Il nome di Dan Ashworth non dirà molto agli appassionati di calcio europei. Per quelli britannici, però, la situazione è diversa: è stato una delle anime di DNA England, il progetto che ha permesso al movimento inglese di ricominciare a produrre giocatori di talento, poi è diventato direttore sportivo del Brighton e del Newcastle United. Insomma, stiamo parlando di uno dei dirigenti più importanti nel multiverso della Premier League. Non a caso, viene da dire, il Manchester United ha fatto fuoco e fiamme per averlo con sé, anche se era sotto contratto con il Newcastle: il 19 febbraio scorso i Magpies hanno annunciato la sua partenza a luglio e poi hanno incassato 2,5 milioni di euro come indennizzo, infine è arrivato l’annuncio ufficiale dei Red Devils. Ad Ashworth, di fatto, era stato affidato il compito di guidare la rinascita del Manchester United guidato da Sir Jim Ratcliffe.
Solo che Ashworth non aveva ancora fatto i conti con l’ambiente schizofrenico – per usare un eufemismo – di Old Trafford. A cinque mesi dal suo arrivo, infatti, il Director of Football dello United ha lasciato il suo incarico «di comune accordo con la società», almeno stando alla nota ufficiale diffusa ieri. Questa frase, almeno secondo la ricostruzione di The Athletic, è vera solo in parte: al termine di una riunione dopo la sconfitta (2-3) interna contro il Nottingham Forest, Ashworth ha ricevuto la notizia che avrebbe dovuto lasciare Manchester. Da parte sua, il dirigente «si sentiva emarginato e non allineato con il club. ma di certo non aveva deciso di andarsene così, di punto in bianco». Si può dire: stiamo parlando dell’ennesima follia gestionale del Manchester United. Che, nominando Ashworth, sembrava aver avviato un’era diversa, fondata sul lavoro di un management esteso, non umorale, di stampo contemporaneo. E invece il suo addio ora fa ripiombare nel caos l’intero progetto del club.
Allo stesso tempo, c’è da dire che i primi cinque mesi non sono stati proprio entusiasmanti, per Ashworth. Che ha avuto poco tempo, va bene, ma è stato anche uno dei sostenitori della conferma di Erik ten Hag, esonerato poi a fine ottobre – un’operazione costata oltre 12 milioni di euro. Inoltre, nel momento in cui il club ha deciso di cambiare manager, il direttore sportivo sembrava non avere un nome valido. E infatti pare sia stato Omar Berrada, CEO dello United, a insistere per l’assunzione di Amorim. Per tutta risposta, in quei giorni convulsi pare che Ashworth volesse incaricare una società di big data per individuare il candidato migliore per il ruolo di nuovo allenatore. Un suggerimento che, evidentemente, Barrada non ha condiviso. Lo strappo a quel punto è diventato insanabile, e fa niente che solo cinque mesi fa sono stati spesi 2,5 milioni di euro. Al Manchester United, come dire, certe cose sono all’ordine del giorno.