Tijjani Reijnders è il battito cardiaco del Milan. Ci sono calciatori che saltano all’occhio perché cambiano le partite con una giocata; e quelli che le partite le assorbono, le fanno loro, le guidano. Reijnders è uno di loro, e il Milan se n’è accorto subito: il meccanismo che permette a tutti gli altri ingranaggi di funzionare. L’anno scorso, il suo primo in rossonero, era stato il secondo giocatore più utilizzato per minutaggio – 3871 minuti tra tutte le competizioni, secondo solo a Theo Hernández. Quest’anno è primo tra tutti i giocatori di movimento, al momento in cui scriviamo: 1608 minuti nelle prime venti apparizioni stagionali. Reijnders ha la fisionomia da calciatore che sente il gioco, lo ammansisce, in qualche modo: è uno di quegli unicorni che le partite le cambiano con l’inerzia della propria presenza in mezzo al campo, più che con la giocata isolata. Solo che Reijnders, le giocate decisive, quest’anno le ha aggiunte eccome al suo curriculum, e ai risultati del Milan: tra fine ottobre e inizio dicembre, nell’arco di otto partite tra tutte le competizioni, l’olandese è andato a segno sette volte. Sverniciando con un colpo solo il suo score personale della prima annata in rossonero – quando i gol erano stati quattro in tutto – e pareggiando, ancor prima di arrivare a metà stagione, il suo miglior risultato, ai tempi dell’Az Alkmaar 2022/23.
«Ci ho lavorato, su questo aspetto», ci dice. «Anche l’anno scorso avevo avuto parecchie occasioni, ma sotto porta mi mancava freddezza. Adesso invece i gol stanno arrivando, spero di continuare così fino a fine stagione». E così anche gli ultimi scettici si sono dovuti ricredere: Reijnders è un trascinatore in piena regola, l’uomo per cui di questi tempi si stanno scomodando paragoni importanti o azzardando previsioni grandiose. «È un momento molto positivo per me, ma cerco di non stare a sentire quello che si dice all’estterno, penso a rimanere concentrato su quello che devo fare», spiega lui, con estrema semplicità. Sul set fotografico Reijnders è calmo, disteso. Sempre sorridente. Si vede che è felice: il Milan se lo coccola, lui si coccola il Milan. «È uno dei miei sogni più grandi diventati realtà: questo club è una delle più grandi squadre al mondo. Essere qui mi riempie di gioia e di orgoglio. E quello che mi dà il club è bello, mi dà tanto calore. È una sensazione che mi fa andare ogni giorno a Milanello con un grande sorriso».
Quella chiamata, dall’Italia, se la ricorda: «Merito di quella stagione con l’Az, quando siamo arrivati in semifinale di Conference League. Ho cominciato a farmi notare e in quel momento arrivò il Milan. Ricordo che dissi a mio padre: è il club che voglio. Nella mia decisione ha contato anche la storia del Milan, è stata una delle prime cose a cui ho pensato. Da qui sono passati un sacco di campioni: van Basten, Gullit, Rijkaard… giocatori con uno status leggendario. Per me è straordinario avere la possibilità di giocare per lo stesso loro club». Che dal Milan degli olandesi si possa passare a parlare oggi di Milan dell’olandese? Con la maglia celebrativa dei 125 anni del club addosso, Tijjani sembra voler continuare quella storia e arricchirla. E il 14 sulle spalle, numero che ricorda il calciatore olandese più grande di tutti, è un’altra suggestione fortissima. Cruijff la maglia rossonera la indossò sul serio, anche se solo per un pomeriggio: successe al Mundialito del 1981.
Reijnders è uno di quei giocatori che solitamente invidieremmo agli altri campionati: se solo lo avessimo noi. E invece il Milan è stato abile nello scovarlo, un anno e mezzo fa, quando giocava ancora nel campionato olandese: un investimento per poco meno di venticinque milioni di euro, bonus inclusi, una di quelle pescate che nel gergo Nba si definirebbe steal. «L’ho aspettata a lungo, questa esplosione», dice lui, che nel calcio più importante è arrivato a 25 anni. Il percorso in testa era diverso, ma l’importante è avercela fatta: «Pensavo che dall’Az sarei andato a un top club olandese, e poi all’estero. Alla fine, quando è arrivato il Milan, abbiamo deciso di saltare la tappa intermedia».
Oggi, nel Milan, tutto ruota attorno a lui. Il ritmo, la densità, le giocate, le verticalizzazioni. I gol. Un compendio delle sue possibilità tecniche l’ha esibito in campo in una partita spartiacque della stagione rossonera, in un palcoscenico non banale: al Santiago Bernabéu, contro il Real Madrid. Nel 3-1 per il Milan Reijnders è stato uno dei migliori in campo: 51 passaggi riusciti su 52 tentati, due passaggi chiave, quattro lanci lunghi riusciti su quattro. In più, un gol da ricordare, con un’azione avviata in prima persona: uno slalom tra due giocatori del Real, con pallone incollato ai suoi piedi, scambio con Leão, specialista nel bruciare in velocità gli avversari, occupazione dello spazio per ricevere palla, controllo in corsa e sparo immediato col sinistro. «È stata la notte perfetta», dice sognante. «Quella, e anche il derby vinto con l’Inter. Sono momenti che, solo a pensarci, mi riempiono di gioia».
Se per il Milan il successo al Bernabéu è stato fondamentale, anche per svoltare il proprio cammino in Champions, il mondo intero si è accorto delle grandi qualità del centrocampista olandese. The Athletic ha scritto di lui: «Il vero uomo-chiave della notte di Madrid è stato Reijnders. Si è abbassato costantemente per ricevere il pallone dai difensori e ha saputo ribaltare velocemente il gioco. Nel secondo tempo ha mostrato un’enorme consapevolezza difensiva e ha continuato a dettare il ritmo della partita. Quando il Real Madrid ha alzato l’intensità della pressione, la sua capacità di uscire con la palla in spazi stretti ha permesso al Milan di non soffrire troppo». Ricordando quella serata, Reijnders dice: «La aspettavamo con ansia, quella partita. Era importante perché dovevamo vincere. È stata una serata magica: abbiamo dimostrato la nostra forza, ci ha aiutato a costruire la nostra fiducia. Spero di rivivere notti così».
I numeri di Reijnders, in parte, spiegano la sua centralità nel gioco dei rossoneri. Riprendendo i dati di Math&Sports, aggiornati all’ultimo Milan-Empoli, l’olandese è primo della squadra per intercetti, raddoppiati rispetto alla passata stagione; vanta un’altissima percentuale nei passaggi riusciti, il 91,6 per cento, ancora più impressionante se si passa alla sola metà campo avversaria, 85 per cento; la conduzione di palla, con 1,2 chilometri percorsi palla al piede, secondo solo a Guendouzi tra i centrocampisti di Serie A e primatista nella trequarti avversaria. Compiti difensivi, sviluppo della manovra, rifinitura. E finalizzazione, come abbiamo detto. «Ma per me si può sempre migliorare», dice. «Riguardo sempre le partite per capire cosa è andato bene e cosa invece posso fare meglio».
Anche l’impatto con la Serie A non è da sottovalutare. Reijnders sembrava pronto dall’inizio per il nostro calcio, e non è mai una cosa scontata. «Certo, all’inizio è sempre difficile», sottolinea. «Fortunatamente ho ricevuto tanta fiducia da parte dell’allenatore e dei compagni l’anno scorso, il che mi ha aiutato ad adattarmi più velocemente. In Italia ho imparato che un sacco di squadre giocano uomo a uomo, che è un campionato davvero competitivo, dove ogni partita è difficile. Se non sei concentrato vieni punito. E c’è tanta attenzione nel preparare le partite, molto di più rispetto a come ero abituato in Olanda». Anche il suo ruolo è cambiato: «Ora gioco molto di più nella trequarti avversaria, e penso che questa è la posizione che mi si addice di più. Con la Nazionale olandese a volte gioco da dieci, in modo da avere tanto spazio per le giocate. Adesso con Fofana che gioca da 6 ho più spazio per muovermi tra la difesa e l’attacco». Tante qualità insieme e tanta versatilità: calcio totale, appunto. «Sì, ho sempre avuto delle mie caratteristiche di gioco», dice lui. Ma non nasconde la sua ispirazione: «Kevin De Bruyne. L’ho seguito tantissimo, ho guardato un sacco di suoi video quando ero più giovane. È un po’ il mio modo di giocare, un centrocampista box-to-box che imposta la manovra e aiuta in fase di finalizzazione».
Oggi che in testa ha solo il Milan, con un rinnovo di contratto che sembra molto vicino, Reijnders non dimentica gli insegnamenti della vita e della famiglia. «Mio padre dice sempre: mai montarsi la testa, bisogna restare umili. Mai guardare le persone dall’alto verso il basso, mai sentirsi migliori di qualcun altro. È un concetto che mi sta molto a cuore e penso che sia veramente importante: conta essere normali, rimanere se stessi». Il lavoro da cassiere in un supermercato, quando era ragazzino, racconta alla perfezione la filosofia di casa Reijnders, un’esperienza che in passato il calciatore ha definito come un momento molto formativo.
L’essere quanto più lontano possibile dallo stereotipo del calciatore-star è un tratto che lo ha portato lontano, anche se all’inizio sembrava poterlo rallentare: «Forse in passato avrei potuto essere più audace, farmi sentire di più», dice. «Perché ho aspettato davvero a lungo prima di avere una grande opportunità. Ma alla fine ogni cosa è pianificata, e magari per me aspettare un po’ di più è stato un bene». Del resto, il calcio, a casa sua, è una cosa seria. Suo papà Martin, che oggi è il suo agente, è stato un calciatore professionista, con trascorsi in Olanda e in Finlandia. E Tijjani è un nome che è un omaggio a un altro calciatore: Babangida, a fine anni Novanta all’Ajax. «La prima volta con un pallone tra i piedi? Giocavo nel giardino dietro casa, tirando la palla un po’ ovunque… A volte giocavo anche in casa, e capitava di rompere degli oggetti! Da sempre io e mio fratello (Eliano, che oggi gioca nel PEC Zwolle, nda) desi deravamo diventare dei calciatori professionisti. Oggi che lo siamo entrambi, siamo molto orgogliosi».
Per entrambi i fratelli, papà Martin ai loro esordi aveva ideato una specie di scommessa: «Quando sono arrivato in prima squadra con l’Az, mio padre mi disse: devi farti vedere in campo. Per ogni due tiri in porta mi dava 50 euro, se non riuscivo i 50 euro glieli davo io. Alla fine ci riuscivo sempre, perciò mi disse: mi costi troppo…». Altro insegnamento: la costanza paga. «Continuare a lavorare, sempre. È questa la lezione che ho imparato. Può sembrare scontato, ma solo con il lavoro si migliora».