Nel destino di Sérgio Conceição c’è la Serie A

Perché il nuovo allenatore del Milan ha un identikit che si sposa con la fisionomia del nostro campionato.
di Alfonso Fasano

Indizio numero uno: «Amo il calcio realistico». Indizio numero due: «L’unico modo per essere certi di far punti è non prendere gol». La prossimità ideologica di Sérgio Conceição con il calcio italiano è dentro queste parole, è già molto evidente, non c’è bisogno di trovare un terzo indizio. Merito (o colpa, a seconda dei punti di vista) del suo percorso come calciatore, dai ventitré ai trent’anni Conceição ha giocato in Serie A, nella Lazio, nel Parma, nell’Inter, era impossibile che il suo modo di intendere il gioco non venisse contaminato.

La realtà, però, va oltre questa sua esperienza. La scuola degli allenatori portoghesi è una delle più influenti a livello mondiale perché è in grado di formare dei professionisti bravissimi, questo è ovvio, ma anche molto diversi tra loro: da Mourinho a Ruben Amorim, da Espirito Santo a Bruno Lage. Modi diversi di allenare, ognuno con una propria sensibilità. E poi c’è Conceição, che ha deciso di occupare lo slot culturale dell’allenatore funzionale, che si adatta a ogni situazione. Ha vinto il titolo al primo anno sulla panchina del Porto, nel 2018. Allora la sua squadra praticava un calcio verticale, ipercinetico: «Amo il calcio realistico e pragmatico, amo le squadre che accelerano rapidamente verso la porta avversaria». Le parole usate da Sergio Conceição per descrivere il suo approccio al gioco sono controculturali rispetto alla tradizione del futebol portoghese, storicamente basato sul possesso e sui ritmi lenti, caratterizzato da un’inestricabile tendenza alla mistica del palleggio, della raffinatezza.

Negli anni l’ex tecnico del Porto ha rifinito il suo modo di allenare, con un approccio ancora più elastico rispetto al passato: il 4-4-2 di riferimento è stato spesso alterato, il Porto cercava sempre di tenere ritmi indiavolati, di pressare altissimo, ma era pure una squadra capace di gestire il pallone e le proprie energie. «Credo che l’intensità sia una caratteristica fondamentale per una squadra che vuole vincere dei trofei. Mi piace che i miei calciatori abbiano una mentalità d’attacco, ma tutto deve partire dall’equilibrio tra le due fasi. Se voglio andare costantemente alla ricerca della rete, devo portare almeno cinque uomini nell’ultimo terzo di campo, così da contenere gli avversari a ridosso della propria area. L’unico modo per essere certi di far punti, però, è non prendere gol. Per mettere insieme queste due esigenze, i giocatori devono correre molto, ma sempre in maniera organizzata, coerente».

Nelle sette stagioni alla guida del Porto, Conceição ha vinto tre campionati, quattro coppe nazionali e tre Supercoppe. Per due volte, ha portato il club ai quarti di Champions. Lo sbarco al Milan è un’operazione interessante: un allenatore che è in grado di ridisegnare e condurre in porto una squadra di alto livello nonostante le mareggiate alte del calciomercato potrebbe essere un acquisto importante per un torneo come il nostro, in cui i risultati hanno il potere di esaltare o cancellare qualsiasi cosa, in un istante, senza dare troppo peso all’idea di progettualità. Perché si può sempre imparare a essere (ancora più) pragmatici, anche da uno che arriva dall’estero, che è cresciuto calcisticamente in Serie A ma poi ha costruito un metodo diverso.

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