la strada è tracciata. Ed è evidentemente quella giusta, perché parte da un’identità condivisa. Non era scontato, non lo è mai.