Quando cominciarono a girare i primi filmati sulla terza trilogia di Star Wars, balzò subito all’occhio che il droide protocollare C-3PO aveva un braccio rosso. Il motivo fu spiegato tempo dopo, e riguardava un episodio contenuto in un fumetto canonico della saga. Al di là del significato e dell’omaggio, la produzione sottolineò la scelta di inserire un elemento di novità in un personaggio stilisticamente immutabile come un droide. Il messaggio era chiaro: è sempre Star Wars, ma è diverso. Passando dal cinema al calcio, un discorso identico può essere fatto osservando i primi mesi di Francesco Farioli all’Ajax. È sempre l’Ajax, eppure è diverso.
Non esisteva nulla di scontato in casa ajacide in vista della stagione 2024/25. Nemmeno la figura del tecnico lo era, visto il casting prolungato durante il quale c’erano stati momenti in cui spuntava un nome nuovo al giorno per la panchina. Farioli è stato una scelta fuori dalla comfort zone: nessun ex del club, ma nemmeno nessun allenatore con esperienza e storia in Eredivisie sviluppate altrove, come lo erano stati Peter Bosz e Erik ten Hag. Farioli rappresentava una netta inversione di rotta, concettuale ancora prima che tecnico-tattica, perché indietro non si poteva più tornare. E, dopo una stagione disastrosa come quella passata, non esistevano più certezze. Rischio per rischio – perché lo fu anche la scelta nell’estate di Maurice Steijn, cv di provincia con ADO Den Haag, Vvv Venlo, Nac Breda e Sparta Rotterdam – meglio azzardare qualcosa di totalmente nuovo. Una bella scossa per tutto e tutti.
L’Ajax ha pagato il prezzo di una programmazione troppo ambiziosa. Sono bastate due stagioni senza i mancati introiti della Champions, aggravate da spese sul mercato non sostenibili in una realtà piccola come quella olandese – salvo diventare “il Bayern Monaco d’Olanda”, come dichiarato dall’ex dg Marc Overmars – per finire in zona codice rosso. Gli ajacidi sono rimasti un club solido perché disponevano di un cospicuo fondo di riserva incrementato nel corso degli anni, che però ha finito con l’essere intaccato dagli ultimi, negativi esercizi di bilancio. I quali sono stati un riflesso delle pessime prestazioni sportive, specialmente quelle dell’ultimo anno, che hanno visto l’Ajax addirittura galleggiare in zona retrocessione nella prima parte della stagione. Il tutto ha causato un deprezzamento della rosa, ed è noto come per una società olandese le entrate provenienti dal mercato rappresentino una componente vitale.
Farioli è stato calato in questo contesto, tra le macerie tecniche lasciate dalle gestioni Steijn-Maduro-Van’t Schip (l’ex Genoa è stato quasi costretto ad accettare la panchina, oltretutto dopo essere stato colpito da un grave lutto, e appena ha potuto è tornato a fare altro) e quelle finanziarie di una dirigenza che ha gestito malissimo il vuoto di potere creatosi con il licenziamento di Overmars per molestie sessuali. All’ultima assemblea degli azionisti è stato detto chiaramente che l’obiettivo di un’Ajax in pianta stabile nell’élite europea non è più realistico. Dimensione e investimenti saranno da Europa League, con costi contenuti e un ritorno al vivaio, trascurato negli ultimi anni a favore del mercato. Niente più acquisti da 20 milioni di euro come quelli di Steven Bergwijn, Calvin Bassey e Josip Sutalo, tre nomi significativi per capire come si sia speso tanto e male ad Amsterdam nelle ultime stagioni.
Alla pausa invernale del 2023, l’Ajax si trovava quinto con 25 punti, a 23 lunghezze di distacco dal PSV Eindhoven capolista. Un anno dopo è andato a riposo al secondo posto con 39 punti a -6 dal Psv primo in classifica. La squadra di Bosz è stata anche battuta 3-2 dagli uomini di Farioli, che quattro giorni prima a Rotterdam avevano anche superato 2-0 il Feyenoord nel Klassieker. «È stato come scalare il K2 e l’Everest in meno di una settimana», ha dichiarato Farioli. «Non so davvero dove i miei giocatori abbiano trovato l’ossigeno per giocare in maniera così intensa, aggressiva, energica e dominante in spazi ampi». Questo significa che l’Ajax è tornato? Si e no, perché se i due big match hanno certificato come la squadra sia stata rimessa in carreggiata dal tecnico, finalmente dotata di una struttura e di un’identità definita, va anche detto che non tutte le partite dell’Ajax sono state così. Anzi, in alcuni casi l’Ajax è finito incartato sotto il profilo tattico – la sconfitta 2-1 contro l’AZ, la seconda in campionato dopo quella contro il NAC Breda alla seconda giornata – mentre in altri è stato bloccato e contenuto, come nel 2-2 contro l’Utrecht terza forza della Eredivisie, oppure nell’ultima partita dell’anno, in casa dello Sparta Rotterdam dell’ex Steijn, dove ci è voluto un rigore al 77esimo per sbloccare la partita e uscire dal pantano predisposto dalla terzultima del campionato. Farioli, del resto, ha ripetuto più volte di avere per ora gettato le fondamenta, e che il resto rimane da costruire.
L’Ajax di Farioli è sempre l’Ajax perché continua nel solco della tradizione del calcio posizionale che costituisce il dna del club. Dice il tecnico: «Ogni campionato ha le sue peculiarità. A volte i giocatori o un club hanno un background diverso ed è difficile giocare il tuo gioco ideale. Ad esempio, al Nizza era molto complicato fare in modo fluido il gioco di posizione. Ci è voluto molto tempo e non abbiamo mai raggiunto veramente ciò che volevamo. Siamo stati eccellenti soprattutto in un ambito: il gioco senza palla. Qui all’Ajax fa davvero parte del dna del club fare gioco di posizione e esercitare pressione senza palla. Non c’è stato bisogno di cambiare questa mentalità». Ma l’Ajax è anche diverso in quanto l’italiano ha introdotto robuste dosi di pragmatismo, consapevole che il materiale a disposizione non gli consente di proporre un certo tipo di calcio, quello che ha reso quella ajacide una società così iconica. Equilibrio e riduzione del rischio sono punti cardine nella filosofia del tecnico. Il concetto è chiaro: se non esistono le condizioni per essere attraente, sii almeno efficace. «Alla fine, tutti vogliono vedere un buon calcio e vincere le partite», ha detto Chuba Akpom. «Sono d’accordo che l’Ajax è noto per vincere con stile, ma la gente dovrebbe anche capire da dove veniamo».
Akpom è uno dei giocatori che più si sacrificano per adattarsi alle scelte di Farioli. Prima punta di ruolo, la presenza di Brobbey e Weghorst lo costringe a cercare spazio sulla fascia, in una posizione non sua ma nella quale sta provando ad adattarsi e a fare la differenza. Un compito nel quale crede, visto che, come detto da Farioli, «alla fine anche le migliori idee del mondo possono andare sprecate se i giocatori non sono convinti». I giocatori lo ripetono in continuazione nelle interviste: l’Ajax di Farioli inizia sempre le partite con un piano chiaro e strutturato. Questo genera fiducia tanto nei singoli quanto nel gruppo, e ciò si concretizza in un incremento del rendimento rispetto allo scorso anno. Da Taylor a Fitz-Jim, da Henderson a Rensch fino a Hato e Akpo. Mesi fa molti di loro erano irriconoscibili, in primis Henderson. In pochi mesi l’ex Liverpool è passato da prepensionato di lusso a pilastro fondamentale nello scacchiere ajacide, dove gioca da mediano, arretrando in fase di non possesso per formare una linea difensiva a cinque. Perché con squadre che attaccano con cinque o sei effettivi, ha detto il tecnico, oggi non è pensabile pensare di difendere con una linea a quattro senza la dovuta preparazione, che però necessita tempo e pazienza. E nel calcio contemporaneo, con il calendario sempre più congestionato, il primo latita notevolmente. «Contro il Feyenoord abbiamo segnato su rimessa del portiere. Quanto tempo abbiamo dedicato in allenamento a questo schema? Quattro minuti e mezzo. Di più non è stato possibile, perché poi bisognava passare all’esercizio successivo».
Kenneth Taylor è attualmente il miglior giocatore in casa Ajax nella combinazione reti più assist: quattro e cinque. Mai, nelle tre stagioni e mezza spese in prima squadra, Taylor è stato così a fuoco, non solo a livello di supporto alla fase offensiva ma anche come rendimento generale. Come in un sistema di vasi comunicanti, il 22enne centrocampista ha beneficiato della crescita di Henderson, capace finalmente di offrire quello per cui è stato portato ad Amsterdam, ossia la capacità di leadership in campo e fuori. «È in circolazione da così tanto tempo e ne ha vissute talmente tante», dice l’altro suo compagno di reparto Kian Fitz-Jim, che si alterna con Davy Klaassen nella mediana a tre, «che quando dice qualcosa, viene naturale ascoltarlo». Anche nel caso di Henderson, la differenza rispetto all’annata precedente la sta facendo la struttura nella quale si trova a operare.
C’è un veterano in ogni reparto in casa Ajax, dal 41enne Remko Pasveer tra i pali a Daniele Rugani in difesa, dai citati Henderson a Klaassen (al terzo ritorno ad Amsterdam) fino a Weghorst, quest’ultimo l’attaccante più lontano possibile dal prototipo ajacide di prima punta, eppure perfettamente aderente ai piani di Farioli e alla sua filosofia. Quanto a Rugani, circola una statistica piuttosto curiosa: nei 465 minuti (supplementari esclusi) in cui è stato in campo, l’Ajax non ha incassato reti. Ovviamente i numeri vanno anche interpretati e approfonditi, visto che l’italiano è sceso in campo contro squadre di bassa classifica o di seconda divisione (il Telstar in coppa, dove Rugani ha segnato il suo primo gol in maglia biancorossa), ma l’aspetto positivo è che anche l’ex Juventus sta riuscendo a inserirsi in un contesto dove è richiesta la sua esperienza. La sua è stata una partenza lenta, a causa di un infortunio alla caviglia e a un virus debilitante che gli ha fatto perdere quattro chili in una decina di giorni. Farioli ha raccontato così ai media il motivo della scelta di Rugani, e quali competenze vuole che trasmetta: «Quando abbiamo guardato il filmato di Daniele su Wyscout prima che arrivasse, sono andato a controllare i tackle effettuati, e penso che l’ultimo risalisse a due o tre anni fa. In Italia lo insegniamo fin da ragazzini: non finire il sedere per terra. Daniele non ha certo costruito il suo stile difensivo su questo».
Una statistica più interessante riguarda i gol nel finale e quelli dei subentrati. L’Ajax ha segnato nove reti nell’ultima quarto di gara, secondo in questa particolare graduatoria dietro all’Utrecht (dieci), mentre è primo nella classifica delle reti messe a segno da giocatori partiti dalla panchina. Tralasciando la folkloristica non-spiegazione sulla squadra che segna nel finale perché ci crede di più, in realtà si tratta di una precisa scelta di Farioli, quella di non partire a cento all’ora ma gestire le energie per arrivare nel finale meno stanchi rispetto all’avversario. Anche contro le piccole, l’Ajax è spesso partito sotto ritmo, con le energie focalizzate sull’organizzazione, sull’idea/volontà di tenere collegati i reparti in attesa di piazzare il colpo vincente. Si ritorna al discorso fatto poco sopra: la selezione dell’Ajax non offre garanzie di mantenere la stessa intensità e lucidità per 90 minuti, quindi punta su un calcio meno attraente ma più efficace. Una gestione delle energie che passa anche da un turnover molto ampio. Cambiano i moduli e gli uomini, per scelta precisa. «Io nel turnover credo davvero», dice Farioli. «Se fin dal primo giorno parli dell’importanza del gruppo, tutti sono importanti, ognuno ha le sue possibilità, e poi giochi sempre con gli stessi undici, non ha senso. La strategia è coinvolgere tutti. Certo, se non avessi fiducia in certi giocatori non lo farei mai».
Il singolo maggiormente emerso un questo primo scorcio di stagione è Mika Godts, belga di formazione mista nei vivai di Anderlecht e Genk. Gioca ala sinistra, nella posizione di Noa Lang, uno dei più recenti rimpianti del vivaio ajacide, nonché simbolo della fuga dei giovani nelle annate in cui l’Ajax aveva mutato pelle passando da club produttore a club acquirente. Con i suoi dribbling e le sue accelerazioni, Godts è subito diventato un fattore nello scacchiere offensivo ajacide, tanto che, quando si è infortunato, Farioli ha provato cinque giocatori nel ruolo di ala sinistra, senza ottenere da nessuno gli stessi risultati sotto il profilo creativo. Arrivato nel gennaio 2024, se la scorsa stagione era passato piuttosto inosservato – al di là del debutto assoluto con gol, in Eerste Divisie con lo Jong Ajax contro il Mvv Maastricht – a causa delle difficoltà della prima squadra, nella stagione in corso è già diventato uno dei nuovi gioielli da esporre in vetrina. Per gli amanti dei numeri, va segnalato che Godts ha debuttato in Europa con una doppietta al Besiktas, diventando il secondo ajacide più precoce di sempre a livello di reti nella sua carriera europea dopo Ton Blanker (quattro gol a 19 anni e 18 giorni contro i 19 anni e 111 giorni del belga).
Cultura e tradizione del club sono importanti, anzi fondamentali, ma deve essere posta attenzione a evitare che un passato così ingombrante finisca per schiacciare il presente. Una cura del dettaglio che, secondo Farioli, è parte integrante nel processo di creazione di un’identità di squadra e di una struttura capace di svilupparla al meglio. «Secondo me sono le piccole cose che possono cambiare le dinamiche. Ovviamente si lavora insieme in campo, ma qualcosa va fatto anche fuori. Ad esempio, per due volte è stata annullata una partita a causa di uno sciopero della polizia. In un’occasione abbiamo portato i giocatori al museo dell’Ajax. In questo modo tutti avevano una buona idea del mondo in cui si trovavano. Nello spogliatoio abbiamo deciso di eliminare il grande tavolo al centro della stana, in modo che i giocatori potessero guardarsi meglio. Abbiamo rinfrescato anche le altre stanze dove trascorriamo molto tempo. Parlo tanto del valore della storia di questo club, ma deve esserci spazio anche per il presente. Quindi abbiamo trasferito tutte le immagini storiche su una parete in un corridoio lungo, sia alla JC Arena che al De Toekomst, lasciando la parete di fronte vuota, da riempire con le nuove immagini di questa stagione. I ricordi storici di fronte ai nostri ricordi. Sono piccole cose, ma credo siano piuttosto importanti».
Nella storia recente dell’Ajax, gli allenatori di successo sono stati quelli capaci di rinnovare la tradizione (Bosz) e di integrare elementi alieni alla cultura tattica del club (Ten Hag), innovando il contesto senza stravolgerne le peculiarità. Uguale ma diverso. Come l’Ajax che sta provando a costruire Francesco Farioli.