Conoscete la storia di David Neres e dei difensori della Serie A? Ve la raccontiamo noi: ogni mattina, in Italia, come sorge il sole, David Neres si sveglia e sa che dovrà correre più dei difensori della Serie A per far vincere il Napoli. Ogni mattina, in Italia, come sorge il sole, i difensori della Serie A si svegliano e sanno che non riusciranno a correre più veloce di David Neres. E quindi sanno anche che le loro squadre subiranno gol. Questa è solo una rivisitazione, in chiave calcistica e contemporanea, di una celebre storia popolare africana, quella del leone e della gazzella. Il significato metaforico è facilmente comprensibile, e cioè che ogni piano d’azione ha due leve possibili: l’interesse o la paura. Anche la morale è palese: bisogna saper reagire tempestivamente a ogni cambiamento per poter sopravvivere. La domanda, a questo punto, è la seguente: le squadre di Serie A hanno trovato una formula di sopravvivenza all’impatto bruciante di David Neres in Italia? La risposta, senza entrare troppo nel merito di teorie darwiniane, al momento è: no. Ma proprio no.
Come andava di moda dire qualche anno fa, David Neres sta letteralmente rompendo la Serie A. Sì, ma come? L’esterno brasiliano di San Paolo, 28 anni da compiere a inizio marzo, è arrivato in estate dal Benfica per 28 milioni (più due di bonus), ma non ha avuto un impatto immediato nel Napoli di Conte: fino alla partita di Udine di metà dicembre, ha messo insieme una sola gara da titolare e 13 panchine. Poi, complici i problemi fisici di Kvaratskhelia e Politano, è arrivata la svolta: due assist e un gol, il secondo della sua stagione dopo quello al Como, nelle ultime quattro partite giocate dal primo minuto. Più che attraverso i numeri, però, l’esplosione di Neres – da quando il suo minutaggio è aumentato – va ricercata nella sua superiorità tecnica e atletica. Che giochi a destra o a sinistra, è sempre imprendibile, infatti ha toccato un picco di velocità di 32,3 km/h contro la Fiorentina.
Ecco, se riguardate – e usate un po’ di fantasia – il gol segnato al Franchi contro la squadra viola, avrete un déjà vu della vostra infanzia: finirete per scambiare Parisi della Fiorentina per Willy il Coyote e David Neres per Road Runner, con il primo che prova goffamente a catturarlo e il secondo che gli sfugge e lo irride al suono di “beep-beep”. Okay, il suono è frutto della nostra fantasia, ma è davvero cartoonesco il modo che Neres ha di seminare gli avversari. Solo che, come set, al posto delle gole dell’Arizona, ci sono i prati verdi della nostra Serie A.
Ci sono due piani di analisi che vale la pena approfondire parlando di David Neres: quello puramente tecnico e poi anche quello tattico. Partiamo dalle qualità più visibili del brasiliano, un baller fatto e finito, un esterno offensivo che ha nel dribbling il suo core, un funambolo alla Vinícius Júnior ma di piede mancino. In un calcio sempre più Demure – per usare due espressioni mutuate dal mondo della moda e del beauty – cioè più sobrio e raffinato, Neres è al contrario un talento Brat (dall’inglese, “monello” o “peste”), e quindi audace e sfrontato, uno spirito libero che per natura va controcorrente. Anche se in realtà non parliamo di un giocatore che usa il dribbling per mettere pressione psicologica agli avversari, né di uno che forza le giocate: David Neres è un dribblomane, sì, ma è anche un giocatore associativo e creativo, uno che si connette tanto con i compagni di reparto, che spesso predilige la ricerca dell’assist alla conclusione personale. Uno che, insomma, fonde bene la scuola brasiliana e quella olandese, entrambe presenti nel suo calcio.
Quando Neres sfila al Maradona, l’aspetto che colpisce (e seduce) di più sono i suoi strappi, il modo diretto in cui punta, sposta e va, azzerando qualsiasi raddoppio. E dissimulando, come accade nella capoeira, la lotta nella danza, mescolando generi e influenze, segnando – soprattutto – e facendo segnare (due gol, quattro assist, un’autorete e un’espulsione provocate fin qui). Neres sente il ritmo e lo dà alla squadra, qualcosa di stilisticamente diverso, ma simile nella sostanza, a quanto riusciva a Kvaratskhelia nella stagione dello scudetto. In comune, David e il georgiano edizione 2022/23 hanno il vantaggio di essere “nuovi”, di poter cioè sorprendere difese non ancora addestrate ad affrontarli con le giuste contromisure. Rispetto a Kvara però, ma anche rispetto a Zaccagni, Yildiz e Leão, David Neres è più esterno puro, se volete old school, forse l’unico della Serie A. Un campionato in cui il dribbling è una rarità, al massimo un’esclusiva dei giocatori sopracitati e di nessun altro.David Neres, insomma, sembra aver trovato il cheat code per sbloccare il “livello Serie A”. Come le combinazioni di tasti che – ammettiamolo – tutti da bambini abbiamo usato per superare il livello più difficile di un videogioco, il brasiliano dà l’impressione di sapere a memoria il trucchetto per mandare in tilt le difese italiane.
L’importanza di Neres non è soltanto tecnica, come detto, ma anche tattica. Nel senso che l’innesto del brasiliano ha migliorato anche i compagni. Un esempio su tutti è Romelu Lukaku: con Neres al suo lato, il belga sembra più a suo agio al centro dell’attacco. Non è più costretto a giocare soltanto di sponda e spalle alla porta, anche se proprio da un uno-due della con Neres è nato l’1-0 del Franchi, ma i movimenti del numero 7 aprono più spazi a Lukaku, che quindi guarda maggiormente negli occhi la porta. Ci è voluto tempo affinché Neres entrasse con regolarità tra i titolari, forse perché c’era bisogno che prima assorbisse il culto del sacrificio di Conte, che dimostrasse di saper giocare in modo equilibrato oltre che guizzante, di sapersi muovere in fase difensiva e senza palla.
David Neres ha già vissuto tante vite calcistiche, la sua è una carriera di culto e irregolare, del tutto in linea con il personaggio. Prima l’Ajax di Ten Hag, l’esplosione in Olanda, l’annata magica 2018/2019, in cui il brasiliano riesce a segnare prima al Real Madrid agli ottavi – umiliando il diretto avversario Carvajal per tutta la partita – e poi alla Juventus ai quarti. A quel punto arriva la chiamata della Seleçao, poi un brutto infortunio al ginocchio lungo un anno, quindi ecco il passaggio allo Shakhtar di De Zerbi nel gennaio del 2022: con la squadra ucraina non scende mai in campo a causa dell’invasione russa. Infine il passaggio al Benfica di Schmidt, due stagioni di buon livello, da secondo miglior dribblatore della squadra dopo Rafa Silva, ma pur sempre nell’ombra dell’intoccabile Di María. Insomma, un fuoco che si riaccende ma non divampa.
Dopo l’intuizione del ds Manna che l’ha voluto a ogni costo in estate, David Neres sembra aver portato a termine la sua personale ricerca della felicità, che esibisce nella sua danza dopo i gol, quando sbatte le ali come una farfalla dopo aver armato il suo pungiglione. Raccontano di lui che, una volta, rischiò di perdersi la prima convocazione in Nazionale perché non aveva salvato in rubrica il contatto del ct brasiliano. Ecco il suo racconto: «All’inizio non avevo risposto perché non avevo riconosciuto il numero. Ma dopo che lo stesso numero è apparso tra i miei messaggi su WhatsApp e ho visto a chi apparteneva, ho immediatamente richiamato. Era Tite,mi voleva dire che ero stato convocato». Oppure di quella volta che ammise di aver conquistato la sua futura moglie su Instagram: «Non ho dovuto fare molto. Le ho mandato un messaggio privato: sono Neres, esci con me». Non male neppure una vecchia battuta su Ten Hag: “Una volta si è lamentato dei miei capelli. Gli ho detto di preoccuparsi dei suoi, di capelli, che dei miei mi preoccupavo io. Mi ha messo in panchina per le due partite successive». Forse sono storie vere o forse sono leggende, come quella del leone e della gazzella. In ogni caso, il momento di Neres si potrebbe riassumere così: da San Paolo al San Paolo, c’è un brasiliano che fa ballare il Maradona.